martedì 10 ottobre 2017

PANEBIANCO INVIDIA LA FRANCIA DI MACRON. PERCHE' NON LA RUSSIA DI PUTIN ?

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Angelo Panebianco prende spunto dalle debolezze post elettorali attuali e/o previste (leggi Italia) per tornare su un argomento a lui caro : avere un sistema di voto che garantisca, al di là del consenso effettivo, ampi poteri al vincitore, in modo che quest'ultimo possa governare. 
Gli fanno eco i vari sondaggisti, preoccupati che anche il cd. "rosatellum", una edulcorazione in salsa proporzionale del Mattarellum (collegi uninominali sì, ma limitati, e più ampia percentuale proporzionale, questo sembra essere l'impianto della legge) , con omogenizzazione dei sistemi di elezione di Camera e Senato, e contentini per tutti o quasi (la legge scontenta i grillini, che però sono stati quelli che hanno affossato il cd. "sistema tedesco" - in realtà molto italianizzato - e quindi qualche mea colpa dovrebbero farselo), alla fine non produrrà una maggioranza certa. 
Quello che si capisce, da tempo, è che Panebianco e altri come lui, guardano alla Francia come al sistema ideale.
E certo, nemmeno l'uninominale secco inglese gli va più bene, visto che da un po' nemmeno quello produce maggioranze "certe", con necessità di chi è arrivato sì primo, ma non con numeri bastanti alla maggioranza assoluta, a cercare alleati (accadde a Cameron la prima volta, nel 2010, ricapitato ora, 2017, alla May).
Invece la Francia, grazie al doppio turno senza quorum di partecipazione (quello giustamente richiesto dalla nostra Corte Costituzionale bocciando il renziano italicum) assicura poteri pieni a Macron, che alla fine della fiera è stato votato dal 23% dei francesi. Bellissimo, per Panebianco e company.
Bene, continuo a pensare il contrario.
E sono certo che al professore, e ai suoi adepti, 'sta cosa piacerebbe molto meno se al posto di Macron ci fosse stata la Le Pen (o domani Di Maio qui da noi).
Io non rincorro una legge elettorale che faccia vincere la mia parte, ma una che concili in modo accettabile rappresentanza e governabilità, in una equilibrio dove però, se qualcosa in più dovrà essere sacrificato, la bilancia dovrà propendere verso il primo aspetto, visto che siamo in democrazia. 
Ora un sistema che consente ad uno, che nemmeno ha un partito, di diventare il capo dello stato non rappresentando nemmeno un elettore su quattro, non mi sembra buono. 
E questo a prescindere dall'uomo, ché Macron a me nemmeno mi va male, avendo comunque un pragmatismo vagamente liberale che certo preferisco alla demagogia di marca socialista, così come temo gli estremismi lepenisti. 
A Panebianco non piace Putin.
A questo punto mi domando perché : è dal 1999 che, o come primo ministro o come presidente, governa la Russia con mano ferma, sotto la sua guida non c'è dubbio che la sua nazione sia tornata ad essere una potenza temuta e rispettata, molto più efficace nel gestire le sue cose - sia estere che interne - rispetto alla democrazia americana.
Il sistema russo non risponde esattamente ai criteri democratici occidentali ? E pazienza : governabilità a iosa... 

Il Corriere della Sera - Digital Edition

L’Europa dei leader deboli
di Angelo Panebianco



S arebbe un discreto paradosso storico se proprio le istituzioni create in Francia, alla fine degli anni Cinquanta, dal generale Charles de Gaulle, il fondatore della Quinta Repubblica, servissero oggi a favorire un salto di qualità dell’integrazione europea, a pungolare l’Europa costringendola a fare passi importanti in direzione dell’unione politica. Il generale non credeva affatto in una Europa sovranazionale, la pensava solo come la casa comune di un insieme di Stati sovra ni (che dello Stato sovrano avrebbero mantenuto le prerogative). Eppure, è proprio grazie alle istituzioni golliste che l’attuale presidente Emmanuel Macron ha potuto pronunciarsi solennemente a favore della «sovranità europea», in un discorso alla Sorbona del 26 settembre, forse, chissà?, destinato a passare alla storia. Macron ha prefigurato un’Europa politica in grado di fronteggiare le sfide che incombono: una vera difesa comune, la capacità di controllare i confini esterni, innovazioni istituzionali per completare l’integrazione economico-finanziaria, governare la rivoluzione digitale, fronteggiare i mutamenti climatici. Se solo il dieci per cento di quanto proposto da Macron venisse realizzato, l’integrazione europea farebbe grandi passi avanti.
Ma non è questo oggi il punto interessante. È interessante il fatto che solo il Presidente francese, fra tutti i capi di governo europei, disponga in questo momento della capacità «politico-istituzionale» necessaria per muoversi efficacemente in Europa.
L a qualità degli uomini è sempre importantissima e Macron non è Hollande. Ma senza le istituzioni volute da de Gaulle neppure un Macron potrebbe combinare molto.
Con l’eccezione della Francia, il panorama è desolante. La Gran Bretagna sta togliendo il disturbo (un guaio per noi italiani che non avremo sponde, e quindi margini di gioco, tutte le volte che francesi e tedeschi si metteranno d’accordo su questo o quel tema). La Spagna che — comunque vada a finire il braccio di ferro fra Madrid e Barcellona ne uscirà assai indebolita — non sarà a lungo un giocatore di qualche peso in Europa... L’Italia, come è suo costume, vive precariamente. Danza, come al solito, con la sua cronica instabilità e il suo debito pubblico, sull’orlo del solito precipizio. Pochi scommettono su un suo futuro di stabilità e governabilità. In queste circostanze, anche il ruolo dell’Italia in Europa è destinato a restare volatile e precario. Infine, nella Germania trauma-tizzata dai risultati elettorali che hanno visto una forte affermazione di un partito anti-establishment, si formerà forse, dopo lunghe trattative, un governo di cani e gatti (verdi, liberali, cristiano-sociali) guidato da una Merkel politicamente usurata e difficilmente destinato a fare scelte coraggiose in Europa.
La verità è che Macron, in Europa, è solo. Grazie a istituzioni che non garantiscono ma permettono una forte concentrazione del potere nelle mani del Presidente, Macron dispone di una libertà di manovra che oggi manca, per una ragione o per l’altra, ai leader degli altri principali Paesi europei. Forse quella libertà di manovra gli consentirà di trascinarsi dietro una riluttante Germania e gli altri, sul solco del discorso della Sorbona. Questa verrebbe considerata una buona cosa per l’Unione Europea da (quasi) tutti gli europeisti. Sempre che si pensi — ma non è il pensiero di chi scrive — che un’Europa fin troppo influenzata dalla tradizione statalista francese, senza più nemmeno i correttivi imposti dal liberalismo britannico, sia una ipotesi davvero attraente.
Non è detto, d’altra parte, che Macron riesca a imporsi in Europa. La debolezza degli altri, anziché un vantaggio, potrebbe risultare un ostacolo. I vari governi potrebbero essere troppo condizionati dalle lotte di fazione a casa loro per essere in grado di sottoscrivere decisioni innovative a Bruxelles.
L’uscita della Gran Bretagna lascia in Europa una sola autentica «democrazia maggioritaria»: la Francia, con il suo sistema elettorale (maggioritario a doppio turno) e con il suo presidenzialismo. Con la capacità, propria delle democrazie maggioritarie, di mettere «un uomo solo al comando»: una virtù politica in Francia e in Gran Bretagna ma anche, come sappiamo, un terribile vizio, qualcosa di paragonabile al fascismo o giù di lì, per tanti italiani.

Le democrazie europee, tutte, devono oggi fronteggiare sfide potenti: insicurezze collettive, declino delle fiducia di rivelanti porzioni del pubblico nelle virtù della democrazia rappresentativa, rampanti movimenti anti-sistema. Queste sfide possono essere più facilmente riassorbite grazie alla flessibilità propria delle democrazie proporzionalistiche o alla rigidità delle democrazie maggioritarie? Serve di più il fatto che le prime riesca no talvolta (ma non sempre) ad assorbire le spinte antisistema e ad addomesticarle, pagando però il prezzo di una elevata instabilità e di una bassa capacità decisionale? Oppure serve di più il fatto che le democrazie maggioritarie riescano talvolta (ma non sempre) a fronteggiare con efficacia le sfide grazie alla stabilità politica e alla capacità di governo? Il dibattito è aperto. Sarà un buon test guardare Macron all’opera, capire, soprattutto, se avrà successo o no il suo programma di riforme interne. Sarà allora anche possibile giudicare la sua presidenza. Quel giudizio, a sua volta, servirà agli altri europei. Anche a quegli italiani che sembrano talvolta inconsapevoli dell’importanza delle istituzioni.

1 commento:

  1. Poi se qualche avversario politico muore avvelenato pazienza! UNCLE

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