Non so se il dato sia esatto, sicuramente dà da pensare : il Nord avrebbe un saldo negativo - la differenza tra quanto paga allo Stato Centrale in tasse e quello che gli ritorna - di 96 miliardi.
Quelli della Catalogna rischiano un conflitto che potrebbe veramente diventare tragico per un segno meno che pesa meno di 10 miliardi...
Sempre secondo lo studio letto, le regioni del nord, e principalmente proprio Lombardia e Veneto, che ieri si sono espresse per una maggiore autonomia (e ti credo !!) , avrebbero un livello di pil di poco inferiore a quello svizzero (???) e leggermente superiore a quello tedesco (???).
L'articolo era di Antonio Brambilla e mi sembra fosse sul Corsera di ieri, 22 ottobre.
Ai tempi in cui il Federalismo era di modo, ne scriveva, bene, come solito fare, il professore Luca Ricolfi, immaginandolo come una soluzione virtuosa e la concreta possibilità di un effettivo cambiamento nazionale. Poi, le esitazioni del centro destra e i disastri combinati da Prodi con la modifica del titolo quinto della Costituzione, con dei trasferimenti di competenza non accompagnati dalla responsabilità economica finanziaria, fecero frenare l'idea, con recrudescenza di un centralismo che pure non risolve.
Tra l'altro, la crisi che ha colpito duramente l'intera penisola per quasi due lustri, ora sembra vedere le regioni settentrionali riprendersi, sia pur lentamente, mentre il centro e il sud non vedono luce.
Veneto e Lombardia hanno scelto una strada politica e più propagandistica, quella dei referendum, l'Emilia più pratica, ma tutte e tre le più sane ( o meno inguaiate) regioni italiche si muovono per una maggiore autonomia seguendo, a differenza dei catalani, i dettami normativi e costituzionali.
I governi centrali dovranno tenerne conto.
Di seguito, la pacata analisi di Anotnio Polito sul voto di domenica dei lombardo veneti.
La voce del nord che va ascoltata
di Antonio Polito
l referendum nel Lombardo-Veneto riapre la questione
settentrionale e del federalismo fiscale. Un tema esorcizzato dalla sinistra
(nella sua riforma costituzionale, poi bocciata, Renzi tornava al centralismo),
e abbandonato dalla destra (Salvini ha tentato la via nazionalista, con un
improbabile sfondamento al Sud, e la
Meloni ha apertamente contestato i referendum). Difficile
negare dunque che chi oggi esce rafforzato da una partecipazione sorprendente
in Veneto e comunque significativa in Lombardia, non prevista dalle antenne del
sistema politico e mediatico, sia il leghismo di governo, di Maroni ma
soprattutto di Zaia, il quale si conferma come uno dei pochi leader locali
riusciti con un sano pragmatismo a identificarsi così tanto col proprio popolo
da diventare più forti della loro stessa parte politica.
E rilancia nel Nord anche Berlusconi, il quale è saltato in
extremis sul carro referendario, giustamente riconoscendovi il Dna del suo
messaggio anti tasse della prima ora, e il richiamo della foresta di un
elettorato che il politologo Edmondo Berselli chiamava il forzaleghismo.
Si vede che tanti anni di disillusioni del sogno
federalista, mai realizzato dal centrodestra quando governava, non hanno sopito
un sentimento profondo e radicato, soprattutto in Veneto, che chiede di
trattenere sul territorio almeno una parte del grande gettito fiscale delle
regioni più ricche. Sempre e ovunque, sono i soldi il carburante del
federalismo.
Male ne esce invece il partito di governo, il Pd, molto incerto
sul da farsi, schieratosi a favore con i suoi sindaci del Nord, astenutosi
invece polemicamente con il suo vicesegretario Martina, agnostico con il suo
leader Renzi, evidentemente troppo distratto dalle banche per avvertire quanto
stava accadendo in due grandi regioni settentrionali. Il che ora apre un
rilevante problema politico: come trasformare questa spinta popolare in una
trattativa con un governo a fine legislatura, dunque troppo debole, e come
abbiamo visto anche troppo incerto, per dare risposte immediate. Con la
conseguenza che il dossier federalismo finirà inevitabilmente al centro della
prossima campagna elettorale, cosa che nessuno avrebbe immaginato fino a pochi
giorni fa. Anche il tono e lo stile di questa consultazione referendaria si
sono rivelati un successo. A differenza del separatismo inglese dall’Europa e
di quello catalano dalla Spagna, che hanno riempito le urne ma non hanno finora
ottenuto niente, questa giornata si è svolta in una cornice costituzionale e di
responsabilità nazionale. Si vede che i proponenti non hanno commesso l’errore
di credere che questioni così complesse e delicate possano essere risolte da un
voto popolare concepito come un plebiscito. Tanto più adesso spetta alle due
Regioni, Veneto e Lombardia, elaborare una proposta politica sostenibile,
magari insieme ad altre grandi Regioni del Nord come l’Emilia, che sia capace
di dare sostanza legislativa alla indiscutibile manifestazione di volontà
provenuta ieri dall’elettorato.
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