Dopo la vittoria - non proprio un trionfo, ché il 40% scarso di meno della metà dell'elettorato avente diritto al voto (il 54% dei siciliani sono rimasti a casa, e non c'era il mare di mezzo...) significa che ti ha votato un isolano su 5...- di Musumeci e del centro destra in Sicilia, in tanti parlano della ennesima resurrezione di Berlusconi.
La cosa mi spaventa alquanto sia razionalmente, ché a 81 anni forse sarebbe anche il caso di lasciar perdere, a prescindere da qualsiasi altra considerazione, sia emotivamente. Il solo pensiero che, tornando in auge il Cavaliere, resuscitino dalle tombe anche i suoi fanatici, ossessionati demonizzatori, mi fa venire l'orticaria !
Panebianco mi conforta, osservando anche lui come, per quanto pervicaci, sti signori non dovrebbero uscire dalle tane col piglio antico, se non altro perché il nemico è obiettivamente invecchiato e non può "spaventare" come un tempo.
Oggi, nel migliore dei casi, Berlusconi è elemento necessario alla vittoria del centro destra ma sicuramente non sufficiente, e a livello nazionale, Forza Italia, se veramente arrivasse al 20% agognato (difficile) peserebbe tanto quanto la Lega e FDI insieme.
Un centro destra di lotta e di governo, lo ha definito Giovanni Orsina, nel suo editoriale di martedì scorso su La Stampa.
Quella che potrebbe sembrare una contraddizione inconciliabile, e quindi il neo moderato Berlusconi (lui stesso non parla più di rivoluzione liberale ma "moderata", un ossimoro se vogliamo) con i protestatari "sovranisti" Salvini e Meloni, sarebbe alla fine accettabile dal popolo di centro destra, pur di evitare la vittoria dei grillini o dei nemici storici della sinistra.
Sicuramente, l'elettorato moderato lungamente vellicato da Renzi, non sembra più intenzionato a scegliere il toscano come uomo "argine" contro l'avventurismo grillino (come accadde nelle ormai mitiche elezioni europee del 2014).
Ecco, Panebianco ipotizza che quell'argine, assolutamente necessario per evitare una funesta deriva pentastellata, possa essere Berlusconi, sia pure annacquato in alleanze molto stringenti e dove la prospettiva non è certo quella di rivederlo a Palazzo Chigi (Travaglio e Santoro farebbero una festa segreta se accadesse..., e come loro vari altri) .
In realtà, a mio avviso, l'alleanza più autentica, per contiguità di programmi e visione dell'assetto societario, sarebbe proprio quella tra gli attuali partiti di Forza Italia e PD, molto orientati al centro, con tutti gli altri proiettati sulle rispettive ali. Ma sarebbe chiedere troppo agli elettori storici delle due forze, ché un conto e accettare i compromessi "costretti" ( e allora vanno bene TUTTI, da Alfano a Verdini) , altro e dire con onestà e schiettezza PRIMA del voto : signori, in questa situazione storico politica, da soli non avremo mai la maggioranza, e quindi immaginiamo di coalizzarci con la formazione che ci è più vicina, o almeno meno lontana, in materia di economia ed europa.
Impossibile.
Anche se non mi pare un grande spettacolo quello che si prepara, con partiti che si presenteranno coalizzati per prendere più voti possibili, e poi, non raggiunta la maggioranza, scioglieranno le coalizioni per andare ognuno dove gli pare.
Allora sarebbe più giusto che ognuno si presentasse da solo, come in Germania, e poi si vede.
Buona Lettura
Il sistema politico
italiano è una specie di macchina adibita alla produzione di partiti antisistema.
Ciò ha sempre reso indispensabile il ricorso agli argini
di Angelo Panebianco
La rinascita politica di Silvio Berlusconi farà rinascere
anche l’antiberlusconismo?In parte, certamente sì, ma forse solo in parte.
Perché sono cambiate le circostanze. All’epoca del bipolarismo
Berlusconi/sinistra, per circa un quindicennio, grosso modo dal 1994 al 2011
(caduta dell’ultimo governo Berlusconi) l’antiberlusconismo fu virulento. Si
andava dalle periodiche manifestazioni oceaniche contro il «nuovo tiranno»,
all’ossessiva, ossessionante (e quasi sempre ridicola) presenza di Berlusconi
in quasi tutte le conversazioni private, ai brindisi (perché ci furono anche
quelli) quando circolavano voci su sue vere o presunte malattie, al tifo da
stadio con cui venivano seguite le inchieste giudiziarie su di lui, eccetera,
eccetera.
Una parte del Paese era con Berlusconi e un’altra parte
avrebbe voluto vederlo in galera a vita. Poi, a poco a poco, man mano che
si diffuse, dopo il 2011, la consapevolezza che molto difficilmente Berlusconi
sarebbe ritornato al governo, le manifestazioni di antiberlusconismo virulento
si placarono. Cambiarono appunto le circostanze: con le elezioni del 2013 si
manifestò con la massima forza la sfida antisistema dei 5 Stelle. Per reazione
a quel successo e alla contemporanea sconfitta del Pd, emerse una nuova
leadership, quella di Matteo Renzi. Berlusconi sembrava ormai fuori gioco.
Coloro che hanno sempre bisogno di individuare il Mussolini di turno ora
potevano prendersela con Renzi.
Così si comportavano, ad esempio, quei poveri di spirito
— ne ho ascoltati personalmente almeno un paio — che all’epoca della campagna
referendaria dello scorso anno paragonavano la proposta riforma del Senato alla
marcia su Roma.
La resurrezione politica di Berlusconi farà dunque
rinascere l’antiberlusconismo. Dal momento che in Italia esiste una costante,
diffusa e incomprimibile «domanda di mercato»: la domanda di avere sempre a
disposizione un «uomo forte» da demonizzare. E se c’è la domanda non può non
esserci anche l’offerta. Forse però gli anni ruggenti, i tempi d’oro
dell’antiberlusconismo d’antan non torneranno.
La virulenza dell’antiberlusconismo aveva tre cause. La
prima, già indicata, era il «complesso del tiranno» ma da solo esso non era
sufficiente a rendere così intenso quel sentimento. L’intensità dipendeva da
altre due cause. In primo luogo, il fatto che Berlusconi calamitasse gran parte
dell’opposizione a quella sinistra che era erede del glorioso Partito
comunista: sono sempre state tante in Italia le persone per le quali
l’anticomunismo era inconcepibile, una manifestazione di furfanteria. In
secondo luogo, il fatto che a opporsi alla sinistra fosse, niente meno, un
miliardario «che si era fatto da sé». Per il senso comune di sinistra un
miliardario poteva anche essere tollerato ma solo a due condizioni: che avesse
ereditato il patrimonio e che non fosse ostile alla sinistra. Un self made
man, per giunta anticomunista, era, per quel senso comune, il massimo della
volgarità e, insieme, della filibusteria.
Oggi però il gioco è cambiato. In Sicilia non
c’è stato uno scontro destra/sinistra ma uno scontro destra/5 Stelle. Se
l’avversario di Berlusconi non sarà più (o non sarà più prevalentemente) la
sinistra ma il movimento di Grillo ciò influenzerà atteggiamenti e
comportamenti degli antiberlusconiani di un tempo. Una parte, sicuramente, si
unirà ai 5 Stelle, un’altra parte resterà legata al Pd, un’altra sceglierà la
neutralità, e un’altra ancora, infine, opterà per quello che riterrà il male
minore: Berlusconi, appunto.
C’è per giunta un altro aspetto da considerare. La
rinascita politica di Berlusconi si deve sia alle sue capacità politiche sia
alle circostanze. Ma Berlusconi, nelle nuove condizioni, finita l’epoca del
maggioritario, non potrà più concentrare il potere nelle sue mani come faceva
in passato: dovrà trattare (come ha fatto in Sicilia, accettando di convergere
sulla candidatura di Musumeci) con gli altri membri della coalizione. Apparirà
comunque molto meno «uomo forte» di come apparisse un tempo. E anche questo
contribuirà a smorzare l’antiberlusconismo. Osservo che, in futuro, soprattutto
in caso di successo delle liste berlusconiane nelle prossime elezioni, un clima
meno segnato dall’antiberlusconismo più sgangherato aiuterebbe chi è
interessato a mettere in risalto i veri difetti di Berlusconi come uomo di
governo (o almeno, quelli che già conosciamo): l’improvvisazione , l’incapacità
di ridurre almeno un poco il gap fra le mirabolanti promesse elettorali e la
gestione quotidiana del potere.
Il sistema politico italiano è, da sempre, una specie di macchina
adibita alla produzione continua di partiti antisistema. Ciò ha sempre reso indispensabile il ricorso alla costruzione di
«dighe». Nella Prima Repubblica la diga era
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