sabato 25 giugno 2011

L'UOMO NUOVO SECONDO LA PROCURA

Puntualissimo sui temi del giorno, Valeriano Giorgi mi segnala questo bellissimo articolo di Piero Ostellino sul Corriere di ieri . Mi era sfuggito, forse perché in preda al forte mal di pancia che sullo stesso tema mi aveva suscitato l'altro pezzo, sempre sul Corrierone, di Bianconi.
E già perché sul Corriere si dà spazio a più voci. Lo si faceva anche su Repubblica, ma non ricordo più quando. 
Leggetelo, è veramente interessante e si tratta il problema in modo leggermente più profondo. Niente paura, due tre metri sotto la superficie, basta la maschera, non servono le bombole...

PIERO OSTELLINO: Separare giustizia da moralismo Fare lobby non è un reato

PIERO OSTELLINO
 pubblicata da valeriano giorgi  il giorno sabato 25 giugno 2011 alle ore 10.03
CORSERA 24/06 A giudicare dalla descrizione che ne fanno i media, l' inchiesta sulla cosiddetta P4 pare un tentativo di interpretazione della realtà sociale per deduzione da princìpi (morali) astratti anziché attraverso un' indagine (empirica) della realtà stessa. La classica deduzione di un giudizio di valore - la (presunta) immoralità di certi comportamenti - da un giudizio di fatto, l' esistenza di quegli stessi comportamenti, già razionalmente smentita come salto logico. Dunque, restando alle prime impressioni, e a voler essere severi, un nuovo caso di analfabetismo sociologico e filosofico, da parte di alcuni magistrati della magistratura inquirente, e da parte di chi se ne fa interprete per trarne motivo di scandalo. A stare a quanto, finora, sarebbe emerso, Bisignani faceva opera di lobby in favore di chiunque gli si rivolgesse. Mettiamo pure che, così facendo, egli influenzasse i processi legislativi e amministrativi. Ma, in assenza di reato - identificabile e definibile in modo giuridicamente certo - confermata dallo stesso Giudice per le indagini preliminari, saremmo ancora dentro il perimetro di quella politica di relazioni che caratterizza ogni società civile e che negli Stati Uniti è stata addirittura formalizzata e istituzionalizzata. Relazioni, forse, moralmente discutibili e, a volte, persino ai margini della legalità; ma, in ogni caso, non classificabili come criminose. Tornano alla memoria le parole di Piero Calamandrei: «Nello stampo della legalità si può colare oro o piombo». Anche se è troppo presto - e sarebbe scorretto nei confronti dei magistrati inquirenti la cui azione va giudicata con serenità - dire che dall' inchiesta stia «colando piombo», è un fatto che, in punta di Filosofia del diritto, la vicenda presenta aspetti che rischiano di tradursi in una ulteriore ondata di schizzi di fango innestato nel ventilatore mediatico-giudiziario. È dal Contratto sociale - che si presume gli uomini abbiano stipulato, uscendo dalla stato di natura di tutti contro tutti e che dà origine allo Stato e disciplina i comportamenti dei cittadini - che nasce l' idea di giustizia, e di converso quella di ingiustizia, come rispetto, o non, delle leggi esistenti. «Non si può fare torto - ha scritto Hobbes - se non a quello con cui si è stretto un qualche patto». Ma, qui, dove sta il patto, il Contratto violato? E chi sono coloro i quali avrebbero subito il torto? Tutti quelli che non hanno goduto delle «raccomandazioni» di Bisignani? Troppo poco per configurare una violazione della legge e, con essa, una corruzione del Contratto sociale. «Compito del diritto - insegnava Norberto Bobbio nelle sue lezioni di Filosofia del diritto - non è "che cosa" gli individui debbano fare, ma "come" lo debbano fare per non farsi reciprocamente danno». I magistrati che indagano sulla P4 pare stiano sviluppando una sorta di «teoria della giustizia» - secondo la quale spetterebbe al sistema giudiziario, attraverso le proprie indagini, stabilire se le azioni dei cittadini siano socialmente, se non addirittura moralmente, «giuste», o ingiuste - invece di attenersi a una «teoria del giuridico», distinta dalla morale, la cui funzione è solo quella di giudicare se siano conformi, o non, alla legge. Insomma, rischiamo di trovarci a dover fare i conti con una teoria della morale che ha la pretesa di tradursi in sistema sociale e che finisce, perciò, col sovrapporsi a quello legale. Un' idea di Giustizia che sembra ignorare la realtà, immaginandola «come vorrebbe che fosse», e che, a giudizio del potere creativo del giudice, dovrebbe integrare il diritto positivo col pubblico linciaggio. L' impressione che i magistrati inquirenti danno è, in buona sostanza, di voler imporre un Ordine fondato soprattutto sulla osservanza di regole moralmente «giuste», proiettate nel futuro di una società perfetta, più che sul rispetto di regole giuridiche «valide» in quanto prodotte dall' Ordinamento esistente. In definitiva, anche qualora non si trattasse dell' ennesimo tentativo di «raddrizzare il legno storto» che sono gli uomini in carne e ossa - chi vivrà vedrà, e solo il tempo e il prosieguo dell' inchiesta lo possono dire - la vicenda, così come è nata e si è finora sviluppata, sembra comunque indurre a una riflessione. Il nostro sistema giudiziario non dovrebbe attenersi, solo nella fase del giudizio, al rispetto formale della legge che c' è, ma dare mostra di attenervisi anche nella fase istruttoria. Non si tratterebbe di abdicare a una concezione della Giustizia che rifletta (anche) princìpi e valori sociali, ma realisticamente di non dimenticare la massima kantiana che ne completa la morale: «Non si dà come da qualcosa di storto possa nascere qualcosa di dritto». Il sistema giudiziario dovrebbe limitarsi a disciplinare gli uomini «come sono», attraverso la legge; non a cercare di far nascere l' «uomo nuovo», moralmente «giusto», attraverso le proprie inchieste. Per dirla ancora con Bobbio, sarebbe auspicabile un' idea del diritto che non pretenda di dire agli italiani «che cosa fare», ma si limiti a dire loro «come» farlo.
NORBERTO BOBBIO

Per un liberale vero, sono parole che si possono solo sottoscrivere e condividere. Per Ostellino, temo siano l'occasione di nuovi attacchi (anche insulti pare)  della parte dei lettori chic presenti anche sul Corriere. 


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