giovedì 3 maggio 2018

MEGLIO RENZINO CHE DI MAIO ( E I DEMOCRISTI COMUNISTI )

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Ho avversato il Renzi arrogante e prepotente premier, padrone di un parlamento ereditato dal Porcellum. 
Ho votato NO al suo referendum, ché se avesse presentato i quesiti separatamente mi sarei regolato diversamente, distinguendo, e sono stato contento degli insuccessi elettorali successivi, fino alle elezioni del 4 marzo.
Alle politiche, confidavo invece in una tenuta del PDR, che so, un 25% simil Bersani del 2013, poco giù di lì. Perché alla fine della fiera, meglio il toscano che quelli della ditta o i vetero democristiani alla Franceschini, personaggio che disprezzo profondamente per un'opportunismo spinto oltre il pur conosciuto malcostume della politica. 
Con tutti i limiti del caso, Renzi veramente almeno un po' si avvicina ad un'idea Liberal della sinistra, clintoniana e/o blairiana, mentre gli altri sono sempre lì, a parlare solo di disuguaglianza, ti tasse da far pagare a tutti, di occupazione, senza mai suggerire ricette concrete e plausibili per realizzare il vasto programma che si propongono.
I grillini sono peggio. E non è un caso che certa sinistra tutto sommato non veda disdicevole una commistione con i pentastellati mentre Renzi si oppone con forza.
E allora DAJE RENZINO !! 
Meglio te, direbbe il mio amato Indro (Montanelli, per i giovani)

LaStampa.it


Renzi: “Il mio Pd non può essere la sesta stella dei grillini”

Guerini e Rosato in pista per sostituire il reggente tra dieci giorni

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CARLO BERTINI

Alle otto di mattina Matteo Renzi corre con le sue scarpe da jogging lungo le Cascine, auricolare iper attivo. Alle otto di sera, nella sua posizione di pendolare all’americana, corre in auto verso Firenze e commenta gasato al telefono con un senatore le dodici ore trascorse nella capitale, dopo aver vinto la prova di forza sui numeri con i «governisti». Che oggi in Direzione potranno magari strappare un ok all’operato di Martina con un voto unanime; dovendo però ingoiare pure un voto sul documento già firmato ieri da 120 membri della Direzione su 209,compresi Padoan e Calenda. Una pietra tombale su un qualsiasi accordo di governo con i grillini. 

Una debàcle strategica vista nell’ottica dell’ex segretario. Sconcertato dal veder rilanciare l’altra sera da Vespa per bocca di Piero Fassino una tesi la cui paternità Renzi attribuisce a Walter Veltroni. Di un nuovo bipolarismo, con M5S e Pd nella parte di attori di una sorta di nuovo centrosinistra, da contrapporre al centrodestra sovranista. «Ci rendiamo conto? Il Pd dovrebbe diventare una sorta di badante dei 5stelle per un nuovo centrosinistra di populisti a cinque stelle. Ma davvero pensa che noi possiamo essere la sesta stella di questi qui? Non esiste». Beninteso: il confronto a due si può fare, «in streaming però». E partendo dal presupposto che Di Maio non possa fare il premier - concetto fatto recapitare da Renzi all’interessato anche per “vie brevi” nei giorni scorsi. Con il messaggio implicito che in tal modo lui dovrebbe concedere qualcosa avendo poco o nulla in cambio, rischiando così di perdere la sua base di consenso. 

Quindi la serata porta un buio sempre più fitto sulla scena della crisi: nel Pd gira voce che Mattarella possa dare un incarico a Sabino Cassese per un esecutivo di tregua fino alle elezioni, con Di Maio confinato nel ruolo di ministro degli Esteri. Renzi, che come tutti i big è terminale dei tanti spifferi che percorrono i Palazzi, con i suoi analizza le varie ipotesi sul tappeto. Tutto il Pd, non solo quello dei suoi detrattori, direbbe sì ad un «governo delle regole», ma se fosse mai varato tale progetto con l’adesione di altri attori protagonisti, un’altra querelle scoppierebbe sulla presenza di ministri Dem nella compagine. Comunque sia, la vera questione in ballo nella diatriba interna ai Dem ruota attorno al nuovo centrosinistra con i pentastellati «che sarebbe la fine del Pd», per dirla con Renzi. E la lotta di potere nel partito ne è la cornice. 

La tesi dell’ex premier riferita dai suoi compagni di strada è che il vero regista di tutta l’operazione per puntellare Maurizio Martina, ovvero Dario Franceschini, ha finito per sortire l’effetto opposto. Se tutto va bene, il «reggente» oggi vedrà confermata la fiducia anche dai renziani, ma per una decina di giorni. Perché Renzi e Orfini pensano di convocare l’assemblea il 12 maggio e lì potrebbe compiersi la famosa resa dei conti, con due esiti possibili: o la salita al trono del Pd di Lorenzo Guerini o Ettore Rosato per il ruolo di segretario fino al congresso di là da venire; o la convocazione delle primarie a breve per scegliere il nuovo leader anticipando così le assise congressuali. 

Da giorni - così Renzi ne parlava ieri pomeriggio con i suoi - Franceschini voleva la conta per dimostrare che il perimetro della ex maggioranza è cambiato, ma il documento «pacifista» di Guerini («sì al confronto ma niente fiducia a un governo guidato da Salvini o Di Maio») porta in dote a Renzi le firme di 120 membri della direzione. E non era scontato, visto anche tra i suoi più d’uno nutriva perplessità sul metodo, come Matteo Richetti che non l’ha firmato pur essendo d’accordo nel merito. In contatto con Lotti, Guerini, Rosato e Marcucci, l’ex segretario spulcia i nomi dei 39 senatori su 53 e dei 77 deputati su 111 in calce al documento che anticipa la conta di oggi. 

Fa nulla che dall’altra parte l’abbiano preso non male, malissimo, come il sito «senzadime.it» con le «liste di proscrizione» sui favorevoli o contrari all’accordo. O che abbiano capito che il voto di fiducia a Martina di fatto lo obbligherà a non fare alcun accordo con i grillini. Per Renzi l’importante è uscire da questa Direzione avendo ribadito chi comanda e con un partito non spaccato plasticamente. Potendo dire che «non si può votare la fiducia al governo Di Maio, perché così la pensa la stragrande maggioranza della nostra base, del nostro elettorato, dei nostri gruppi parlamentari».

3 commenti:

  1. Condivido, ma le giustificazioni per il mancato sostegno al referendum di dicembre 2016 rivelano una gran coda di paglia. Certo, le proposte di riforma costituyzionale potevano essere formulate meglio (come sempre del resto: in politica le proposte sono sempre frutto di compromesssi e i compromessi per definizione sono al ribasso); certo, era probabilmente meglio separare le proposte di riforma dalla modifica della legge elettorale; certo, l’incidenza del premio di maggioranza nella legge elettorale era eccessivo: tutto giusto. Però, ancora più giusto è che con un sì a quel referendum il paese avrebbe svoltato nella direzione giusta, mentre il no lo ha indirizzato nel senso sbagliato, tra l’altro un senso già tristemente noto e a lungo sperimentato sperimentato con pessimi risultati: parlamento molto rappresentativo ma pletorico, governi deboli, nessuna capacità di realizzare riforme incisive, subordinazione della politica nazionale a compromessi inerziali di conservazione (o moltiplicazione) delle poltrone o alle pressioni esterne provenientyi da EU e USA. Il gusto di fare l’ombrello a renzi basta a motivare questo mezzo disastro? Con tutta l’antipatia per l’ex premier (che ancora non ha capito che meno si fa vedere meglio è) fatico molto a crederlo. La realtà è che il paese si è fatto trascinare dall’astio verso renzi (molto televisivo e molto indotto da commentatori interessati) e si è sparato sui piedi. E, come già accadde per altri infausti referendum (penso a quello sul nucleare, che ci ha condannati per un trentennio a costi dell’energia fuori mercato e ad una dipendenza da paesi politicamente instabili che nessuno stato serio avrebbe accettato) ora sarà impossibile rimediare: le beghe tra di maio e salvini sono il nostro destino per qualche lustro a venire. Spiace che un commentatore lucido come lei sia caduto nell’errore. La fede juventina la riscatta, ma non del tutto.

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  2. Il commento è decisamente simpatico nei toni, e mi ha fatto sorridere, ancorché riflettere.
    Vede caro Enrico, a me non piace chi forza la mano, e Renzi questo ha sempre fatto nei suoi anni a Palazzo Chigi, forte di una maggioranza che non era nemmeno la sua. Nel caso del referendum la scelta del tutto o niente - i radicali si erano rivolti addirittura alla Consulta per chiedere la separazione dei quesiti - è stata fatale perché ha sommato i contrari a prescindere, perché antirenziani, con quelli che, come me, avrebbero approvato alcune cose e altre no. In questa maniera, tra l'altro, il referendum non sarebbe stato un'ordalia sul premier.
    E veniamo alla legge elettorale. A parte la bocciatura, sacrosanta, della Corte Costituzionale, il rosatellum avrebbe oggi assegnato tutto il potere ai grillini, ché al ballottaggio non ce li vedo quelli del PD votare Berlusconi e Salvini pur di evitare la iattura ortottera a Palazzo Chigi. I democrats, visto l'andazzo degli ultimi due anni, mai sarebbero arrivati al secondo turno. E il 40% al momento è sfiorato solo dal centrodestra.
    Ma a prescindere da questo, lei cortesemente mi legge e sa come la penso : la governabilità è un valore importante ma non può sacrificare oltremodo la rappresentanza. A me non dispiace la politica di MAcron, anzi, ma non trovo affatto giusto che un uomo che ha ottenuto solo il 23% dei consensi alla fine si ritrovi ad avere tanto potere. Senza contare le difficoltà di adottare misure importanti, ritrovandosi mezzo paese in piazza a contestare e fare scioperi. La democrazia è, prima di tutto, consenso. Può non piacere, ma allora facciamo altro.

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