martedì 24 settembre 2013

BATTISTA E GRAMELLINI , VOCI DIVERSE PER LA STESSA "INVIDIA" : BEATA BERLINO SENZA SCILIPOTEN


Mi aspettavo che arrivassero i primi commenti sulle elezioni tedesche perché a me dicevano molte cose sul nostro paese e mi sembrava strano che non accadesse. E infatti ecco puntuali due ottimi articoli : il primo di Pierluigi Battista, il secondo di MAssimo Gramellini. Del primo non mi stupisco, che da tempo ho verificato una assidua consonanza di pensiero con il già vicedirettore del Corriere, già più raro che mi capiti di condividere il pensiero del secondo. Però in questo caso è così. 
Siccome sono ben due i post, le mie riflessioni le riservo ad un altro intervento che comunque avrà come oggetto in particolare la legge elettorale e ovviamente il trasformismo italico.
Buona Lettura



PIERLUIGI BATTISTA

 "Perché a Berlino non c’è (mai) uno Scilipoti" 



Dopo un trionfo elettorale come quello di Angela Merkel, davvero in Italia sarebbe stato un problema racimolare qualche parlamentare per fare maggioranza tonda tonda? Nella terra dei ribaltoni e dei «responsabili», la tentazione del trasformismo c’è sempre. Basta dichiararsi vincenti quando non si è vinto, come è accaduto qualche m...ese fa. Oppure fare campagna acquisti, cercare le frange «dissidenti», lavorare sui più malleabili. Fare come in Italia, insomma, non come fanno in Germania.
In Germania chi vince, come la Cdu-Csu, con oltre il 41 per cento dei voti, non fa piagnistei. Rispetta una legge elettorale che qui in Italia ce la sogniamo e propone al principale avversario, i socialdemocratici, di assumersi la responsabilità di una «grande coalizione». Tutto è molto difficile: è la politica ad essere difficile. Ciò che conta è che in Germania un’intesa di governo esplicita, rivendicata, fondata su pochi ma essenziali punti programmatici, aperta, leale tra forze alternative non è liquidata come un «cedimento», un orrendo compromesso inammissibile sul piano morale, un vergognoso «inciucio». In Germania, dove il bipolarismo è lungamente collaudato e alimentato da una cultura politica matura e democraticamente forte, gli accordi si fanno pubblicamente e apertamente. Qui invece gli accordi pubblici vengono screditati. In compenso sono molto ricercati gli accordi segreti, le alleanze raffazzonate, le somme matematiche priva di qualsiasi anima politica.
In Italia pur di vincere e di fare maggioranza si fanno i mosaici di tante piccole tessere per arrivare al numero fatidico. In Germania no, non è possibile che i socialdemocratici si alleino con la Linke né che la Cdu possa stringere legami con la destra neo-nazista. È vero, in Germania è tutto più rigido e quadrato. Ma la serietà e la coerenza, a differenza che in Italia, sono considerate virtù politiche. In Italia lo sbarramento al 4 per cento è continuamente eluso da cartelli elettorali destinati a sciogliersi all’indomani delle elezioni moltiplicando la frammentazione e si può entrare in parlamento con poco più dell’1 per cento. In Germania i liberali non hanno raggiunto il 5 per cento e stanno fuori, facendo venire meno un alleato essenziale per la Merkel. In Italia può dichiararsi vincente uno schieramento minoritario del 30 per cento, mentre in Germania il 41,5 per cento, un risultato fantastico secondo i parametri italiani, non è sufficiente per assicurarsi la maggioranza al Bundestag. Colpa del Porcellum, ma i partiti nella scorsa legislatura erano sul punto di modificare il Porcellum in senso ancora più negativo con la proposta di assegnare il premio di maggioranza non a una coalizione ma al partito che arrivava prima: con il risultato che sarebbe bastato un misero 25 per cento per vedersi gratificare di una maggioranza smisurata. In Germania non si sarebbe mai fatto la somma Pd+Movimento 5 Stelle pur di andare a Palazzo Chigi, come si è ostinato a suggerire Bersani. In Germania non si sarebbe andati alla caccia di un volenteroso Scilipoti. In Germania no, in Italia sì. Anche questo si chiama spread.


MASSIMO GRAMELLINI


Il Paese senza Scilipoten

Viste da qui, le elezioni tedesche sono state un fenomeno paranormale. Alle sei le urne erano chiuse, alle sei e un quarto si sapeva già chi aveva vinto, alle sei e mezza Merkel si concedeva un colpo di vita e stiracchiava le labbra in un sorriso, alle sette meno un quarto il suo rivale socialdemocratico riconosceva la sconfitta e alle sette tutti andavano a cena perché si era fatta una cert’ora.  
 
Qualsiasi paragone con le drammatiche veglie elettorali di casa nostra – gli exit poll bugiardi, le famigerate «forchette», le dirette televisive spalancate sul nulla, le vittorie contestate o millantate e la cronica, desolante assenza di sconfitti – sarebbe persino crudele.  
 
La diversità germanica rifulge ancora di più il giorno dopo. Pur stravincendo, Merkel ha mancato la maggioranza assoluta per una manciata di seggi. Eppure non invoca premi di maggioranza o altre manipolazioni del responso elettorale e si prepara serenamente ad aprire le porte del potere a uno dei partiti perdenti: socialdemocratici o Verdi. I cittadini tedeschi, di destra e di sinistra, paiono accogliere questa eventualità senza emozioni particolari. Nessun giornalista «moderato» grida al golpe. Nessun intellettuale «progressista» raccoglie firme per intimare ai propri rappresentanti di non scendere a patti con il nemico. Nessun Scilipoten eletto con l’opposizione si accinge a fondare un partito lillipuziano per balzare in soccorso della vincitrice. Né alla Merkel passa per l’anticamera del cervello e il risvolto del portafogli di trasformare il Parlamento in un mercato, agevolando il passaggio nelle proprie file dei pochi deputati che le basterebbero per governare da sola.  

Nelle prossime settimane, con la dovuta calma, i due schieramenti si incontreranno. Ci sarà una discussione serrata sulle «cose» e si troverà un compromesso nell’interesse del Paese. Nel frattempo il capo sconfitto della Spd avrà già cambiato mestiere, anziché rimanere nei paraggi per fare lo sgambetto al suo successore. E alla scadenza regolare della legislatura si tornerà al voto su fronti contrapposti (e con due ottime candidate donne, probabilmente: la democristiana Ursula von der Leyen e la socialdemocratica Hannelore Kraft).  

La saggezza popolare sostiene che i tedeschi amano gli italiani ma non li stimano, mentre gli italiani stimano i tedeschi ma non li amano. Ci deve essere del vero. Ma ieri, oltre a stimarli, li abbiamo invidiati un po’. Qualcuno dirà: troppo facile, loro possono coalizzarsi in santa pace perché nel principale partito del centrodestra hanno una Merkel, mica un Berlusconi, e in quello del centrosinistra gli ex comunisti sono spariti da un pezzo, a differenza dei presunti smacchiatori di giaguari. Anche in questa obiezione c’è del vero. Infatti è sbagliato dire che li invidiamo un po’. Li invidiamo tantissimo. 
 

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