giovedì 27 luglio 2017

LA TRAGEDIA DEL PICCOLO CHARLIE, UNA SCONFITTA PER TUTTI

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Sposo in toto la riflessione del signor Julian Savulescu, filosofo ed  esperto di bioetica, raccolta dal Corriere della Sera sul planetariamente noto caso del piccolo Charlie e dei suoi genitori.
Non è un principio assoluto che quello che i genitori scelgono per un figlio sia la cosa migliore e comunque quella da fare ( capita, non di rado, che non sia così, e a volte sono anche in mala fede), ma nemmeno può essere il contrario. Lo Stato NON è Dio, e quando si parla giustamente di tutela dei diritti dei minori - e dei più deboli - non si può nemmeno azzerare quello delle persone che quei minori hanno messo al mondo.
Forse Charlie soffriva ad essere tenuto in vita tramite le macchine, nessuno sa dirlo con certezza. Sicuramente hanno sofferto, atrocemente, i suoi genitori nel vedere ostacolata la loro speranza di tentare di tutto per cercare di migliorare la sua condizione.
I medici dell'ospedale inglese, gli avvocati dello stesso, il tutore legale di Charlie, contrapposto ai genitori, la Corte Britannica, sono tutti soggetti a cui si fa fatica, alla fine di questa tragica vicenda, a non augurare di trovarsi, un giorno, nei panni del padre e della madre del bimbo.
Come scrive il filosofo interpellato dal Corsera, bisogna essere ragionevoli, e la posizione possibilista assunta da strutture ospedaliere non meno prestigiose di quella britannica attestano che, pur attanagliati dalla disperazione, i genitori di Charlie lo erano a sufficienza. Chiedevano di poter portare il loro bambino in altri ospedali per tentare cure sperimentali. Perché negarglielo ?
Anche la loro resa, di fronte al parere negativo del medico americano (con coda velenosa e amara sul ritardo ) , dimostra che avevano veramente puntato su questa cura, e che non si trattava di un pretesto per allungare l'esistenza in vita di Charlie.
I medici inglesi, siccome avevano fatto 30, hanno pensato di fare 31, opponendosi anche alla possibilità che Charlie trascorresse le sue ultime ore a casa dei genitori. La coerenza è una bella cosa, un po' più facile se si applica sulla pelle degli altri.
Ad ogni modo, questa bruttissima storia ricorda, o dovrebbe farlo, a noi tutti che il mondo e la vita non sono fatti quasi mai di bianco o nero. Per quanto sia evidente che personalmente stessi dalla parte dei genitori contro i soggetti pubblici britannici (medici e giudici), non è che non capisca, in astratti, meno nel caso concreto, gli argomenti dei secondi. Ed è quello che spesso accade : non c'è un torto o una ragione, ma due ragioni, ugualmente meritevoli di tutela, e purtroppo contrapposte. A volte è possibile mediare, altre no ed una deve prevalere.
In buona fede (ne sono abbastanza convinto, il che non toglie la sgradevole sensazione che è facile essere...con...degli altri )i medici del prestigioso (adesso ancora più famoso, ma è una fama dubbia, prevalentemente ostile) ospedale inglese e poi il giudice interessato del caso (sempre lui..., da noi non credo sarebbe stato possibile che lo stesso giudice investito la prima volta venisse consultato le successive, con il problema di dover smentire se stesso...ma lì il sistema è diverso) hanno pensato che non ci fossero speranze per Charlie e continuare a tenerlo in vita artificialmente potesse comportare inutili sofferenze.
Come ha ben scritto il professore ed avvocato Cesare Rimini ( https://ultimocamerlengo.blogspot.com/2017/07/god-save-charlie-anche-dallaccanimento.html ) , in mancanza di ragionevole certezza, in diritto si direbbe ragionevole probabilità, la decisione doveva rimanere ai genitori.
Così non è stato.
Ho sentito persone avanti negli anni preoccupate...se un giorno lo Stato decidesse che non ci sono risorse per pagare le cure e l'assistenza dei troppi anziani che non si decidono a morire ?
Paranoie, direte, ma intanto qualcuno ha iniziato a scriverci romanzi...





«Un disastro per tutti. Chi può decidere cos’è una vita degna?»

Julian Savulescu, esperto di bioetica di Oxford:

«I medici non dovevano rivolgersi ai tribunali»

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Londra «Con il senno del poi, questo caso è stato un disastro per tutti». Il filosofo Julian Savulescu, australiano trapiantato in Gran Bretagna, dove dirige il Uehiro Centre for Practical Ethics dell’Università di Oxford, è durissimo sull’esito della battaglia legale intorno al destino di Charlie Gard. E avverte: «Nella società contemporanea serve un approccio etico secolare alle questioni di vita o di morte».

Charlie è molto più di un bambino malato, è diventato un simbolo. Il suo caso segna un passo indietro nel dibattito etico?

«No. È un difficile, incerto passo in avanti. È necessario discutere su come e chi deve decidere ciò che rende una vita degna di essere vissuta, e quali opzioni vale la pena prendere. Alcune persone hanno concluso erroneamente che queste decisioni sono esclusiva dei genitori, ma allo stesso tempo è giusto sfidare i medici e i tribunali. Essi non sono infallibili e non sono Dio.
È mancata una discussione profonda su questo tema e ancora una volta abbiamo chiuso gli occhi davanti al convitato di pietra: le scarse risorse economiche del sistema sanitario britannico».

Molti pensano ora che gli ospedali abbiano troppo potere sui pazienti, in particolare i più giovani. Chi ha il diritto di tracciare i limiti?

«Quando si parla di bambini, è necessaria una supervisione pubblica. Se Connie Yates e Chris Gard avessero chiesto una terapia intensiva per qualche trattamento a base di erbe con zero prove scientifiche, sarebbe stato un abuso. Ma non era questa la loro richiesta.
I medici non dovrebbero attivare meccanismi legali, o fermare genitori che vogliono trasferire i loro bambini per tentare altre terapie mediche, a meno che non vi sia disaccordo nella coppia, stiano andando in un posto non sicuro o la loro scelta sia irragionevole. Il che richiede ai medici di pensare eticamente, oltre ad avere tutte le prove scientifiche. Il problema non è chi ha il potere, è come viene utilizzato».

Tanti mesi per giungere a una decisione legale e ora, ammettono i genitori, è «troppo tardi ».

«Col senno del poi, questo caso è un disastro per tutti. È stato un enorme spreco di denaro pubblico, una pessima pubblicità per l’ospedale e i medici, ma la cosa peggiore è che ha esposto il piccolo Charlie a tutte le controindicazioni di una cura intensiva senza le possibilità di miglioramento di una terapia sperimentale. Non è pensabile una situazione peggiore. Il cervello di Charlie è stato affamato di energia per undici mesi. Charlie è come un fiore che non è stato innaffiato. Se si lascia senza acqua troppo a lungo, si secca e muore».

Medicina, politica, etica e religione: dov’è l’equilibrio? C’è uno scontro di valori?

«C’è sempre uno scontro, perché le persone hanno valori diversi. Ciò che conta è che essi siano ragionevoli e che non si cerchi di imporli sugli altri.
Io non avrei scelto un trattamento sperimentale per mio figlio, se fossi stato nella posizione dei genitori di Charlie, ma questo non significa che essi siano irragionevoli. I tribunali sono intervenuti e li hanno fermati. Il che, a mio avviso, non è giusto».

Bisognava tentare il trattamento sperimentale?

«La condizione di Charlie è così rara che nessuno sa realmente quale sarebbe stato l’effetto della sostituzione del nucleoside finché non fosse stato provato. Ma ora avremmo avuto una prova di sei mesi, invece abbiamo sprecato tempo, procedimenti giudiziari, soldi, facili condanne morali.
È una tragedia che ha provocato divisioni profonde e traumatizzato i genitori di Charlie. Abbiamo davvero bisogno di regole etiche chiare che ci consentano di affrontare questi casi prima di inviarli al giudizio di una Corte».

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