Una mia carissima e dolcissima amica, e per questo probabilmente anche storica lettrice del Camerlengo, mi chiede come mai non mi sono espresso su Weinstein...
Potrei rispondere che non sono scemo, e che non mi vado ad invischiare in un argomento del genere dove se non sposi la linea della condanna dura senza se e senza ma sei linciato da tutte le esponenti dell'altra metà del cielo.
In realtà non mi piacciono queste storie, che saltano fuori a distanza di decenni, con effetto a catena, e dove la spiegazione più cruda, ma probabilmente vera, per tanto ritardo sarebbe che ieri Weinstein era potente, e nessuno osava mettersi contro di lui, oggi conta molto meno, e allora se po' fa...
Per spiegare con degli esempi, preferisco un Matt Damon che non dimentica le qualità artistiche dell'uomo e il debito con lui che a suo tempo credette in giovani talentuosi come appunto lo stesso Demon e Ben Affleck, non per questo non esprimendo solidarietà alle vittime del lato oscuro dell'orco.
E mi danno da pensare le considerazioni di una donna, Marina Ripa di Meana, sicuramente spregiudicata (issima) ma anche perfetta conoscitrice del mondo dello spettacolo e del tipo di persone, uomini e donne, che lo frequentano.
Micidiale (ancorché divertente) l'espressione letterale : "eravamo quasi tutte pronte a darla anche al gatto, come si dice a Roma, pur di raggiungere lo scopo"
Certo, dice "quasi". Ma confesso che una come Asia Argento non la metterei tra le eccezioni.
Questo non significa che dovesse essere violentata, ovvio.
Solo che capisco la scarsa solidarietà che ha ricevuto, anche dalle donne, e della quale si duole.
Insomma, brutte storie, ma provenienti da un mondo dove il pelo sullo stomaco forse lo trovi anche nelle vittime.
«Quella volta con Scalfari sul mio divano Provai a
sedurlo e lui si ritrasse garbato»
di Marina Ripa di Meana
La protagonista della vita mondana su uomini, donne e il suo
no a Hollywood (per amore)
Caro direttore,
Harvey Weinstein: licenziato dalla sua stessa casa di
produzione, espulso dall’Accademia degli Oscar, privato della Legion d’Onore
che la Francia
gli aveva concesso ai tempi di Sarkozy, indagato da Scotland Yard, abbandonato
dalla moglie Georgina Chapman.
Non staranno esagerando?
Cosa avrebbero dovuto fare a me, che ho tentato di sedurre
nientedimeno che Eugenio Scalfari?
Erano gli anni ’80, avevo appena pubblicato I miei primi
quarant’anni , imperversavano i film sulla mia vita, ero sulla cresta
dell’onda, quando su Repubblica uscì una vignetta di Pericoli e Pirella
decisamente offensiva nei confronti miei, di Sandra Milo e Marta Marzotto.
Vittorio Ripa di Meana, fratello di mio marito Carlo, e avvocato di Repubblica
, avvertì Scalfari che la faccenda era molto seria e che il giornale rischiava
una pesantissima querela. Il direttore allora venne a casa mia per scusarsi e
chiedermi come si poteva lavare l’onta senza spargimento di sangue.
In quel momento mi ricordai che spesso Scalfari aveva detto
che «ero la donna più bella del mondo, che era folgorato dalla mia simpatia».
Allora mi accostai vicina vicina a lui sul divano della mia casa di via
Borgognona e con un bel po’ di presunzione tentai di sedurlo seduta stante.
Dopo qualche «ammoina», gli dissi: «Perché invece di mettere di mezzo avvocati
e querele, non mi dedichi la copertina del Venerdì ?». Lui però rimase
imperturbabile, si ritrasse garbatamente con il suo famoso aplomb, non si lasciò
sedurre e non mi fece nessuna copertina del Venerdì . Poi la faccenda passò
nelle mani degli avvocati.
Insomma, si può anche dire di no.
Come quella volta che stavo a Hong Kong con Roberto Gancia,
a quel tempo mio fidanzato, per concludere un contratto per il mio atelier con
un gruppo di cinesi e con lo sceicco Adnan Khashoggi. Eravamo all’hotel
Mandarin, Roberto e gli altri uomini d’affari stavano in riunione all’ultimo
piano dell’albergo, mentre io poltrivo ancora in camera. A un certo punto
sentii una specie di trambusto, vidi una certa agitazione sotto le coperte.
Ancora assonnata, sollevai il lenzuolo e mi trovai tra le gambe la faccia
dell’arabo dell’entourage di Khasshoggi, che doveva concludere l’affare con il
mio atelier. Lanciai un urlo, gli tirai in testa il vassoio della colazione e
scappai in vestaglia nel corridoio dell’albergo, mentre l’arabo mi inseguiva
gridando in francese che voleva solo fare colazione con me!
Intendo dire che quando cerchiamo di esercitare la
seduzione, deve sempre esserci sempre una certa «complicità orizzontale», se
così vogliamo chiamarla. E che siamo tutti pronti a usare le armi della
libidine, uomini e donne.
Oggi, settantacinquenne, «tumorata» di Dio da ben sedici
anni, fra qualche mese pure bisnonna, sulla base delle mie annose esperienze e
delle confidenze delle mie amiche, posso permettermi di dire che in realtà
eravamo quasi tutte pronte a darla anche al gatto, come si dice a Roma, pur di
raggiungere lo scopo.
E senza fare confusioni tra lupi e agnelli, tra vittime e
carnefici, trovo tuttavia ipocrita questa slavina di perbenismo che l’America
puritana sta riversando addosso a Weinstein.
Quanto ai produttori di cinema, ho anch’io una storia da
raccontare. Anzi, una love story. Verso la fine degli anni 60, un giorno mi
chiama Renzo Avanzo, da tutti detto Renzino, presidente della Technicolor, che
mi dice che Bob Evans, produttore in chief della Paramount, sta per venire a
Roma e vuole incontrarmi. Pare mi avesse vista da qualche parte e pensasse che
ero perfetta per una parte nel suo prossimo film, Love Story . La bella
sorpresa fu che Evans era anche un bellissimo uomo, un tipo alla Dominguin. Io
mi ero appena divisa da mio marito Lante della Rovere, avevo una storia con
Dino Pecci Blunt, ero giovane, piena di vita e di entusiasmo. Accelerai quindi
i nostri incontri, una sera lo portai anche a casa Agnelli e quando Bob mi
riaccompagnò a casa con la sua Rolls Royce, sciorinai tutte le mie arti di
seduzione, dimostrandogli che avevamo anche una perfetta intesa fisica. Un
giorno Evans parte per Londra e io tento in tutti i modi di non perderlo di
vista. Approfitto di un invito di Tina Livanos, ex moglie di Onassis, a un
grande ricevimento e vado a Londra con Pecci Blunt. Durante la serata mi aggiro
per i saloni con in mano un bicchiere di champagne, annoiandomi a morte. A un
certo punto arriva la Rolls
di Evans con autista e mi porta all’hotel Connaught, dove mi aspettava Bob.
Tornati a Roma, sembra cotto a puntino e deciso a darmi la parte. L’unico
problema è che a questo punto mi innamoro pazzamente di Franco Angeli e quando
Evans mi chiama per chiudere il contratto e partire per l’America, io gli dico
semplicemente: no, grazie.
Una rinuncia in piena regola, solo per amore…
Tutte queste attrici che oggi accusano Weinstein di
«molestie» hanno a mio parere il torto di allinearsi, di fare fronte comune.
Una specie di class action . Io preferisco l’azione individuale, libera. E mi
ha deluso Asia Argento. La considero la migliore attrice italiana, la più
intelligente, la più estrosa, con quella sua bella voce un po’ roca e
quell’arietta torbida da baby delinquente. Dice che ha accettato le avances di
Weinstein solo per non farsi rovinare la carriera. Lei però a vent’anni ne
sapeva una più del diavolo.
Trovo che accanirsi contro il produttore americano non
faccia un buon servizio al femminismo. Credo che la cosa davvero grave siano le
donne picchiate e violentate in famiglia o uccise dai loro ex, le ragazze
ammazzate per strada, o irretite magari da due carabinieri in divisa.
Oppure
penso a Claudia Cardinale, che per anni ha subito la violenza mentale del suo
compagno, il produttore Cristaldi, che le ha imposto di non parlare del figlio
illegittimo che aveva avuto da ragazzina. Queste sono le vere tragedie, i pesi
che nessuno ti toglie dal cuore.
Il resto, è solo la riprova che siamo tutti porci, donne e
uomini. Porci senza le ali.
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