lunedì 27 giugno 2011

I PENTITI DEL LIBERALISMO

Ieri avevo commentato l'articolo di Angelo Panebianco che non ero riuscito a pubblicare per intero. Preziosi amici sono intervenuti e me lo hanno procurato.
Buona Lettura

LA COSTOSA COPERTA  DELLO STATO
di ANGELO PANEBIANCO
Come sempre accade nelle fasi  in cui si attendono grandi cambiamenti,  c'è tanta confusione nei commenti che si leggono  sul caso italiano . Il probabile tramonto della leadership  di Silvio Berlusconi si carica di eccessive speranze di palingenesi (fra gli antiberlusconiani) e di eccessivi  timori di catastrofi (fra i berlusconiaui) e in entrambi i casi ciò non aiuta la lucidità delle analisi .
Ma, spesso, nemmeno i commenti dei più pacati, quelli che trovano (giustamente) ridicole le attese palingenetiche o catastrofiche, riescono a fare sufficiente chiarezza sulle cause che stanno dietro all'attuale erosione dei consensi  per l'uomo che dal 1994 è al centro della politica italiana .
Ovviamente, tutti concordano (chi potrebbe non concordare?) sul fatto che l'immagine di Berlusconi sia stata logorata dalle inchieste giudiziarie e dai connessi scandali . Ma nessuno, in realtà, si accontenta solo di questa spiegazione. Ed è qui che comincia la confusione.
Perché del declino di Berlusconi, logoramento di immagine a parte, vengono poi date due interpretazioni fra loro contraddittorie (qualche volta persino dallo stesso commentatore).
Dobbiamo spiegare quel declino come il frutto di un fondamentale "riallineamento"politico-culturale che investirebbe non solo l'Italia ma l'intero mondo occidentale, un effetto della fine della cosiddetta "era liberista", quella nella quale si chiedeva no meno Stato, più mercato. più privatizzazioni, più libertà economiche individuali? In questa prospettiva, il tramonto di Berlusconi si legherebbe a un cambiamento permanente, innescato dalla crisi economica mondiale, degli orientamenti dell'opinione pubblica, oggi più interessata alla protezione degli individui da parte dello Stato (come dimostrerebbe anche la domanda «statalista» che si é affermata nei recenti referendum sull'acqua) che non all'ampliamento delle libertà economiche a scapito dello Stato.
Oppure, il declino di Berlusconi è dovuto alle sue tante promesse non onorate, al fatto che egli aveva garantito meno Stato e più libertà e non è riuscito — non ha saputo o non ha voluto — dare un effettivo seguito alle promesse?
Potrebbe essere vera la prima spiegazione (fine dei ciclo liberista) oppure potrebbe essere vera la seconda (mancata realizzazione della promessa liberista) ma non possono esserio entrambe .
Chi tira in ballo la fine del cielo liberista fa una mossa giusta (collega quanto accade in Italia a più generali cambiamenti I nternazionali), anche se poi ne trae conclusioni affrettate o azzardate . Non è mai possibile spiegare tendenze o mutamenti di fondo in un Paese senza connetterli a quanto accade altrove e noi italiani dovremmo saperlo bene : la democrazia bloccata della Prima Repubblica sarebbe inspiegabile senza la guerra fredda e Mani Pulite non ci sarebbe stata senza il crollo del Muro di Berlino .
Secondo questa interpretazione, oggi sostenuta da molti neokevuesiani, la crisi mondiale avrebbe rilanciato
la necessità di tornare a quelle forme di eroi? emdedded liberalism (un liberalismo economico guidato e tutelato dallo Stato e accompagnato da un forte intervento statale di segno ridistributivo) che caratterizzarono il mondo occidentale dalla fine della seconda guerra mondiale fino alle rivoluzioni reaganiana e thatcheriana .
In queste condizioni, un tardo epigono (in versione italiana) del reaganismo come Berlusconi avrebbe fatto definitivamente il suo tempo.
Ma i sostenitori di questa tesi dimenticano che deil'embedded liberalism dei primo dopoguerra mancano oggi le condizioni politiche (la guerra fredda e l'indiscussa leadership americana che tenevano unito il blocco occidentale) . Ovviamente, la crisi ha scatenato una domanda di Stato e di forte regolazione statuale dell'economia m a sarà ancora così quando la crisi verrà definitivamente superata? E che accadrebbe se un repubblicano, assertore di ricette economiche opposte a quelle dell'attuale presidente, tornasse a guidare gli Stati Uniti al posto di Obama? Quali ripercussioni ciò avrebbe sull'Europa? Prima di parlare di fine definitiva di un ciclo o di un'epoca bisognerebbe forse aspettare un po' .
C'è comunque un grano di verità in questa interpretazione : la crisi economica ha certamente inciso potentemente, in Italia come altrove, sugli orientamenti del pubblico. Ma, ciò nonostante, la spiegazione che fa perno sulle promesse non mantenute di Berlusconi resta ancora, a mio giudizio, la più plausibile.
Si noti il paradosso: da un lato, si parla di fine del ciclo liberista ma, dall'altro, quasi tutte le ricette che vengono proposte per affrontare il caso italiano vanno nella direzione opposta . Al governo Berlusconi non si imputa un eccesso di liberalizzazioni e privatizzazioni, si imputa (giustamente) il contrario . Chi parla di «riforme» per rilanciare la crescita ---da Bankitalia a Confindustria, fino alla recente relazione del presidente dell'Antitrust, Antonio Caatricalà fa sempre riferimento alla necessità di accrescere l a competitività, e di rompere o indebolire i tanti mercati protetti. Che non è certo un modo per ampliare il peso dello Stato .
Poiché gli equilibri della politica italiana si reggono da quasi vent'anni su Berlusconi e la divisione cruciale è frabedusconiani e antiberlusconiani, se il berlusconismo finisce ciò non può non determinare un radicale cambiamento del sistema politico.
Ma questo fatto indiscutibile non va confuso con l'idea che della libertà «dallo Stato» non importi più nulla a nessuno. Detto in altri termini, è improbabile che gli elettori delusi da Berlusconi diventino in futuro sostenitori di Nichi Vendola o di Rosy Bindi.
Il conflitto fondamentale, nelle democrazie occidentali, riguarda il ruolo dello Stato. Ci sono, naturalmente, molte posizioni intermedie ma il «tono» del conflitto è dato dagli argomenti e dalle azioni di coloro che occupano gli estremi opposti di un continuum: a un estremo stanno coloro per i quali lo Stato va inteso come l'unico dispensatore autorizzato della «felicità», il demiurgo che deve assicurare benessere e sviluppo; all'a1tro estremo stanno coloro per i quali il compito dello Stato. più limitato ma altrettanto impegnativo, è di garantire le condizioni che consentano ai le libere scelte e alla libera iniziativa dei singoli di generare benessere e sviluppo .
Questo conflitto è destinato a continuare . Anche in Italia.
UN PO' TROPPA GENTE NO ??

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