mercoledì 14 giugno 2017

L'OSSESSIONE DI PANEBIANCO CONTRO IL PROPORZIONALE

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Ormai tra il Camerlengo e il professor Panebianco, sulla questione della legge elettorale, è polemica !
Celio, ovviamente, che figurati se un principe del giornalismo, qual è, a pieno titolo, la storica prima penna del Corriere della Sera , si occupi di leggere il diverso parere di uno delle migliaia di blogger sparsi per la penisola.
Io però lo leggo sempre, e anche quando non la penso come lui, trovo sempre, o quasi, spunti interessanti sui quali riflettere.
Sulla questione della legge elettorale però credo veramente che il professore abbia torto, e forse è la prima volta, nei lustri, che lo vedo prendere un "partito preso".
Eppure è uomo che, da liberale autentico, detesta manicheismi e posizioni preconcette. Intollerante solo con gli intolleranti, lo definirei. Ebbene, stavolta l'intollerante verso il pensiero diverso dal suo sembra lui, che dipinge il proporzionale come il MALE assoluto.
Ma come può essere se quel sistema regola il 90% dei sistemi elettorali occidentali ?? Certo, non sempre è un proporzionale puro, vi sono dei correttivi utili a cercare di correggere le controindicazioni di un sistema di questo tipo, in primis l'eccessiva frammentarietà dei partiti, con il rischio di una difficile quando non impossibile formazione di una maggioranza di governo. E così tutti i sistemi proporzionali hanno generalmente uno sbarramento di ammissione in Parlamento, che in Germania è un corposo 5% (che fa tremare i polsi agli alfaniani, ai verdiniani, ai radicali di sinistra...insomma tutti figuri che costituiscono un incentivo forte a non abbassare quell'asticella ).  Ho scritto più volte che nasco presidenzialista, come Panebianco, e preferisco il sistema maggioritario britannico. Però sono consapevole che anche quei sistemi hanno delle controindicazioni e necessitano di qualche correttivo. Se il proporzionale puro sacrifica troppo la governabilità, ed è vero, il maggioritario senza correttivi immola la rappresentanza, il che mi appare anche peggio.
Adesso in tanti sono inebriati dal successo di Macron in Francia.
Qualche osservatore, uno che stimo è Giovanni Orsina, un liberale che scrive su La Stampa, osserva che tanto trionfalismo è forse esagerato, tenuto conto che, in Francia, alla fine della fiera, le elezioni presidenziali hanno dimostrato che esiste una forza antieuropeista che pesa il 50% (tra FN e Radicali di sinistra) e quelle politiche che un 50% dei francesi si astiene (mentre alle presidenziali, al primo turno, aveva votato quasi l'80 % ! ).
"Testimonianza di un quadro politico assai fragile" conclude Orsina.
Eh ma vuoi mettere un sistema che stabilisce senza equivoci chi è il Presidente e che consente la formazione di  una maggioranza   pari a più dei 2/3 del parlamento (oltre 400 seggi su circa 600), con appena il 32% dei voti ???
Francamente a me un simile risultato semmai SPAVENTA.
E non solo a me, da quanto leggo anche di osservatori francesi, che riportano una mia frequente considerazione-perplessità : quando Macron cercherà di varare le importanti, e IMPOPOLARI, riforme di cui la Francia, cullata e cresciuta nell'assistenzialismo di Stato, ha bisogno, avrà sì i voti in Parlamento ma poi avrà anche il consenso sociale adeguato ? O, come i suoi predecessori, Hollande e Sarkozy, che pure, sia pure non con quei numeri, avevano maggioranze blindate all'Assemblea Nazionale, si ritroverà con le piazze piene e il paese bloccato dagli scioperi ?
Quando la Thatcher vinse il lungo braccio di ferro contro i sindacati del carbone, poté contare non solo sul Parlamento ma anche sulla convinzione diffusa che determinati cambiamenti fossero necessari.
Orsina e Galli della Loggia proprio questo evidenziano : possibile che in Italia non ci siano leaders e forze politiche capaci di pensare e proporre un progetto di paese che convinca la maggior parte degli italiani, e quindi poi provi e realizzarlo ?
Perché se questo non accade, non è attraverso alchimie elettorali che si rimedia a questa carenza grave.

Ah,   " nelle nostre condizioni la proporzionale genera ingovernabilità" non si può leggere, anche se a scrivere è un mostro sacro come Panebianco. E' proprio quello di concepire le leggi elettorali con riferimento alle condizioni del presente uno dei sopravvenuti mali (perché ci mancavano...) del nostro paese, il quale, unico in Occidente, negli ultimi 20 anni ha visto partorire ben tre leggi elettorali diverse, senza contare che per regioni, comuni e province (ora in parte abolite) vi sono/erano altrettanti, diversi, sistemi di voto !
La legge elettorale alla carta...
In realtà una legge così importante dovrebbe essere fondata innanzi tutto su un PRINCIPIO condiviso, è quindi quello di dare effettiva espressione alla volontà popolare, chiamata ad eleggere i propri rappresentanti. Dato questo obiettivo primario, ben vengano correttivi che attenuino le controindicazioni possibili, tenendo presente che è bene che la Nazione abbia una guida efficace (poteri  adeguati) e autorevole (consenso congruo).
Una legge così concepita dovrebbe durare nel tempo, e non essere stravolta secondo i desiderata e le aspettative dei partiti che cercano di strumentalizzarla per accrescere il proprio altrimenti modesto risultato elettorale.
Ultima considerazione e mi taccio : si capisce molto bene che per il Professore un'eventuale vittoria dei grillini sarebbe paragonabile ai flagelli d'Egitto. Ora, io in questo - in realtà in molte cose - sono d'accordo con Panebianco, però non ritengo legittimo industriarsi per concepire un sistema di voto che abbia, più o meno chiaramente, lo scopo di interdire un simile risultato.
Semmai, e vale però per tutti, quello che vorrei impedire è che qualcuno arrivi primo con un 20/25 % dei voti degli elettori tutti, e con un consenso così ridotto possa imporre il proprio programma senza doverlo contrattare con nessuno, forte di una maggioranza assente nelle urne ma attribuita da una legge.
Come è successo in Francia.

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I vantaggi di un nuovo bipolarismo

Nelle nostre condizioni la proporzionale genera ingovernabilità. Chi raccoglierà da terra (Renzi? O chi ?) la bandiera della democrazia maggioritaria abbandonata dagli altri potrebbe diventare, nei prossimi anni, il punto di riferimento di quella parte del Paese che è stanca di scivolare lungo un piano inclinato



 
A giudicare dai commenti di molti politici sulle amministrative
di domenica l’Italia sembra una Repubblica fondata non sul lavoro ma su una diffusa incapacità di comprendere quanto siano importanti le istituzioni (tutte, sistemi elettorali compresi)
. Dove non è chiaro se quei politici non capiscono proprio oppure capiscono ma sfruttano cinicamente la credulità del pubblico. Non si può affermare (lo hanno fatto esponenti sia
di centrosinistra che di centrodestra) che le amministrative «dimostrano» che uniti si vince e poi difendere, per le politiche, la proporzionale, ossia un sistema elettorale fatto apposta per esaltare le divisioni. Così come non si può dire che i 5 Stelle siano finiti o quasi. Risultano ora esclusi in un gioco elettorale con doppio turno e ballottaggio. Ma la musica sarà tutt’altra quando si voterà alle politiche con la proporzionale. Sia perché il meccanismo non esclude nessuno sia perché gli altri andranno tutti quanti in ordine sparso. Nella confusione di linguaggi che caratterizza le elezioni con proporzionale chi urla di più si fa notare di più. 
  
In Italia l’incapacità di valutare l’importanza delle istituzioni si manifesta in tanti modi. Ad esempio, ci sono quelli che temono l’instabilità di governo pur essendo, contraddittoriamente, a favore del bicameralismo simmetrico. Oppure ci sono quelli che tifano Macron, che sono deliziati per il fatto che egli sia diventato presidente e che si aspettano da lui grandi cose. Quelle stesse persone griderebbero al golpe fascista se qualcuno proponesse di fare eleggere direttamente anche da noi il presidente della Repubblica conferendogli gli stessi poteri di cui dispone oltr’Alpe. Semplicemente, non capiscono che un Macron al vertice (e dotato degli strumenti di governo di cui dispone) può esistere solo perché esiste quella istituzione. O ancora, ci sono quelli che dichiarano che le elezioni britanniche (nessun partito ha raggiunto la maggioranza assoluta) «dimostrerebbero» che il sistema maggioritario, se mai ha funzionato (sic), ormai non funziona più. Ma il maggioritario non determina necessariamente il bipolarismo (nel caso britannico, il bipartitismo). Ci sono stati altri casi simili nella storia britannica. Però, il maggioritario è un potente costrittore che favorisce, con frequenza, esiti bipolari. 



In effetti, tornare a una competizione bipolare, usando allo scopo un sistema elettorale appropriato, sarebbe importante. La competizione bipolare favorisce la stabilità ma anche una certa moralizzazione della vita pubblica: rende difficile lo scaricabarile, inchioda i governanti alle loro responsabilità. Se chi governa è scelto di fatto dagli elettori, non può in seguito scaricare — e se tenterà di farlo non sarà credibile — le proprie inefficienze sugli altri, quelli con cui ha dovuto patteggiare dopo le elezioni.
Giudicate come vi pare i governi (di destra e di sinistra) che si sono succeduti in Italia dal 1994 (prime elezioni con il maggioritario) al 2011 (caduta dell’ultimo governo Berlusconi) ma è un fatto che vennero scelti dagli elettori, i quali ebbero in seguito la possibilità, dal loro punto di vista, di giudicarne virtù e difetti. Dove la competizione non è bipolare e i governi si formano dopo il voto per effetto di trattative fra i partiti, si entra in una notte in cui tutti i gatti sono bigi, in cui lo scaricabarile è la regola e nessuno è in grado di capire chi è responsabile di cosa. Va sfatato il mito secondo cui un cambiamento di legge elettorale potrebbe non sconvolgere i partiti e il sistema di partiti oggi esistenti. È un errore comune. Pochi capiscono che una nuova legge elettorale modificherebbe l’offerta politica (non ci sarebbero più gli stessi partiti) e il cambiamento dell’offerta politica inciderebbe sul comportamento degli elettori (i quali voterebbero in modo diverso da come hanno fatto in precedenza).
Roberto Giachetti (Pd), sul Foglio del 9 giugno, ha ricordato giustamente quanto i tentativi di reintrodurre il maggioritario siano stati contrastati negli anni passati proprio da alcuni di coloro che oggi fingono nostalgia per quel metodo di voto. Ma Giachetti ha torto, a mio avviso, quando afferma che la legge bloccata in Aula sarebbe stata il «male minore» rispetto al rischio di andare a votare con il sistema elettorale disegnato dalle sentenze della Corte costituzionale. Quella legge, se fosse stata varata, avrebbe imposto al Paese un sistema proporzionale (spacciandolo per «tedesco»), legittimato dall’accordo fra i partiti. Per lo meno, la (pessima) legge elettorale ora in vigore non dispone di legittimazione politica, è stata disegnata da sentenze che si sono sostituite (a mio giudizio, arbitrariamente) a decisioni parlamentari. È quindi lecito conservare la speranza di una riforma migliore, se non in questa nella prossima legislatura.
Nelle nostre condizioni la proporzionale genera ingovernabilità. Chi raccoglierà da terra (Renzi? O chi ?) la bandiera della democrazia maggioritaria abbandonata dagli altri potrebbe diventare, nei prossimi anni, il punto di riferimento di quella parte del Paese che è stanca di scivolare lungo un piano inclinato.

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