martedì 26 luglio 2011

STATO MAGRO, MA NO NON-STATO


ANARCHIA CAPITALISTA
L'ARTICOLO CHE DI SEGUITO RIPORTO DI PIERO OSTELLINO MI CONFORTA. 
Si perché il breve confronto con alcuni esponenti del Tea Party Italiano (tra i cui "fondatori" credo ci sia Giacomo Zucco, persona squisita e preparata, al di là della non coincidenza di vedute) mi aveva fatto venire dubbi su quello che ho sempre pensato fosse stato il mio credo ideale: il liberalismo.
Le concezioni radicalmente anti-stato tout court lette nei commenti di molti (non mi sentirei di dire tutti, ma la maggioranza assolutamente si) degli appartenenti il gruppo menzionato, una fede grande (cieca ?)  nei meriti del mercato in praticamente TUTTI gli ambiti della vita civile, mi
avevano sconcertato e fatto pensare che essere cresciuto nei famigerati anni 70 in qualche modo avessero inquinato il mio pensiero e invece che liberale fossi in realtà un "socialdemocratico " inconsapevole!
Eppure mi sono sempre battuto per il MERITO, non ho mai pensato all'egualitarismo come un valore assoluto, preferendo l'uguaglianza dei diritti piuttosto che quella delle cose, dei punti di partenza e non di quelli di arrivo.
Ho sempre criticato l'assistenzialismo cieco, la spesa pubblica come sperpero e ipertrofismo statele, con ingerenza in campi, come l'economia, dove lo stato dovrebbe essere solo arbitro (vegliare sul rispetto delle regole e delle leggi) e non giocatore.  Non ho mai guardato alla Svezia come modello sociale, proprio perché troppo "socialista" , pur riconoscendo il buon funzionamento di quello stato nel quale però non mi piacerebbe vivere perché troppo regolante e controllante ( e troppo tassato, benché con ottimi servizi).
Insomma un liberale no ???                                 
Ma un liberale che crede nel ruolo dello Stato, sia pure estremamente più circoscritto a quello che è in Italia e anche in  tanti altri paesi europei.  
Ecco, l'articolo di oggi di Piero Ostellino mi conforta proprio perché un riconosciuto e apprezzato liberale (nonché criticatissimo per lo stesso motivo da molti) riafferma sostanzialmente gli stessi principi che sopra menziono.
Uno Stato da dimagrire, da riformare grandemente, a favore della società civile, ma che C'è.
L'utopia "anarco-capitalista" non solo è utopia, ma proprio non mi affascina .


PESO DELLO STATO E SOCIETA’ CIVILE
L’ingombrante mano pubblica
Sono più di un milione e 300 mila le persone, in Italia, che vivono «di» politica, nel senso che la loro fonte di sostentamento è la politica, esattamente come la metalmeccanica lo è dei metalmeccanici e il giornalismo dei giornalisti. Poiché, però, i conti pubblici del Paese corrono qualche rischio, la stessa politica ha tratto la conclusione che costoro sono tanti, costano troppo e quindi vanno ridotti.
A me pare una risposta sbagliata, se non demagogica, più per far fronte alla marea dell’antipolitica che sale dall’opinione pubblica che per razionalizzare il sistema. La domanda corretta dovrebbe essere che cosa faccia tutta questa gente «per» la politica, per facilitare il buon funzionamento delle istituzioni e migliorare la vita ai cittadini.
Poiché, d’altra parte, i cittadini sono sempre più oppressi dall’eccessiva pressione fiscale, che serve a finanziare una spesa pubblica straripante; poiché lamentano difficoltà a orientarsi nella giungla di leggi e di regolamenti, che penalizzano investimenti e produzione; poiché sono scandalizzati dagli sprechi e dalla corruzione, che distruggono risorse; poiché hanno, in altre parole, la sensazione che quel milione e 300 mila che vive «di» politica faccia più danni che altro, ecco allora che il problema non è (solo) contabile, bensì (soprattutto) politico.
E se il problema è politico, ci si deve chiedere quanto spazio, nella nostra vita, debba occupare la sfera pubblica a ogni livello, e quanto di tale spazio dovrebbe essere lasciato a noi stessi, alla società civile. Rispondere semplicisticamente con lo slogan «meno Stato, più mercato», invece di facilitare la soluzione del problema, ha complicato però le cose e ridotto la questione a un conflitto ideologico fra liberali e socialisti. La risposta corretta, dalla quale partire, è, pertanto, «più Stato, dove è necessario; più società civile, dove è possibile». È anche la tesi del liberalismo di Adam Smith, Friedrich von Hayek, Luigi Einaudi, che è per lo Stato giuridico, non per lo Stato etico; è sociale, non assistenziale. I suoi nemici hanno ridotto il liberalismo a un «fantoccio polemico» contro il quale sparare in favore della spesa pubblica, e delle tasse, della carità di Stato, a detrimento della vera socialità. Munizioni di chi vive «di» politica e poco «per» la politica.
Il centrodestra di Antonio Martino, Giuliano Urbani, Marcello Pera, Alfredo Biondi—quello, per intenderci, della «rivoluzione liberale » che aveva connotato la discesa in campo di Berlusconi — pareva averlo capito e, con la promessa riduzione della spesa pubblica e della pressione fiscale, aveva progettato anche una radicale semplificazione normativa e amministrativa, le privatizzazioni di alcuni servizi pubblici degli enti locali (poi malaccortamente fatte dal centrosinistra, e che hanno accresciuto clientelismi e corruzione periferici). Tali riforme erano la condizione per sanzionare, se non la fine dello statalismo, degli sprechi e persino della corruzione, almeno il loro contenimento. Non se ne è fatto nulla e, ora, quel che è peggio, c’è culturalmente e politicamente l’orientamento a identificare il crepuscolo del berlusconismo — che liberale lo è stato molto a parole, poco nei fatti—con la crisi del liberalismo, del capitalismo e del mercato, che delle libertà e del benessere di cui gode l’Occidente sono stati storicamente la pre-condizione, e ad auspicare il ritorno allo statalismo.
In tale contesto, il mondo della cultura e il sistema informativo devono esercitare una duplice funzione. Prima: chiedersi «come» stanno le cose, il che è verificabile nella realtà, piuttosto che dire «perché» dovrebbero stare diversamente, che implica una risposta ideologica non verificabile. Seconda: invece di assecondare la protesta populista e la demagogica illusione di ridurre i costi della politica, pur necessaria, senza ridurre gli ambiti di intervento dello Stato, intellettuali e media dovrebbero chiedersi quanto accrescano i diritti, le libertà individuali, il benessere generale e lo sviluppo del Paese ogni provvedimento del governo e ogni proposta dell’opposizione, e informarne correttamente l’opinione pubblica. A fondamento della democrazia ci sono due pilastri: un sistema informativo attento e un’opinione pubblica bene informata.
Piero Ostellino
26 luglio 2011  


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