ADAM SMITH, autore de "La ricchezza delle nazioni" |
La notizia da cui parte questo interessante editoriale di Dario DI Vico, e cioè che Veltroni e Chiamparino avessero tolto la loro firma dal documento presentato da Ichino, è stata corretta dagli interessati il giorno dopo spiegando di non aver tolto nulla per il semplice fatto che non l'avevano MAI messa. MA questo, continuavano i due politici chiamati in causa, nella loro lettera al Corriere, non era per dissenso al documento di Ichino che invece approvavano esplicitamente e totalmente, quanto per un rispetto di ruoli e di autonomie. Ichino l'estensore e quindi il firmatario, loro gli aderenti.
Ciò detto , la sostanza dell'articolo resta valida, anche perché non vi è dubbio che il vento sia cambiato e il PD sia sempre meno una formazione di centro sinistra ma di sinistra ancorché "riformista " rispetto a quella più radicale vendoliana. Nella fusione tra DS e Margherita, alla fine, come prevedibile, non c'è stata una osmosi , quella coerentemente e vanamente perseguita dal suo principale fondatore, Veltroni, ma un'assorbimento con marginalizzazione dei secondi. Infatti Rutelli, il leader della Margherita, se n'è andato e altri con lui. Molti, come Giovanardi, Fioroni, Parisi, Castagnetti, Follini, forse lo stesso Marini, si trovano a disagio per questo scostamento dal "centro" ma per ora restano li.
Bersani era stato , come ministro dell'Industria di Prodi, l'alfiere delle liberalizzazioni e ancora nel 2008, a CArpi, spiegava alla sua base perché fosse opportuno razionalizzare la gestione dell'erogazione dell'acqua attraverso l'ingresso di capitale privato .
Bellissima la chiosa di Di Vico , che lo scrivente condivide appieno :
se i problemi sono laburisti, nell'economia di oggi, le soluzioni continuano ad essere liberali.
L'articolo : DARIO DI VICO - corriere della sera Sabato 18 Giugno 2011
Il Veltroni che aprì la campagna per le politiche del 2008 al Lingotto ha rappresentato il momento in cui il liberalsocialismo italiano è sembrato darsi le ali per volare. Fino ad allora era vissuto per lo più sul contributo di singoli studiosi estremamente versati nel produrre spunti e idee. Ora la notizia che lo stesso Veltroni, insieme a Sergio Chiamparino, ha tolto la firma dal documento di Pietro Ichino che sarà presentato alla Conferenza del Lavoro in corso a Genova è un episodio illuminante.
È il completamento di una parabola e la prova che il partito si sta muovendo in tutt’altra
direzione. Si sta attrezzando a recuperare una visione più tradizionale, che per comodità
definiremmo neo-laburista. E del resto sono molti altri i segnali che dimostrano il nuovo trend.
Innanzitutto il perdurare della Grande Crisi e la percezione diffusa che il grosso dei costi sociali
debba ancora essere pagato. Il voto amministrativo di Milano con lo spostamento di consensi
del lavoro autonomo verso Giuliano Pisapia segnala come un’ampia porzione di ceto medio,
che non si è sentito tutelato dalla scelta del governo di investire tutte le risorse sulla Cassa
integrazione, si sia rivolto al centrosinistra chiedendo asilo. Non dimentichiamo che nella
dirigenza della sinistra non si è mai rimarginata la ferita causata dalla perdita (via Lega) di una
consistente parte dell’insediamento sociale e operaio. In svariate occasioni il vertice del Pd è
stato accusato di aver abbracciato masochisticamente la cultura di mercato e lasciato spazio
alle incursioni a sinistra di Umberto Bossi e Giulio Tremonti. Infine l’esito dei referendum e
anche la diffusione di una cultura dei social network orientata alla salvaguardia dei beni
pubblici— l’acqua come l’occupazione — spingono anch’essi verso un approdo neo-laburista.
Non è un caso che Stefano Fassina, responsabile economico del Pd, abbia formulato la
richiesta di «un Piano per l’occupazione giovanile e femminile» , che almeno nel lessico
rimanda alla Cgil Anni 50. Se poi spingiamo lo sguardo oltre Chiasso si può constatare come i
partiti socialdemocratici segnalati in ripresa dai sondaggi elettorali abbiano recuperato
audience non perché hanno sviluppato una convincente ricetta post-blairiana ma
semplicemente perché si limitano a interpretare il mestiere di oppositori in periodo di
recessione. Tutte queste riflessioni congiurano, dunque, nel legittimare gli slittamenti di cultura
politica in corso dentro il Pd, che prima ha perso una figura di prestigio come Nicola Rossi e
oggi in qualche misura prende le distanze dagli Ichino. Conseguenza immediata: i temi della
libertà economica (liberalizzazioni, privatizzazioni e lenzuolate) escono dallo spartito, come del
resto è ampiamente dimostrato dalla scelta tutta politica di non ascoltare i dubbi sui
referendum avanzati da personalità come Franco Bassanini. Il Pd, dunque, nato come progetto
modernizzatore e cosmopolita, pone oggi più attenzione al consenso e all’insediamento
sociale. Come tornasse alla ricerca di un «suo popolo» e in questa indagine ponesse
attenzione prioritaria alle partite Iva, ai precari, ai blogger. Siccome questa strategia, almeno
nel breve, ha pagato con il raggiungimento del quorum e anche con la ripresa di gradimento
del Pd segnalato dai sondaggi a quota 29%, non si può pretendere di dare consigli di segno
contrario.
La riflessione più sensata che si può avanzare dall’esterno è che una mini-svolta laburista
rischia di far perdere al Pd il credito conquistato in questi anni negli ambienti più attenti alla
cultura di mercato e che qualcosa hanno contato nelle performance elettorali di Pisapia e
Stefano Boeri. Ma forse il pericolo maggiore per una forza che si ricandida in qualche modo a
guidare il processo di uscita dalla crisi è quello di avvicinarsi al popolo ma allontanarsi dalle
soluzioni. In più riprese in passato si è sviluppato un movimento politico culturale autodefinitosi
lib-lab e che ha cercato generosamente di conciliare le due culture, la liberale e la laburista.
Non ha conosciuto mai grande successo ma quel tipo di esercizio non andrebbe comunque
disperso, perché se i problemi sono laburisti, nell’economia di oggi— e con le scadenze che
attendono il nostro Paese — le soluzioni continuano ad essere liberali.
Nessun commento:
Posta un commento