Sembrerebbe una cosa buona, ma in realtà non lo è.
Mi riferisco alla notizia apparsa qualche giorno fa relativa alla circolare che il procuratore capo della procura di Roma ha inviato ai suoi uomini esortandoli ad usare prudenza nell'iscrizione dei denunciati nel libro degli indagati.
L'intento, secondo la spiegazione data, sarebbe lodevole : siccome ci vuole un attimo perché dall'iscrizione si finisca alla gogna mediatica, cerchiamo prima di capire se la denuncia abbia un minimo di fondatezza.
Davide Giacalone, spiega ottimamente, a mio avviso, perché, in realtà, non sia una gran pensata.
Di seguito prima la notizia, come pubblicata dal Corriere della Sera, e poi il commento del bravo opinionista.
Buona Lettura
Circolare
di Pignatone ai pm: «Prudenza e niente fretta sull’iscrizione di un indagato»
Roma, il procuratore: è una condizione che nuoce alle
persone
ROMA L’iscrizione sul registro degli indagati nasce da
esigenze di garanzia nei confronti delle persone coinvolte in un procedimento
penale, ma «la condizione di indagato è connotata da aspetti innegabilmente
negativi». Più danni che vantaggi. Non fosse altro perché «dall’iscrizione e
dai fisiologici atti processuali che ne conseguono (per esempio un avviso di
garanzia, ndr ), si dispiegano, per la persona indagata, effetti
pregiudizievoli non indifferenti, sia sotto il profilo professionale sia in
termini di reputazione».
Da queste e altre considerazioni, sollecitate dalla recente
riforma che prevede novità anche in questa materia, il procuratore di Roma
Giuseppe Pignatone ha preso le mosse per inviare ai colleghi nuove disposizioni
sulle modalità di «iscrizione delle notizie di reato». Un invito alla prudenza,
soprattutto di fronte a esposti contro soggetti indicati con nome e cognome; in
quei casi, sostiene il procuratore, non si deve procedere alla immediata e
meccanica trasformazione del denunciato in «indagato», ma solo in presenza di
«specifici elementi indizianti».
Nella circolare del 2 ottobre, svelata dalla rivista
telematica Questione giustizia , Pignatone ricorda che «frequentemente» un atto
meramente burocratico «diventa strumentalmente utilizzabile, dai denuncianti o
da altri, per fini diversi da quelli dell’accertamento processuale, specie in
contesti di contrapposizione di carattere politico, economico, professionale,
sindacale». Di qui «l’esigenza di non procedere a iscrizioni in modo
affrettato», anche perché «procedere a iscrizioni non necessarie è tanto
inappropriato quanto omettere le iscrizioni dovute». Nella logica della
circolare, l’attenzione su come e quando procedere è tanto più necessaria in
presenza di iniziative da parte di un privato cittadino o degli investigatori;
se infatti da una denuncia o da una querela derivasse una meccanica iscrizione
della persone chiamate in causa, si finirebbe per «attribuire impropriamente
alla polizia giudiziaria, o addirittura al privato denunciante» la possibilità
di attribuire la qualifica di indagato. Invece, scrive il procuratore, «quel
potere non può essere che esclusivo del pubblico ministero, e al suo ponderato
esercizio questo ufficio non intende sottrarsi».
Per fare degli esempi concreti, Pignatone evoca situazioni
in cui sono tirate in ballo società o enti, nelle quali «risulta quasi sempre
laboriosa l’individuazione della condotta umana che sta alla base dell’atto
decisivo ai fini dell’addebito penale». Niente più avvisi di garanzia in
automatico quindi, prima di qualsiasi verifica, per amministratori delegati o
cariche di vertice di una struttura amministrativa. Altro esempio sono i casi
di «responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario».
Troppo spesso, avverte il procuratore, si procede ad iscrizioni a raffica di
tutto il personale che ha avuto a che fare con una singola vicenda, anche solo
per dare loro la possibilità di partecipare con un consulente all’autopsia
della vittima. Sbagliato: «Sino a quando non vi siano indizi specifici sulla
condotta di questo o quell’operatore sanitario, non vi sono i presupposti
perché alcuno di essi sia avvertito del compimento di atti, e in seguito
nessuno potrà validamente opporre di non essere stato iscritto o avvisato».
È prevedibile che non tutti gli avvocati siano d’accordo con
questa impostazione. Se infatti è vero che diventare indagato ha un costo,
soprattutto sociale, dovuto anche alle inevitabili strumentalizzazioni,
l’iscrizione immediata (o quasi) serve a far scattare i termini delle indagini
e impedire tempi indefiniti, oppure il compimento di attività in assenza dei
difensori. Anche per evitare problemi di garanzie negate, la circolare di
Pignatone prevede che quando si debbano compiere atti invasivi verso persone
non direttamente coinvolte nelle indagini (per esempio intercettazioni o
perquisizioni nei confronti di terzi) «si proceda ad uno scrutinio
particolarmente attento, e in alcuni casi sia necessario dare adeguata e
succinta motivazione della scelta di procedere all’atto di indagine pur nei
confronti di un soggetto non indagato».
Giovanni Bianconi
Indagato a sua insaputa
Temo che il capo della procura romana, Giuseppe Pignatone,
si accorgerà presto che tentare di raddrizzare una roba stortignaccola
distorcendola ulteriormente non porta a nulla di diritto.
Accortosi della solare, arcinota e oramai antica evidenza,
ovvero che un avviso di garanzia finisce con l’essere considerato un avviso di
colpevolezza, danneggiando seriamente e troppo a lungo i destinatari, ha
diramato un circolare, indicando ai procuratori alcuni sani principi: l’avviso
di garanzia non può essere emesso in modo meccanico, senza pensarci, occorre
che l’accusa abbia almeno un fondamento, quindi si proceda con prudenza,
consapevoli dei danni alle vite altrui. Molto nobile, ma non porta da nessuna
parte. Per due ragioni.
La prima: sapere di essere indagato, per un cittadino, non è
una bella cosa, ma gli consente di dotarsi di un avvocato e di avere cognizione
di quando le indagini sono iniziate, sicché del termine entro il quale devono
concludersi; se lo si tiene all’oscuro, in via teorica, si può indagarlo a vita.
Vero che occhio non vede cuore non duole, ma vale per le corna, non per la
procedura penale.
La seconda: dopo la circolare Pignatone, ove dovessi ricevere
un avviso di garanzia, non potrei più dire: hanno sbagliato indirizzo, non
c’entro nulla, hanno solo proceduto a un atto dovuto. Perché mi si risponderà:
col piffero, caro mio, hanno già indagato e hanno trovato elementi che ti
inchiodano, in ottemperanza a quanto disposto dal loro capo.
La pezza, insomma, non solo è più colorata, ma rischia
d’essere più bucata del buco. E allora?
Allora: a. si difende il diritto e
s’impara, tutti, che “garanzia” vuol dire garanzia, non colpevolezza; b. si fa
le persone serie e si colpisce veramente (perché si può e si deve) il
procuratore dai cui uffici escono carte che finiscono ai giornali, perché la
macchina dello sputtanamento funziona male, senza l’unità delle carriere di
procuratori e giornalisti; c. si rispettano veramente i tempi previsti dalla
procedura penale, sicché non è che nell’anno zero si aprono le indagini, a
favore di telecamere, nell’anno tre si chiudono e nell’anno del mai si fa
sapere se il Tizio è da rinviare o giudizio o meno; d. si celebrano i processi
nei tempi previsti e civili, talché l’innocente possa rivalersi per le
ingiustizie subite e il colpevole possa andare a scontare la pena; e. se il
procuratore porta a processo troppa gente che si rivela innocente sarà pure
sfortunato, ma è meglio che cambi mestiere; f. quello che derubrica il reato
contestato nel corso del processo, in modo da incassare una prescrizione
anziché un’assoluzione dell’accusato è anche peggio che sfortunato o incapace,
essendo imbroglione.
Sono sicuro che il dottor Pignatone abbia agito con
competenza e a fin di bene, ma una roba così conciata non la si aggiusta, ma
neanche solo rende sostenibile, con qualche botta qua o la.
Quello dell’avviso
di garanzia è un segnalatore di civiltà.
E siccome il pubblico tende a essere
colpevolista e giustizialista, perché lo spettacolo della colpevolezza è mille
volte più avvincente (e autoassolvente) di quello dell’innocenza, se non si
vuole cedere all’inciviltà si deve far funzionare la giustizia. Che fa pena.
Davide Giacalone
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