Altro che 4 settimane ! Fino al 31 luglio la Corte Indiana non deciderà alcunché sui nostri Marò , e la ragione è facilmente individuabile : non vogliono casini durante le loro elezioni presidenziali, che si concluderanno a maggio, dopodiché dovranno farne decantare gli effetti e quindi finalmente si potrà tornare a occuparsi dei fucilieri di marina italiani. A quel punto saranno passati due anni e mezzo con i nostri militari privati della libertà - anche se non sono in carcere, non sono certo liberi - SENZA nemmeno un capo preciso di imputazione. Roba da rivalutare il bradipismo italico !
All'indomani della pronuncia della Corte che escludeva la NIA, la polizia antiterrorismo, dalle indagini e quindi dal supporto all'accusa, in tanti avevamo brindato al primo successo da quando questa incredibile vicenda è iniziata. La stessa Maria Giovanna Maglie, che si è tantissimo spesa, e tuttora lo fa, per la causa di Girone e Latorre, aveva mostrato soddisfazione. Danilo Taino, che è invece il giornalista che segue per il Corriere la storia, aveva avvertito che l'entusiasmo era del tutto fuoriposto, che la strada maestra, per lui, ormai è solo quella della internazionalizzazione della vertenza, che tanto in India non ne usciamo, e quindi poco ce ne cale se la Corte taglia fuori la NIA : l'obiettivo è tagliare fuori il giudice indiano !
Ha un senso, anche se, osservo timidamente, siccome non possiamo essere sicuri che le cose vadano bene e che alla fine il processo in India si farà, avere almeno tolti di mezzo SUA Act, con tanto di pena di morte (ancorché francamente inverosimile...ma dieci anni di prigione ?? quelli invece sono verosimili eccome !) e NIA sono cose buone.
Oggi scrive sull'argomento - non è la prima volta - l'ambasciatore Armellini, che ha esercitato il suo ruolo proprio in India dal 2004 al 2008 e quindi gli indiani si può presumere un po' li conosca, il quale dice altre cose e non proprio positive.
L'articolo è come di consueto riportato integralmente appresso, ma quello che ho capito è :
1) per via giuridica NON ne usciamo. Gli indiani NON accetteranno un arbitrato, non faranno giudicare da altri i due italiani. Quindi proviamoci pure, anzi è doveroso farlo, ma non facciamoci illusioni sull'esito e soprattutto non culliamo la speranza che i nostri faranno il processo da liberi : sono in India e resteranno in India.
2) paradossalmente per i due Marò la sconfitta di Sonia Ghandi è da auspicare che il suo competitor, il nazionalista Narendra Modi sarà interlocutore, di fatto, più libero da condizionamenti e quindi, considerato anche che le elezioni sarebbero passate e con successo, potrebbe rivelarsi più disponibile ad una soluzione politica.
Ho già premesso che Armellini è sicuramente portatore di una conoscenza delle cose indiane che io nemmeno mi sogno, però, a logica, qualcosa non mi torna in questa seconda considerazione. Va bene che un politico, che oggi domanda retoricamente e provocatoriamente in quale carcere sono custodite i due Marò, domani potrebbe fare finta di nulla, dimenticarsi tutto il veleno sparso per anni, ed essere proprio lui a sbloccare la situazione in modo per noi accettabile, però il salto carpiato non sarebbe piccolo. Certo,le elezioni sarebbero ormai alle spalle, ma sarebbe anche un palese tradimento di quella parte di voti presa anche grazie all'intransigenza mostrata contro gli "assassini" italiani.
Ad ogni modo, leggete voi stessi.
Marò, negoziato serio con il futuro governo
Il ricorso presentato dai nostri marò è stato accolto, ma prima di parlare di successo o anche di progressi di sostanza, è bene usare prudenza: la partita rimane aperta e il rischio di passi falsi è sempre dietro l’angolo.
La Corte suprema ha messo in soffitta l’ipotesi della pena di morte, cancellando la competenza della Nia — la polizia indiana antiterrorismo — nella vicenda. Esce così di scena un tema la cui matrice è stata quasi tutta italo-italiana, che ha molto preoccupato la nostra opinione pubblica e che la parte indiana ha sfruttato tatticamente ai propri fini, evocando rischi che chiunque avesse una conoscenza approfondita del sistema legale del Paese sapeva non rientrare nel novero delle ipotesi concrete (basta dare un’occhiata, per convincersi, all’elenco dei condannati a morte in India negli ultimi vent’anni, e per quali reati). Ora che il tema della pena capitale rischia di farsi controproducente sul piano internazionale, la Corte ha rinunciato a un argomento processuale da cui aveva già tratto tutti i vantaggi che le avrebbe potuto dare.
La prossima udienza si terrà da qui a quattro settimane, quando l’India sarà in piena tornata elettorale (810 milioni di elettori andranno alle urne dal 7 aprile al 12 maggio). È stato così raggiunto un altro obiettivo sul quale la parte indiana puntava dalla scorsa primavera: quello di rinviare la definizione della vertenza sui marò a dopo le elezioni politiche, sottraendo per quanto possibile il tema al dibattito preelettorale e lasciando al vincitore il compito di gestire la cosa. Era importante evitare che la vicenda potesse incidere in maniera significativa sulle intenzioni di voto ma, una volta superata questa scadenza, essa poteva tranquillamente tornare ad occupare le pagine interne dei giornali e della televisione agli occhi di un’opinione pubblica largamente disinteressata.
Così agendo, la Corte suprema ha fatto chiarezza su alcuni aspetti importanti, ma non ha risposto a molti altri interrogativi di assai maggior peso.
Non è stato per l’ennesima volta definito il capo d’imputazione, come pure da tempo si attendeva, senza il quale è difficile decidere una linea di difesa efficace. Eliminata la Nia, la fase istruttoria dovrà essere delegata a un diverso organo di polizia, che la Corte individuerà non prima delle famose quattro settimane. Quando dovrà anche decidere se la competenza del processo rimarrà all’attuale tribunale speciale o se, passando ad una procedura di tipo ordinario, essa non dovrà essere trasferita a un’altra Corte. Il minimo che si possa dire, è che da parte indiana non si condivide per niente la nostra fretta nell’arrivare a una conclusione...
L’Italia ha deciso di contestare con fermezza la giurisdizione indiana e di insistere perché il giudizio si tenga in Italia o si proceda a un arbitrato internazionale. Partiamo da questo secondo punto: un arbitrato presuppone il consenso delle parti e non è detto — direi anzi che è improbabile — che le annunciate pressioni italiane, nelle capitali di partner e alleati, sortiscano un grande effetto. La recente vicenda della console indiana arrestata e poi rilasciata dalla polizia di New York, conclusasi con una sostanziale marcia indietro da parte di Washington, può fornire utili ammaestramenti su come portare avanti un negoziato conflittuale con Delhi. Ammettendo anche che l’India a un arbitrato finisca per accedere, le procedure sarebbero inevitabilmente lunghe: ai nostri marò si aprirebbe la prospettiva di mesi, se non anni di attesa in India, poiché sarebbe inverosimile che Delhi acconsentisse a un loro trasferimento in un Paese terzo. E men che mai in Italia.
Danilo Taino ha osservato, sul Corriere di sabato 29 marzo, che l’Italia di fatto la giurisdizione indiana l’ha accettata in diverse occasioni e che ciò indebolisce la decisione ora di contestarla. Ha ragione ma, una volta trasferita l’inchiesta a Delhi dal Kerala, essa ha riguardato aspetti procedurali e non la sostanza del processo, cosa impossibile in mancanza di un capo d’imputazione preciso. Quando questo verrà formulato avremo buon diritto di ribadire l’infondatezza della pretesa indiana e la competenza della magistratura italiana. Il fatto però è che i marò, come sappiamo, si trovano in India e non in Italia e la magistratura indiana non ha alcuna intenzione di rinunciare a giudicarli. Insistere sulla linea della competenza dell’Italia appare in questa fase corretto: a condizione di avere ben chiaro che si tratta di una linea che potrebbe far salire di molto il livello dello scontro fra i due Paesi, nel momento in cui rifiutassimo di consegnarli alle autorità indiane. Sarebbe indispensabile evitare da parte italiana qualsiasi tentazione compromissoria, che avrebbe effetti devastanti non tanto sulla nostra credibilità, quanto sull’agibilità del negoziato; c’è da chiedersi se ciò sarebbe possibile, in una situazione nella quale circolano di nuovo ipotesi quale quella di candidature «bipartisan» dei due marò al Parlamento europeo.
Che fare allora per evitare che il tutto si trascini all’infinito, con uno smacco intollerabile per tutti, a partire dagli stessi Latorre e Girone? Nel breve periodo, credo sia necessario continuare a ripetere con forza gli argomenti dell’internazionalizzazione e della giurisdizione italiana, senza troppo preoccuparsi del supporto dei nostri alleati o della prevedibile reazione indiana. Preparandosi allo stesso tempo, con calma e senza fanfare, a un negoziato politico serio con il governo che uscirà dalle urne. Il quale avrà comunque interesse a favorire la conclusione di una vicenda che, se dovesse trascinarsi ancora per molto, potrebbe creargli delle complicazioni del tutto fuori misura rispetto all’oggettiva portata del problema. Se questo negoziato dovesse avvenire con una coalizione guidata da Sonia Gandhi, sarà più difficile ma non impossibile, credo. Se l’interlocutore dovesse essere Narendra Modi, i decibel della retorica potrebbero farsi più alti, come dimostrano le ultime uscite, ma le possibilità di un successo accettabile per entrambi più concrete.
MARIA GIOVANNA MAGLIE
RispondiEliminaNon mi convincono neanche un po' né l'ambasciatore così solerte nell'escludere l'efficacia di un arbitrato internazionale che l'India non potrebbe non accettare; né le ricostruzioni del Corsera, che io e altri amici che seguono da più di due anni questa vicenda, chiamiamo CorPasSera , Non mi pare rileggendo il mio articolo , il penultimo, di aver espresso soddisfazione soverchia, se non per la rinuncia alla Nia, che era un oltraggio. Per il resto ho scritto che si trattava del passaggio a un'ulteriore temporeggiamento. Da ieri i marò sono ufficialmente nella campagna elettorale indiana; checché ne dica Armellini, la vittoria dei nazionalisti sarebbe una iattura. Nel frattempo potremmo almeno chiedere che gli italiani non stiano dalla parte degli indiani
Gentile Maglie, non ho scritto che lei fosse tra gli entusiasti, ma che era soddisfatta dell'esclusione della Nia ANCHE perché lo vedeva come il primo segnale di un possibile cambiamento di rotta, dovuto ad un'azione finalmente meno timida e confusa da parte di noi italiani, più costanti e decisi nel cercare di coinvolgere organi internazionali utili per superare uno dei principali vulnus della vicenda : che la stessa rimanga una questione bilaterale, un contenzioso solo India Italia. Viceversa, il fatto che i due imputati (ancora non si sa formalmente di cosa ) siano due militari in missione internazionale, in base a norme condivise contro la pirateria, dovrebbe porre la questione in modo tutto diverso.
EliminaQuanto all'ambasciatore Armellini, perdoni ma ha letto male. Lui NON afferma che l'India non accetterebbe il VERDETTO di un arbitrato, ma che NON si sottoporrà ad esso. E non credo che una nazione possa essere obbligata a farlo. Continueranno ad affermare che la giurisdizione è Indiana. Punto.
MARIA GIOVANNA MAGLIE ha poi pubblicato sul suo profilo FB questo commento che volentieri riporto :
RispondiEliminaCircolano sul web opinioni dell'ambasciatore a riposo Armellini a proposito dell'impossibilità di convincere l'India ad accettare l'arbitrato internazionale. Conclusione: accettiamo il processo e la sentenza in India. Ho letto le brillanti deduzioni pubblicate da Stefano Turchetti e queste, dopo consultazione, sono le mie riflessioni.
Se l'India rifiutasse l'Arbitrato, scatterebbe la Clausola di obbligatorietà e gli Arbitri verrebbero nominati d'imperio dal Tribunale UNCLOS (cfr Olanda/Russia, caso Greenpeace). Armellini voleva ,quando era Amb.in India ,che cambiassimo posizione su seggio permanente all'India e su ingressio india in Gruppo Fornitori Nucleare (NSG),per acquisire piu'commesse dagli indiani. Armellini, in sintonia conPassera, rappresenta perciò la posizione del primato degli affari, dunque del chi se ne frega dei Maro'.Curioso poi che un Amb,per quanto a riposo,ignori la Convenzione sul diritto del mare (all.VII s arbitrato obbilgatorio) e decine di articoli e posizioni espresse da miglior internazionalisti,oltre che da Farnesina con comunicati Governo del 11/3/13 e 18/3/13. Concludo che nutro dei dubbi sulle ragioni che animano le riflessioni dell'ambasciatore, che le ritengo inopportune, che invito a stigmatizzarle
Ovviamente lusingato dalla citazione di una brava e famosa giornalista. Anche soddisfatto di aver sollevato un quesito non insignificante : l'India sarebbe costretta ad accettare un giudizio arbitrale ? Se, come penso e auspico, le considerazioni qui espresse troveranno eco su Libero e poi sul resto della Stampa in generale, magari l'ambasciatore Armellini risponderà.
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