Perché penso che fino al 17 marzo non accadrà nulla di significativo? Perché nello stato di Kerala dove sono i nostri ci sono le ELEZIONI, e il governo, che ha una maggioranza risicatissima, non ha certo intenzione di perderla per fare un favore all'Italia, mostrandosi disponibile alle nostre istanze e scontentando una popolazione agli occhi della quale i nostri sono stati dipinti come i sicuri colpevoli.
Già tanto che il governatore, intervistato da quattro giornalisti occidentali, tra cui Sarcina del Corsera, si sia espresso con toni meno duri rispetto agli inizi dove aveva parlato di "prove incontrovertibili" della colpevolezza dei Marò. mentre ora , pur ribadendo la competenza dell'autorità giudiziaria del suo paese, è lì che ricorda gli ottimi rapporti tra Italia e India, che i soldati italiani hanno un trattamento di riguardo sia pure nella loro condizione di arrestati, che tutto procederà con le opportune garanzie.
Anche Sergio Romano commentava oggi che l'incidente è occorso in un momento sfavorevole, stante la debolezza contingente del governo centrale, causa un calo della crescita economica (6%.....roba che in occidente ce la sognamo una percentuale così, ma le condizioni di partenza sono assai diverse , e anche le bocche da sfamare...), la Ghandi è malata, il figlio in calo di consensi, e in questi casi una bella crisetta internazionale per distrarre i propri concittadine e anzi spingerli a serrare i ranghi in nome della patria non è occasione che si possa perdere.
Se però l'analisi dell'ex ambasciatore fosse corretta, allora non sarebbe sufficiente oltrepassare il 17 marzo e le elezioni in Kerala, perché il problema, a livello nazionale, rimarrebbe.
Sarcina ( ricordo di averlo scritto fin dall'inizio) a sua volta ha criticato il governo italiano di essersi mosso tardi e male nel cercare l'aiuto degli alleati nell'incidente occorso. A parte l'Europa, con lady Asthon solo adesso all'opera, non risulta che si sia chiesto il ben più autorevole aiuto dell'alleato di sempre, gli Stati Uniti. Eppure qualche cambiale da spendere ce la dovremmo avere visto che dopo gli inglesi, siamo quelli che più hanno seguito gli americani nelle varie "guerre di pace" che negli ultimi 20 anni sono state intraprese ( Iraq 1 e 2, Afghanistan ) , pagando i nostri prezzi.
Ci sarebbe stato da sensibilizzare particolarmente anche la Gran Bretagna, che storicamente con l'India ha un legame particolare come ex potenza coloniale, ma dopo il tragico pasticcio nigeriano, con la morte del povero Lamolinara, quella strada al momento sembra non praticabile.
Fatto il punto della situazione, sul Giornale di ieri c'è una intrigante e, a mio avviso, plausibile ricostruzione di come sono andate le cose quel 15 febbraio, con la spiegazione di come gli italiani siano stati ingannati e tratti in trappola dagli indiani. Proprio noi, che ci crediamo sempre i più furbi di tutti....
Certo non c'è certezza che i fatti siano stati proprio questi, il quotidiano parla di fonti attendibilissime ma non le cita. Però, come detto, la ricostruzione fila.
Così i nostri marò, Massimiliano Latorre e Salvatore Girolamo, sono finiti nelle galere indiane. Il Giornale, grazie a fonti incrociate, che hanno chiesto l’anonimato, ricostruisce cosa è realmente accaduto il 15 febbraio.
Il nucleo antipirateria, comandato dal capo di prima classe Latorre, ha appena respinto, in acque internazionali, un presunto attacco dei pirati alla petroliera Enrica Lexie sparando colpi di avvertimento in acqua, secondo il rapporto scritto a caldo.
A terra la Guardia costiera indiana viene informata che due pescatori sono stati uccisi. Il proprietario del peschereccio sostiene che gli spari sono arrivati da una nave mercantile. Il comandante della Guardia costiera dell’India occidentale, S.P.S Basra si inventa «una tattica ingegnosa», come lui stesso ammetterà qualche giorno dopo. Ovvero lancia un’esca sperando che qualcuno finisca in trappola. «Eravamo nel buio più completo riguardo a chi avesse potuto sparare ai pescatori. Grazie ai sistemi radar abbiamo localizzato quattro navi che si trovavano in un raggio fra 40 e 60 miglia nautiche dal luogo dell’incidente» ha spiegato l’alto ufficiale. Gli indiani chiedono via radio se qualcuno «avesse respinto per caso un attacco dei pirati. Solo gli italiani rispondono positivamente». Quello che Basra non dice è l’inganno comunicato via radio: «Tornate in porto per riconoscere i pirati» che sembrava fossero stati catturati o individuati.
James, il primo ufficiale di coperta indiano della petroliera, conferma a una fonte del Giornale: «Eravamo in acque internazionali, ma quando uno Stato costiero chiede assistenza per un’indagine è nostro dovere obbedire. Non solo: ci avevano promesso che non avremmo subito ritardi». Da terra gli indiani mentono spudoratamente chiudendo la trappola. Il comandante, Umberto Vitelli, deve, per qualsiasi inversione di rotta, segnalarla all’armatore e al charter che affitta la nave. La petroliera è dei Fratelli D’Amato spa di Napoli, la stessa società che per 11 mesi si è vista sequestrare nave Savina Caylin, con cinque ufficiali italiani a bordo, dai pirati somali.
Secondo più fonti, compreso il sito Liberoreporter che si è occupato a lungo del Savina, dalla società armatrice arriva il via libera per tornare a Kochi: «Fate come dicono loro».
I marò informano il proprio comando e la Marina contatta la Farnesina. Il ministero degli Esteri chiama l’armatore per chiedere cosa stia accadendo. Dall’altra parte del telefono viene garantito che «è solo un controllo di routine». La Marina, però, monitorizza la situazione e nota che i media indiani già lanciano notizie di una nave italiana individuata per la morte dei pescatori. La Difesa vuole che la nave tiri dritto, ma è già troppo tardi. La petroliera è entrata nelle acque territoriali indiane. Il sistema si mette in allarme dalle 17.45 ora italiana, ma un elicottero e due motovedette indiani hanno intercettato la petroliera per scortarla in porto. La nave è già alla fonda quando si annusa il pericolo, anche se non risulta ancora chiaro l’inganno.
In serata nella rada di Kochi, il capitano chiede agli indiani: «Facciamo presto che domani dobbiamo ripartire». A quel punto le autorità locali scoprono le carte e gli ordinano di non muoversi. La trappola si chiude e per i marò il destino del carcere è segnato.
La Farnesina sostiene di non aver mai «chiesto, né autorizzato il comandante della nave» ad attraccare a Kochi, «né a entrare nelle acque territoriali indiane». L’ex sottosegretario agli Esteri, Alfredo Mantica, vuol chiedere una commissione d’inchiesta sul caso, dopo il ritorno a casa dei marò.
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