venerdì 17 febbraio 2017

L'ITALIA DISPERATA E' LA CARTA DI GRILLO. MA SIAMO VERAMENTE COSI' DISPERATI ?

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Vigilia delle elezioni per il sindaco di Roma.  Un amico, coetaneo e di lunga data, si dichiara convinto per la Raggi.  In sintesi le ragioni sono due : 1 ) proviamo anche questi, peggio non potranno fare 2) se vincono, saranno motivatissimi a fare bene, per loro sarà la vetrina per il salto nazionale, la sindaca si circonderà delle competenze migliori.
E'  passato l'angelo, e ha detto Amen.
Quel mio amico oggi non rivoterebbe la Raggi, e nemmeno i grillini.
Un rinsavimento veloce, favorito da un esordio spettacolare nella sua incresciosità.
 Eppure non è diffuso questo rinsavimento. A vedere i sondaggi, il disastro romano, con dimissioni in sequenza multipla ed imbarazzante, gossip a go go e palese inettitudine della sindaca, che appare sempre sull'orlo di una crisi isterica di pianto, il Movimento 5 Stelle non risente più di tanto del flop romano. Restano lì, a quel 30% circa, e non sono pochi quelli che pensano - temono - che quando si arriverà al dunque, in autunno ormai o più probabilmente alla scadenza naturale della legislatura, cioè primi del 2018, i grillini cresceranno ancora.
Perché il voto contro, protestatario, prevarrà e se la crisi economica ed occupazionale continuerà a mordere, lo slogan ortottero, sostanzialmente l'unico programma economico propagandato, del reddito di cittadinanza farà proseliti a mani basse.
Io continuo a sperare di no, e quando mi si risponde che in America ha vinto Trump, o in GB la Brexit, penso che si faccia volutamente confusione.
Sicuramente la vittoria di Trump, così come i buoni sondaggi mostrati dalla Le Pen sono dei sintomi importanti di un sentimento di rottura rispetto alle promesse dei politici più tradizionali, com'era la Clinton.
Però è anche vero che Trump ha vinto grazie al sistema di voto USA, che consente di diventare presidente anche se si prendono meno voti in assoluto rispetto all'altro, e alla fine quello che a volte può fare la differenza sono poche migliaia di voti in più presi però nei cd. stati "chiave", quelli fin dall'inizio in bilico.
Tradotto in numeri, Trump ha preso circa due milioni di voti in meno della Clinton e ha vinto grazie a 100.000 voti, su 134 milioni espressi, conquistati in Michigan, Wisconsin e, soprattutto, Pennsylvania. Se a questo aggiungiamo che un 50% di americani se n'è stato a casa, ecco che quello di Trump tutto è meno che un trionfo, per quanto il suo successo sia assolutamente legittimo, visto che le regole sono quelle.  Ecco, da noi questo sarebbe potuto avvenire, e anche peggio, dato che in USA poi ci sono il Congresso ed il Senato che possono ben fare da contraltare al presidente,  se fosse rimasto il vecchio Italicum, col ballottaggio senza quorum. Abolito quello, con il premio di maggioranza fissato a quota 40%, la vedo improbabile una vittoria grillina con maggioranza assoluta del Parlamento.
Certo, possono arrivare primi, ma poi dovrebbero allearsi. Con chi ? La Lega ? Non basterebbe, probabilmente, e poi ci sarebbe uno sbilanciamento a destra non da poco ( e un buon 40% degli elettori ortotteri sono fortemente orientati a sinistra).  Con la nuova creatura che potrebbe nascere dai lavori in corsa a sinistra del Pd (scissionisti, Pisapia, ex vendoliani...) ? mmmm...convivenza difficile e anche qui 50% non facile da raggiungere.
Non sono un ottimista, ma francamente penso che la possibilità del salto nel vuoto ipotizzata da Antonio Polito nell'interessante editoriale che trovate di seguito sia remota, ancorché ovviamente non escludibile.
Gli italiani alla fine sono conservatori, prudenti e in più, non giovani ( i più arrabbiati e sensibili alle sirene grilline, specie quella che promette redditi senza lavorare).
Non ragionano in termini : o la va o la spacca.
Certo, sarebbe bene che l'economia non desse scrolloni pesanti, che già così stiamo messi maluccio.
Ma fino al 2018 santo Draghi ci proteggerà, e , seppure le cose non miglioreranno, probabile resteranno come sono.
E poi, bisogna vedere cosa succederà nel PD e nel centro destra.
Se si votasse oggi, come fortissimamente pure vuole renzino, le due formazioni se la passerebbero piuttosto male, specie se poi veramente si facesse la scissione al Nazareno.
Ma da qui ad un anno, magari potrebbe esserci uno scenario diverso, oggi non prevedibile.
Insomma, calma e gesso.
 
 
 
 

Il dilemma del volo 93
vale anche per Cinque Stelle

  
Uno dei paradossi del nostro tempo è il consenso popolare, spesso maggioritario, per personaggi e movimenti politici chiaramente impreparati a governare. Competenza e credibilità, da virtù che erano, oggi fanno perdere le elezioni. Perché accade? Forse la spiegazione più brutalmente convincente l’ha data durante la campagna elettorale americana uno degli intellettuali vicini a Trump, che si firmava con lo pseudonimo di Publius Decius Mus sulla rivista del think tank conservatore del momento, la Clermont Review of Books. Si tratta del “dilemma del volo 93”. Ricordiamo tutti quell’aereo, l’unico tra i quattro sequestrati dai terroristi dell’11 settembre che non raggiunse l’obiettivo prefissato, qualunque esso fosse. Alcuni coraggiosi passeggeri, infatti, avendo appreso dai telefonini ciò che accadeva alle Due Torri di New York, compresero che stavano per avere la stessa sorte, e diedero l’assalto alla cabina di pilotaggio. Non sapevano neanche lontanamente come fare, in caso di successo, a pilotare un aereo e farlo atterrare. E infatti non riuscirono a evitare una tragica fine. Ma sapevano che se non agivano sarebbero morti in ogni caso.
È lo stesso dilemma di fronte al quale si trovano oggi gli elettori, secondo il nostro autore: «Dai l’assalto alla cabina o muori. Puoi morire in ogni caso. Il tuo leader può riuscire a entrare nella cabina di guida e poi non sapere come si guida un aereo. Non ci sono garanzie. Eccetto una: se non ci provi, la morte è sicura. Per usare una metafora: una presidenza di Hillary Clinton sarebbe una roulette russa con una semiautomatica. Con una presidenza Trump puoi almeno far girare il cilindro dei proiettili e tentare la fortuna». A parte un certo gusto per il truce, la metafora funziona alla perfezione. Tanti elettori dei Cinque Stelle, per esempio, sono consapevoli del fatto che i loro beniamini non saprebbero come guidare l’aereo Italia; e anche a Roma molti elettori della Raggi non si facevano prima e tanto meno si fanno oggi soverchie illusioni sulle sue capacità di amministratrice di una delle città più difficili del mondo. Ma hanno votato per i grillini, e secondo i sondaggi in gran parte sarebbero ancora pronti a farlo, per la semplice ragione che vogliono tenere lontani dal potere gli altri. Tutti gli altri. Quelli con i quali, a loro modo di vedere, continuerebbe il disastro in cui avvertono di vivere, e non ci sarebbe nemmeno una chance.

Per provare un tale sentimento da roulette russa bisogna essere disperati, è vero. Ma in vaste sezioni della società occidentale, la crisi, i cambiamenti sociali, la scomparsa del lavoro, hanno prodotto disperazione. Forse si spiega così perché questi movimenti non soffrono oltremodo la pubblicità negativa né le inchieste giudiziarie. In Francia lo scandalo dello stipendio pagato alla moglie ha azzoppato il candidato gollista Fillon, ma lo scandalo dei soldi del Parlamento europeo utilizzati da Marine Le Pen non ha quasi scalfito la popolarità della leader del Front National, che guida i sondaggi in vista delle presidenziali. Potremmo chiamarli partiti-Teflon, come il materiale di cui sono fatte le padelle alle quali lo sporco non si attacca. Se ne dovrebbe dedurre che per togliere voti ai Cinque Stelle non serve a molto parlarne male, metterli in cattiva luce; ma sarebbe più utile presentare un’offerta politica alternativa del tutto nuova e migliore.
E invece questo è oggi il problema più serio dei partiti cosiddetti moderati. Quello del centrodestra, è ancora uguale a 25 anni fa, quando nacque. La gran parte dei parlamentari di Forza Italia hanno più di quattro legislature alle spalle, e il leader ha alle spalle una vita. Ma anche il partito del centrosinistra, il Pd, è più o meno sempre lo stesso. Ammesso che sopravviva a una eventuale scissione, ripresenterà il leader che ha già avuto la sua chance di guidare l’aereo? E se sì, lo farà con le stesse idee e nella stessa direzione?
Su tre punti i competitor dei Cinque Stelle devono al più presto elaborare e presentare idee nuove, che al momento non si vedono affatto: sull’accountability del governo della cosa pubblica, per frenare la corruzione; sulla partecipazione democratica dei cittadini, per fermare il disgusto verso il potere; sul finanziamento di politiche attive per aiutare i giovani a trovare un lavoro, per combattere la disperazione. E devono farlo presto. Le strade tentate finora, dalla riforma del Senato alla tattica dei bonus, non sono state ritenute capaci di evitare il disastro in cui tanti italiani sentono di vivere. Per questo continua l’assalto dei cosiddetti «populisti» alla cabina di pilotaggio. «Solo in una Repubblica corrotta, in tempi corrotti, poteva sorgere un Trump», ha scritto Publius Decius Mus. Vale anche per gli aspiranti Trump nostrani.

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