domenica 11 marzo 2012

I LIMITI DI UN GOVERNO NON ELETTO NELLE SITUAZIONI DI CRISI INTERNAZIONALE

Alla Bocconi si insegna economia, non politica estera e nemmeno diritto internazionale. Ormai è assodato. Se il Premier Monti riceve consensi per averci traghettato fuori dalla tempesta - ancorché la navigazione proceda in mari procellosi, altrettanta abilità, né considerazione, mostra di avere nella gestione delle crisi internazionali.
In realtà la colpa non è solo e nemmeno principalmente sua, ha origini antiche, ma questo valeva e vale anche in campo economico dove però il nostro mostra di avere idee chiare (quando condivisibili, è altro discorso e ne abbiamo diffusamente parlato e toccherà tornarci temiamo).
La questione, tuttora aperta, dei Marò in stato di detenzione - sia pure con particolari riserbi - in India e l'incidente mortale del povero Franco Lamolinara sono le punte evidenti dell'iceberg, ci sono altri 9 connazionali in giro per il mondo sequestrati da pirati o terroristi. Situazioni ereditate ma che Monti non sa gestire. E quella dei Marò è tutta di sua competenza, e gli errori sono evidenti e denunciati da giornali assolutamente filo premier come indubbiamente è il Corriere della Sera.
Ma essere filo non significa essere ciechi o partigiani (come accade ad altri) e il Corsera dà spazio ai suoi prestigiosi editorialisti che non lesinano, se del caso, critiche all'Unto del Colle.
Noi sul tema abbiamo già espresso nostre considerazioni e riportate quelle di autorevoli opinionisti (http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2012/03/come-gli-indiani-ci-hanno-fregato.html   http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2012/03/gli-schiaffi-nel-mondo-allitalia-e-se.html)
Oggi è il turno del Professor Panebianco che tratta questo tema, aggiungendo, alle considerazioni più spesso lette, una ulteriore : la minore sensibilità di un governo "tecnico" all'opinione pubblica, e quindi alla pressione che ne può derivare in prospettiva elettorale. Questo NON è necessariamente un bene. In una situazione di crisi, la gestione e l'esito della stessa sono molto importanti per un governo politico ( e infatti Cameron ha i suoi guai in queste ore) mentre l'esecutivo Monti questo problema NON ce l'ha e SI VEDE.
Buona Lettura

CASO NIGERIANO E MARÒ IN INDIA
Puoi anche non curarti della politica internazionale. Sarà comunque lei a scovarti e ad occuparsi di te. Le due vicende dei marò italiani sequestrati dalle autorità indiane e del blitz britannico in Nigeria, ci hanno messo improvvisamente di fronte, come ha rilevato ieri Franco Venturini sul Corriere, alle nostre fragilità e alle incertezze con cui noi italiani, non da oggi, ci muoviamo nelle acque torbide e pericolose della politica internazionale. Per sovrappiù, in questo particolare frangente, queste vicende ci costringono anche a interrogarci sui limiti, se ci sono, dei governi sprovvisti di un esplicito mandato politico degli elettori.
Terrorismo, industria degli ostaggi, pirateria. Alla origine delle due crisi ci sono le nuove minacce alla sicurezza in un’epoca di globalizzazione. Con in più, in certi casi, la complicazione data dalle pretese di riconoscimento del proprio accresciuto status internazionale da parte delle nuove potenze extraoccidentali. Come mostra l’atteggiamento indiano nella vicenda dei soldati italiani.
Nella crisi nigeriana, scontiamo le ipocrisie e le ambiguità con cui da troppo tempo copriamo, di fronte a noi stessi, certe nostre scelte di fondo. Noi abbiamo la fama di pagare i riscatti sempre e comunque. E, per lo più, neghiamo di farlo. Non è questa una responsabilità del governo Monti che ha semmai ereditato una prassi consolidata dai suoi predecessori. È plausibile che i britannici ci abbiano avvertito del blitz solo ufficiosamente, e non ufficialmente, perché temevano, oltre che fughe di notizie, anche una reazione negativa del governo italiano.
È evidente che anche gli altri occidentali, quando non possono ricorrere alla forza, si adattano a pagare i riscatti. Ed è evidente che in questioni di questa natura occorrano flessibilità e discrezione. Ma, dato che l’industria dei sequestri continuerà a prosperare, dovremmo cominciare a chiederci se non sia il caso di fare qualche cambiamento nella nostra tradizionale linea di condotta. Per esempio, potremmo chiederci non tanto perché i britannici non ci abbiamo informato in tempo quanto perché, data la presenza di un ostaggio italiano, non ci fossero sul campo anche le nostre forze speciali. Come minimo, dovremmo chiederci se è poi davvero così «umanitaria» la politica del pagamento dei riscatti: quanto può contribuire quella politica ai sequestri prossimi venturi di operatori italiani?
Nel caso nigeriano, più che di responsabilità specifiche del governo Monti, è di una responsabilità nazionale che bisogna parlare: c’è, ormai da anni, una emergenza legata ai sequestri ad opera di terroristi e di predoni. E noi non siamo stati ancora capaci di affrontare il problema senza ipocrisie.
Diverso è il caso dei marò italiani. Qui gli errori del governo ci sono stati: diversi e gravi. Il primo è stato quello di non chiarire subito al comandante della nave (e forse anche all’armatore) che le conseguenze sarebbero state per loro assai pesanti se la nave fosse entrata nelle acque territoriali dell’India mettendo i nostri soldati alla mercé delle autorità locali.
Gli errori del governo poi sono continuati. Come ha mostrato il grave ritardo con cui abbiamo coinvolto nella vicenda l’Unione Europea. E come ha mostrato l’inutile visita del ministro Terzi in India, giustamente stigmatizzata da tanti. Abbiamo dato l’impressione, anzi lo abbiamo persino dichiarato, che la vicenda dei marò non avrebbe dovuto comunque compromettere i nostri ottimi rapporti con l’India. Troppo zelo, nel momento sbagliato. È evidente che abbiamo interesse a coltivare, e anzi a intensificare, le nostre relazioni economiche con l’India. Ma dichiararlo nel mezzo di una crisi come questa finisce per dare a tutti l’impressione che il business sia comunque più importante del riportare a casa i nostri soldati.
Lasciamo da parte la polemica politica che si è subito accesa, e nella quale prevale la propaganda. Dobbiamo riconoscere che l’Italia (e non il governo Monti in particolare) non ha ancora voluto fare apertamente i conti con le nuove sfide alla sicurezza. Sfide che mettono sempre in gioco la questione dell’uso della forza. Si tratti di terrorismo o di pirateria. Una questione, per noi, irrisolta. Potremmo, per cominciare, smetterla (siamo gli unici a farlo) di chiamare «operatori di pace» i nostri soldati di professione.
Però, è anche possibile che qualche problema legato alla natura di questo governo, del governo Monti, ci sia effettivamente. Il governo Monti è nato per fronteggiare una emergenza economico-finanziaria e ha fin qui fatto bene il suo lavoro. Ma è anche giusto chiedersi se, di fronte a sfide internazionali di diversa natura, le sue capacità di reazione non siano troppo deboli. E se la debolezza non abbia qualcosa a che fare con la natura particolare del governo. Non è questione di tecnici o di politici. È questione di essere in possesso, oppure no, di un mandato elettorale e di avere intenzione, oppure no, di battersi per la propria riconferma alle elezioni che verranno. Perché questo problema conta così tanto nelle crisi? Perché i governanti che sono tali grazie a elezioni vittoriose, e che si battono per vincere anche quelle successive, sono costretti a una reattività di fronte alle crisi che sembra mancare ai governanti sprovvisti di mandato popolare. I primi sanno che sulle crisi possono anche giocarsi la rielezione. I secondi non si pongono il problema. Ciò non garantisce affatto, figurarsi, che i governanti eletti faranno bene. Ma, di sicuro, ci sarà su di loro una pressione, una costrizione imposta dalle cose (e dalla paura della punizione elettorale) che non è presente o, quanto meno, è meno visibile nel caso dei governanti non eletti.

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