giovedì 17 luglio 2014

ECCO PERCHE' DOMANI LA CORTE D'APPELLO ASSOLVERA' BERLUSCONI


Probabilmente con una certa sofferenza, Luigi Ferrarella riporta sul Corriere la sostanza delle arringhe difensive dei nuovi avvocati di Berlusconi nell'appello avverso la sentenza di condanna a 7 anni comminatagli dal Tribunale di primo grado di Milano, collegio formato da tre militanti di magistratura democratica. Filippo Dinacci e Franco Coppi demoliscono da par loro la tesi dell'accusa, che alla fine della disamina difensiva viene paragonata dal giornalista (un amico dei giudici notorio, specie qelli del rito ambrosiano) ad una apparente fuoriserie di cui alla fine dell'opera di meticoloso e spietato smontaggio, non resta che la scocca malmessa.
Piero Sansonetti, su Il Garantista, addirittura dà alla sentenza che dovrebbe essere pronunciata domani, venerdì 18 luglio, la valenza di un autentico spartiacque : assoluzione uguale uscita forse per sempre dal pantano giudiziario in cui la guerra magistrati Berlusconi ci ha cacciato da 20 anni ; condanna, la vittoria definitiva del potere politico dei giudici, che certamente non sarà Renzi a far rientrare nei confini di loro competenza, da cui sono usciti ormai 30 anni orsono
Uno scenario forse troppo drammatico, che pecca per eccesso in entrembi i casi (troppo ottimista nel primo, funereo nel secondo).
Certo è che una condanna definitiva - che non sarebbe quella di domani, restando la Cassazione - di Berlusconi con conferma dei 7 anni di prigione, sarebbe veramente la pietra tombale sulla sua carriera politica, già fortemente declinante (e comunque dopo 20 anni non poteva essere diversamente), destinandolo quantomeno alla reclusione domiciliare, per diverso tempo.
Gli argomenti dei difensori del Cavaliere , sia pure riportati in estrema sintesi, a me sembrano efficaci, ma del resto fin dall'inizio questo processo a me è  sembrato la pistola fumante, la prova provata che c'era, in certa magistratura, il progetto dell'abbattimento giudiziario di Berlusconi, visto come un pericolo per la società e il nuovo ruolo che all'interno della stessa si voleva (si vuole) dare alla magistratura.
Poche ore e sapremo l'esito di quest'altra puntata. 



  

Ruby, l’ultima mossa della difesa: 
quelle intercettazioni inutilizzabili


MILANO — In mano a cacciavite, pinze e tenaglie dei difensori in Appello di Silvio Berlusconi, la condanna in primo grado per il caso Ruby a 7 anni per concussione e prostituzione minorile sembra una di quelle fiammanti automobili che — allenta una vite qui, sfila una cinghia là e smonta una gomma più in là — alla fine restano scheletri di carrozzeria senza più ruote, cambio e motore.
Il primo «meccanico» della difesa, il professor Filippo Dinacci, punta a segare direttamente il «telaio» della vettura processuale basata sui tabulati telefonici. L’8 aprile 2014 una sentenza della Corte di giustizia europea (di immediata operatività nell’ordinamento interno) ha dichiarato «invalida» la direttiva 2006/24 sui dati personali recepita nel 2008 nella norma che regola l’acquisizione dei tabulati telefonici; e come parametri minimi ha additato la necessità di prevedere «categorie di reati» e un «previo controllo effettuato da un giudice». La loro assenza sinora in Italia determina, per Dinacci, l’inutilizzabilità (cioè il divieto di valutazione) dei tabulati pur legittimamente acquisiti all’epoca, in quanto il principio per cui il tempo regge l’atto processuale è riferito dalle Sezioni unite di Cassazione (del 1998 e 2004) «al momento della decisione e non a quello dell’acquisizione».
Poi ci sono le prerogative parlamentari dell’ex premier asseritamente aggirate dall’uso di tabulati delle sue ospiti ad Arcore: «Le utenze sotto controllo hanno avuto 1.732 contatti con quelle di Berlusconi, le utenze di cui sono stati estratti i tabulati hanno avuto 6.132 contatti con Berlusconi: come si fa a dire che non era già chiara la direzione dell’atto di indagine?». Quindi rimarca il «disallineamento temporale» tra «la captazione» delle intercettazioni «e la loro registrazione» (che per legge deve avvenire solo) «sul server della Procura»: e se per 11.000 file ballano appena un paio di secondi e per 9.000 un minuto, «per 4.000 file il ritardo appare di un’ora, e per 1.607 addirittura di 2 ore». Il che induce Dinacci a porre l’interrogativo tecnico, stante il dietrofront dei pm (prima sì e poi no) a far accedere la difesa al server, e l’autoattestazione della società che lo gestiva.
A provare a smontare il «motore» della concussione per costrizione, e cioè la telefonata la notte del 27 maggio 2010 di Berlusconi al capo di gabinetto della Questura Pietro Ostuni, si dedica il «meccanico» professor Franco Coppi. «Concusso è solo chi è sotto inesorabile minaccia, privo di alternative, spalle al muro, vuole solo evitare danni ingiusti e non conseguire alcun vantaggio». Coppi richiama più volte uno studio del 2013 del professor Gianluigi Gatta sulle modalità della condotta di minaccia penalmente rilevante, già dall’«etimologia del concutere , lo scuotere l’albero finché ne caschi il frutto. Ma Ostuni non è l’albero e l’affidamento di Ruby a Minetti non è il frutto: la sentenza alla fine è costretta a riconoscere che la minaccia risiederebbe esclusivamente nel fatto che la telefonata arriva dal premier». Ma così, rincara Dinacci, «cadiamo nel reato da tipo d’autore, nella responsabilità oggettiva per posizione: allora, se un magistrato telefona all’ufficio passaporti e chiede se per cortesia sia possibile velocizzare un documento per il figlio in partenza, per il suo ruolo fa già concussione? Ma no».
Coppi, sempre sulla scia di Gatta, invita a distinguere la minaccia costrittiva dal «timore reverenziale, dai moti interni a Ostuni che non dipendono dalla condotta di Berlusconi, dalla soggezione psicologica verso chi ha ruolo superiore. Ma non è protetto dal diritto chi non ha il coraggio di dire no: e se Ostuni al massimo si è sentito condizionato dalla richiesta di Berlusconi, se ha avuto timore reverenziale verso chi magari ha pensato di compiacere, questi (lo dico elegantemente) sono fatti suoi, non ricollegabili a una minaccia di Berlusconi». «Nel lessico dell’imputazione» c’è per Dinacci «la verità: in Procura chi l’ha scritta aveva in testa un abuso d’ufficio, ma siccome senza contenuto patrimoniale non avrebbe avuto rilievo penale, c’è stata la torsione in concussione». Per l’accusa Ostuni, poiché subito verifica che è una balla di Berlusconi la storia di Ruby parente di Mubarak, percepisce come intimidazione proprio il sentirsela proporre dal premier. Ma per Coppi «solo un pazzo incosciente avrebbe usato una bugia con le gambe cortissime: è invece segno che Berlusconi credeva davvero Ruby parente di Mubarak, e non la sapeva minorenne, tanto da poi subito allontanarla. La riprova è che, quando dopo 8 giorni Ruby è di nuovo in Questura, nessuno più fa nulla e Ruby finisce in comunità». Anche la prostituzione minorile si reggerebbe su «deduzioni di deduzioni: siccome altre serate con altre ragazze sarebbero finite in un certo modo, anche nelle serate di Ruby ad Arcore sarebbe andata così: è sufficiente mettere un piede ad Arcore e si è già nel letto del padrone», ironizza Coppi. E una motivazione «apparente e circolare», per Dinacci, «fraziona il tutto e contrario di tutto detto da Ruby per riscontrare le sole 8 testi valorizzate dal Tribunale, e poi usa le 8 testi per riscontrare Ruby».

Luigi Ferrarella

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