mercoledì 15 febbraio 2017

VESPA DOMANDA A SPERANZA : CHE RESTATE A FARE INSIEME ? BATTISTA : DIVERSITA' ANTROPOLOGICA

Risultati immagini per SCISSIONE PD

A chi sta simpatico Bruno Vespa ? Personalmente, non conosco nessuno. Però ce ne saranno, così come quelli che comprano i suoi libri. Però , tra quelli che non lo amano, tra cui chi scrive, non credo siano molti quelli che non gli riconoscano una profonda conoscenza della politica italiana.
La osserva da vicino da decenni, e non è uno stupido.
Quindi, quando ieri fa notare a Roberto Speranza che MAI aveva assistito ad una guerra interna come quella  messa in scena dal PD da quando Renzi si è impossessato del Nazareno, dice una cosa incontestabile.
"Nemmeno la DC, che pure di correnti ne aveva ".
La domanda è inevitabile : Che restate a fare insieme ? Non c'è nessuna visione comune, differenze assolute sulla politica economica, sulle riforme - vedi la spaccatura sul referendum - , ma a parte questo, che già basta e avanza, c'è proprio un'insofferenza umana tra le due bande. renziani e sinistra dem, con imbarazzati pontieri in mezzo.
Questa cosa non è di oggi, si manifesta dall'indomani della "usurpazione", solo che ora che Renzi ha perso è tracimante.
Veltroni, che di Renzi loda solo le cose che a me lasciano tiepido (unioni civili, bonus vari) mentre critica quelle che io apprezzo ( Jobs Act, presa di distanza dai sindacati e dai magistrati), è li che implora perché la scissione non avvenga, ma non spiega come. Del resto l'uomo non ha mai brillato per concretezza.
Pierluigi Battista sul Corsera mette proprio in evidenza le differenze antropologiche prima ancora che politiche tra i protagonista di questa sorta di guerra dei Roses in casa piddina, e ricorda, giustamente, come solo le vittorie possono far accantonare - ma non dimenticare - i tradimenti, come quello di Letta a Palazzo Chigi.
Quando le vittorie finiscono, c'è spazio per la resa dei conti.


 Quando il nemico è in casa: trappole e trabocchetti dell’eterna guerra dei Roses

di Pierluigi Battista

Più delle differenze ideologiche contano quelle antropologiche

 Risultati immagini per la guerra dei roses

La scissione nel Pd, anche se non ancora formalizzata, c’è già, e da tempo. È una insanabile frattura psicologica prima ancora che politica, una reciproca ostilità antropologica, la fine radicale di ogni più elementare senso di comunità.
La quantità di energie impiegata per distruggersi a vicenda è incomparabilmente superiore a ogni impegno finalizzato alla vittoria di un simbolo condiviso. Nei meandri della psiche collettiva di partito, la volontà di annientamento dell’altro prevale su ogni ipotesi di razionale aggiustamento delle divergenze.

Fratelli coltelli

Una lotta fratricida in cui il sentimento dominante è: non fidarsi più. Costellare il percorso di trappole, trabocchetti, strategie per mettere all’angolo il nemico interno. La richiesta di un congresso diventa arma contundente per umiliare chi vorresti «spianare» (new entry nel lessico apocalittico in cui è imprigionato il Pd), l’opposizione al congresso un espediente per ostacolare i piani del leader non da battere, ma da cancellare. Perfino i tempi del sostegno del governo Gentiloni, presieduto fino a prova contraria da un esponente di primo piano dello stesso Pd, diventano pretesto per fare lo sgambetto a chi si detesta: deve durare per spegnere i sogni del leader Renzi; deve finire per accorciare la scadenza dell’Armageddon che sradicherà la minoranza senza pietà.

La minoranza pd considera Renzi un usurpatore da spodestare una volta per tutte e i renziani come dei Proci che hanno preso possesso di una casa per sloggiare brutalmente i legittimi titolari, fondatori della «ditta», per giunta. Renzi e i suoi «fedelissimi» considerano invece la minoranza come una tribù di polverosi reazionari che devono essere «asfaltati» per far nascere un Pd nuovo di zecca.

La fiamma scissionista

Le differenze politiche e ideologiche sono profonde, ma non tanto da alimentare una fiamma scissionista che arde incessantemente. Conta di più il divorzio oramai consumato nelle psicologie, nei cuori, nei sentimenti. Emotivamente i Pd sono già due, divisi da un’insopportazione irriducibile, da una voglia di umiliare l’altro che nemmeno nella spietata guerra dei Roses.
Alla Leopolda il popolo renziano raggiungeva l’apice dell’entusiasmo quando il leader dal palco sferzava la minoranza e dalla platea rimbombava il grido «fuori, fuori» rivolto agli odiati bersaniani. E la sera del 4 dicembre nelle case della minoranza si stappavano bottiglie per festeggiare non tanto una vittoria referendaria, ma la disfatta dell’odiato renzismo.
Sembra che il mondo tutt’intorno possa sparire. Tutto è piegato alla lotta intestina che dilania un partito che non ha mai brillato per spasmodico spirito unitario, ma si è pur sempre mantenuto entro un alveo di possibile e decente convivenza. La vita nel Pd scisso in due anime inconciliabili sembra invece da anni una guerra civile dove si vibrano furiose coltellate. Preferibilmente alla schiena.

Le emozioni al comando

Persino il certificato di nascita di questa lotta furibonda ha a che fare con un dato psicologico, con uno stato d’animo, un elemento emotivo. Il vero punto di frattura comincia infatti lì, in quel messaggio «Enrico stai sereno», che non solo ha rotto gli argini del rancore, ma ha introdotto il principio che per affermare il primato del segretario del Pd si potesse sabotare un governo diretto da un altro esponente del Pd, addirittura l’ex vicesegretario. Con il vento in poppa, quelle Idi di marzo potevano essere dimenticate, ma con le sconfitte, quello strappo torna come scena primaria di un conflitto psicologico che annulla dal suo orizzonte la possibilità stessa di fidarsi, di coltivare un patto tacito, reciproco, di lealtà.
E allora ecco l’arma del congresso, impugnata prima dagli uni e poi dall’altro, la disfida sulle primarie, il cui senso appare: «Come fregare meglio il mio nemico?». La disputa surreale sui tempi di conservazione del governo Gentiloni: deve rimanere, per bollire meglio Renzi. Oppure, sul fronte opposto: deve sloggiare al più presto, per accelerare i tempi della rivincita e schiacciare le manovre della minoranza interna. E via con la preparazione della prossima tagliola, con la mimetizzazione della botola in cui possono precipitare gli avversari con mossa astuta.
Via, fino alla fine del Pd. Dove da anni non si sopportano più, e giocano senza tregua a farsi del male.

Nessun commento:

Posta un commento