LIBERA VOLPE IN LIBERO POLLAIO |
Ieri Bersani ha scritto sul Corriere della Sera prendendo posizione sulla questione morale e le vicissitudini che recentemente in materia hanno colpito anche il PD : Pronzato, Tedesco, Penati, per nominare i più famosi ( ma sono ormai decine e decine gli inquisiti a vario titolo appartenenti all'area democratica).
Il contenuto della missiva è francamente deludente. Il problema c'è, ammette Bersani, però nessuno fa quello che facciamo noi per cercare di evitarlo. Oggi Polito risponde da par suo sul Corriere osservando come francamente , in concreto, ci sono molte cose migliori da poter fare al riguardo e che ANCHE il PD si guarda bene dal fare.
Prima di lasciarvi alla lettura dell'editoriale, rispondo a un commentatore dell'articolo che faceva un'obiezione piuttosto ricorrente a chi critica la sinistra : "guardate a noi e dimenticate il marcio tracimante della parte opposta".
E' una lamentela piuttosto mediocre, in primo luogo perché la questione morale è bandiera degli eredi di Berlinguer e quindi è ovvio che il "tradimento" dell'insegna si contesti ai suoi portatori, e non a chi il problema non se lo pone. In secondo luogo perché il problema non è solo di persone - più o meno oneste - ma di SISTEMA. I politici, dice Polito, devono essere proprio ESPULSI dal settore economico, dove lo Stato deve essere controllore del rispetto delle regole (non so, anti trust solo per dire la prima che mi viene in mente) e non giocatore.
E invece da questo orecchio la politica, sinistra compresa, proprio non ci vuole sentire. E continua a lasciare che la volpe entri nel pollaio, con la scusa che è una volpe "onesta e controllata".
Ma si può ?
Buona lettura
IL PD E LA QUESTIONE MORALE
Quel che Bersani non ha scritto
Il Pd ha questo di buono: della sua questione morale per lo meno ne parla. Bersani ha affrontato il problema con la lettera pubblicata ieri dal Corriere della Sera . Che contiene due elementi apprezzabili. Il primo è l'ammissione che la «diversità genetica» non esiste più. Gli iscritti al Pd non sono vaccinati dalla loro storia o dai loro ideali contro la tentazione di rubare. Bersani dice che il Pd aspira piuttosto a una «diversità politica». Ed elenca molte misure certamente utili per ridurre il rischio che i politici - i suoi e gli altri - rubino. Tra queste una legge, del resto prevista in Costituzione, che regolamenti la vita dei partiti condizionando i generosi finanziamenti dello Stato al rispetto di regole interne di trasparenza. Bisognerebbe anzi prevedere, come nel calcio, la responsabilità oggettiva: chi sgarra perde i soldi pubblici.
Detto questo, Bersani si ferma ben al di qua di ciò che servirebbe per restituire al Pd l'onore politico compromesso dai casi Penati, Pronzato e Tedesco. Nella sua lettera manca infatti ogni accenno autocritico. Che ci vuole ad ammettere, per esempio, che un dirigente del Pd nel consiglio di amministrazione dell'Enac non doveva proprio starci? Non è così che si separa «la politica dalla gestione», come il Pd spesso auspica? Se si dà a un politico il potere di assegnare una tratta aerea gli si regala anche un potere discrezionale che sarà fatalmente tentato di sfruttare. E non sono forse migliaia gli enti e le aziende pubbliche i cui cda esistono al solo scopo di assicurare poltrone e affari ai partiti? Secondo punto. Non si può criticare il Pd perché alcuni suoi senatori si sono rifiutati di avallare il teorema per cui Tedesco, che non fu arrestato quando era un «semplice» assessore di Vendola, meriti ora la privazione della libertà perché da parlamentare può delinquere più facilmente (tesi sostenuta dai magistrati). Ma il Pd ha la colpa di aver portato in parlamento Tedesco proprio perché era inquisito, con la «furbata» di eleggere a Strasburgo chi lo precedeva in lista, promuovendolo così da primo dei non eletti a eletto dotato di «scudo».
Infine il caso Penati, il più scabroso per Bersani, poiché ne era il braccio destro. Si capisce che il segretario del Pd non voglia entrare nel merito delle accuse penali. Ma la pietra dello scandalo è la spericolata operazione con cui la Provincia di Milano guidata da Penati comprò azioni di una società autostradale, peraltro già a maggioranza di capitale pubblico. Bersani potrebbe almeno dire che quell'affare fu un errore, frutto dell'ipertrofia, se non peggio, di una politica che invece di privatizzare acquista fette di aziende, gioca a Monopoli e fa scambi impropri con le imprese usando il denaro dei contribuenti?
Moralizzare davvero vuol dire espellere la politica dalla gestione degli affari e dell'economia. Fare del moralismo è invece lisciare il pelo ai pasdaran dell'antipolitica, come il Pd ha fin qui spesso fatto nella speranza - ha scritto Marco Follini - di «esserne risparmiato in ragione di un minor vizio: soluzione ingenua senza essere del tutto innocente». Il trucchetto, come si vede in questi giorni, non funziona più. Non resta che fare sul serio.
Detto questo, Bersani si ferma ben al di qua di ciò che servirebbe per restituire al Pd l'onore politico compromesso dai casi Penati, Pronzato e Tedesco. Nella sua lettera manca infatti ogni accenno autocritico. Che ci vuole ad ammettere, per esempio, che un dirigente del Pd nel consiglio di amministrazione dell'Enac non doveva proprio starci? Non è così che si separa «la politica dalla gestione», come il Pd spesso auspica? Se si dà a un politico il potere di assegnare una tratta aerea gli si regala anche un potere discrezionale che sarà fatalmente tentato di sfruttare. E non sono forse migliaia gli enti e le aziende pubbliche i cui cda esistono al solo scopo di assicurare poltrone e affari ai partiti? Secondo punto. Non si può criticare il Pd perché alcuni suoi senatori si sono rifiutati di avallare il teorema per cui Tedesco, che non fu arrestato quando era un «semplice» assessore di Vendola, meriti ora la privazione della libertà perché da parlamentare può delinquere più facilmente (tesi sostenuta dai magistrati). Ma il Pd ha la colpa di aver portato in parlamento Tedesco proprio perché era inquisito, con la «furbata» di eleggere a Strasburgo chi lo precedeva in lista, promuovendolo così da primo dei non eletti a eletto dotato di «scudo».
Infine il caso Penati, il più scabroso per Bersani, poiché ne era il braccio destro. Si capisce che il segretario del Pd non voglia entrare nel merito delle accuse penali. Ma la pietra dello scandalo è la spericolata operazione con cui la Provincia di Milano guidata da Penati comprò azioni di una società autostradale, peraltro già a maggioranza di capitale pubblico. Bersani potrebbe almeno dire che quell'affare fu un errore, frutto dell'ipertrofia, se non peggio, di una politica che invece di privatizzare acquista fette di aziende, gioca a Monopoli e fa scambi impropri con le imprese usando il denaro dei contribuenti?
Moralizzare davvero vuol dire espellere la politica dalla gestione degli affari e dell'economia. Fare del moralismo è invece lisciare il pelo ai pasdaran dell'antipolitica, come il Pd ha fin qui spesso fatto nella speranza - ha scritto Marco Follini - di «esserne risparmiato in ragione di un minor vizio: soluzione ingenua senza essere del tutto innocente». Il trucchetto, come si vede in questi giorni, non funziona più. Non resta che fare sul serio.
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