martedì 11 marzo 2014

QUANDO ESSERE DONNA E' UN VANTAGGIO. L'ESEMPIO DELLA BOLDRINI.

 
Leggo poco sulle questione delle quote rosa. Mi limito a far presente una cosa : nel campo delle professioni, parlo di medici e avvocati, architetti e anche notai, il numero delle donne è in continua crescita. Nei primi due campi sono più o meno equivalenti ai colleghi uomini. Tra i magistrati  sembrano in via di sorpasso, se si fa riferimento alle generazioni di mezzo e nuove leve. Che questo abbia portato ad un miglioramento dei settori citati non saprei dire,  sicuramente non me ne sono accorto. Però sono tutti lavori qualificati ( alcuni magari con un presente molto difficile) e dove questa parità numerica NON ha avuto bisogno di quote rosa...
Ciò posto, è molto sospetto tutto il grande da fare che si danno le parlamentari di destra e sinistra per imporre le quote a livello elettorale. La solita Boldrini (ma noi italiani siamo così colpevoli da meritarci una così ?  Bersani io ti voglio bene ma questa non te la perdono !) ha esternato alla sua insopportabile maniera da maestrina acida (un tempo si aggiungeva zitella, ma dicono che non sia questo il caso, che un uomo oggetto la signora pare ce l'abbia; lo porta pure a spasso a spese dello Stato) che siccome le donne in Italia sono la metà è giusto che in Parlamento siano altrettante. Per carità, se le votano...per me possono essere anche il 100%. Ma non per LEGGE. 
Sulla Boldrini riporto un recente commento di Aldo Grasso, che sul Corsera di recente ha scritto di lei

"La presidente della Camera, l'eterna indignata, Miss Broncio, è tornata sulla satira che la brava Virginia Raffaele ha dedicato a Maria Elena Boschi: 'Mi è dispiaciuto di vedere la satira. Ci sono tanti modi per fare satira ma quando si cede al sessismo la satira diventa qualcos'altro'. Sessismo? Maschilismo di una donna verso un'altra donna? Non si possono più prendere in giro gli aspetti estetici neanche se una ministra è bella come la Boschi? Siamo già al 'femminismo di Stato'? Siamo alla censura?".



Tornando alla questione quote rosa in salsa elettorale, mi è piaciuto il commento di una donna in gamba, anche lei affermatasi in campo "maschile" come il giornalismo, che ha fatto notare come la sponsorizzazione sfacciata di se stesse non è mai cosa che fa bella figura. E' Maria Teresa Meli, del Corriere della Sera.
 Leggiamola.

le Quote rosa funzionano all’Estero 
a Rischio di Parodia nel nostro Paese

 
Quote rosa sì, forse, no. È un dibattito su cui il mondo femminista italiano si interroga e divide da anni. Ma per la politica — è il coro semi-unanime, eccezion fatta per le parlamentari, e, a dire il vero nemmeno per tutte — il discorso è diverso. Ed è il problema dei problemi, perché disvela non la pochezza delle donne, bensì quella di chi dovrebbe rappresentarci, o, addirittura, governarci. Nei Paesi del Nord le quote rosa funzionano perché la meritocrazia funziona in qualsiasi settore. Persino in politica. Negli Stati Uniti, l’«Affirmative action» per le quote razziali funzionò per lo stesso identico motivo. Farne a meno, nell’uno e nell’altro caso, sarebbe stato un errore imperdonabile. Ma qui, in Italia, è inutile illudersi, vestirsi di bianco rischia di diventare soltanto uno spettacolo di folklore per regalare ai fotografi qualche immagine in più e ai giornalisti un aneddoto con cui arricchire i loro articoli.

La versione nostrana delle quote rischia di essere una parodia, alle volte umiliante, di quello che succede altrove: lì dove le donne il potere lo gestiscono da tempo, lì dove sono ai vertici della politica e a capo di aziende importanti. Per anni, per troppi anni, i parlamentari, nel centrosinistra come nel centrodestra, qualunque fosse la legge elettorale, sono andati avanti per cooptazione. Perché erano fedeli al capo supremo, o, più banalmente, al leader di corrente. Lo stesso è valso per le donne. Che sono state promosse solo grazie a questo poco lodevole criterio.

In quante riunioni, si è assistito alla penosa ricerca di un’esponente femminile per chiudere le liste, la segreteria o la Direzione? Come Ciccio Ingrassia, che in «Amarcord», arrampicato su un albero urlava «Voglio una donna!», ogni volta il leader (maschio) di turno cercava spasmodicamente una «lei» per completare l’organigramma.

E poniamoci un’ultima, urticante e, per noi donne, anche masochistica domanda: se un uomo avesse avuto alle spalle solo il curriculum di ex portavoce ex Unhcr della pur brava Laura Boldrini, avrebbe vinto la poltrona di presidente della Camera?


 Ecco, se togliete le parole "pur brava Laura Boldrini", io la penso esattamente come Maria Teresa Meli
 



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