Ci lamentiamo, giustamente, dei carrozzoni pubblici o semi pubblici inutili e costosi. MA non è che ne manchino in campo internazionale, con gli stessi identici difetti.
Guardiamo ai campioni dell' OCSE, pomposamente "Organizzazione per la Cooperazione e lo sviluppo economico" che discetta su TUTTO, e come sempre in questi casi, con scarso profitto.
Allora si parla di merito, di aumentare la severità nella preparazione dei giovani in modo che si favorisca l'approdo nel campo delle vere competenze di ciascuno, senza frustrati, precari, peggio disoccupati.
La scuola è un buon inizio per questo.
LO era prima del 68...ma molti nonostante i risultati devastanti di quella stagione, soprattutto nel campo dell'istruzione e dell'educazione, insistono.
Tra questi "somari" annoveriamo anche l'OCSE
Leggete qui :
"PARIGI - Tutti promossi. Non è il nuovo slogan degli studenti fannulloni ma il suggerimento, molto serio, dell'ultimo rapporto Ocse sull'organizzazione dei principali sistemi educativi nel mondo. Lo studio conferma quello che molti esperti vanno dicendo ormai da anni. Ripetere un anno di scuola non sempre serve a recuperare il ritardo sul programma. Anzi, spesso è un modo di penalizzare ancora di più l'alunno in difficoltà. Numeri alla mano, l'organizzazione internazionale dimostra che laddove esistono molti "ripetenti" peggiorano i risultati complessivi delle classi e, in finale, anche la percentuale degli alunni che riescono a diplomarsi. Se anziché bocciare si organizzano corsi di recupero personalizzati o altre misure di sostegno (succede per esempio in Finlandia o in Gran Bretagna), allora l'efficienza nello studio migliora e il ritardo didattico può scomparire."
Come il voto e le pagelle, la bocciatura fa parte di una scuola "all'antica" oggi rimessa in discussione. In Europa, alcuni paesi si stanno già distaccando dal vecchio modello. L'Austria ha annunciato che abolirà le bocciature dall'anno prossimo mentre in Francia, con record di "ripetenti" sul continente, si discute una possibile riforma. E pazienza per chi sostiene, come il ministro Gelmini, che ci sia il rischio di essere troppo "buonisti". "Sono contraria ad una scuola modello '68 che non distingue chi si impegna e merita dai lavativi, che promuove tutti senza differenze".
"Nei paesi in cui un maggior numero di studenti ripete gli anni scolastici - osserva l'Ocse - la performance globale tende ad essere inferiore, e il background sociale ha un impatto maggiore sui risultati di apprendimento". Ovvero: la bocciatura rafforza le disuguaglianze, emargina ancora di più quei bambini o ragazzi con problemi scolastici. I ragazzi che devono ripetere l'anno non vengono quasi mai seguiti individualmente, perdono fiducia in se stessi e si allontanano dallo studio. Eppure, nonostante le tante critiche, continua a essere una tendenza diffusa. Secondo la classifica Pisa - che valuta i sistemi educativi nell'area Ocse - più di uno studente su dieci (il 13%) è stato bocciato almeno una volta nel suo percorso di studio. Il 7% alle elementari, il 6% alle scuole medie e il 2% al liceo. L'Italia si colloca appena al di sopra della media Ocse, con una percentuale di allievi bocciati del 18%. I ricercatori danno inoltre un giudizio negativo su un'altra pratica comunemente utilizzata per trattare gli studenti che vanno male a scuola, o hanno un comportamento inadeguato: il trasferimento in altre strutture scolastiche. Un metodo che, scrivono, "tende ad essere associato con una segregazione nel sistema scolastico, in cui gli studenti che provengono da contesti avvantaggiati finiscono in scuole con risultati migliori mentre quelli di origini svantaggiate finiscono in scuole peggiori".
L'Ocse raccomanda anche maggiore elasticità da parte dei dirigenti scolastici sulla valutazione di fine anno, in base a criteri meno rigidi. Laddove i presidi hanno infatti più autonomia nel decidere la promozione, spesso vengono agevolati percorsi di accompagnamento che incentivano gli alunni più in difficoltà. Ultimo argomento: bocciare costa. Oltre a non garantire il progresso educativo, far ripetere un anno scolastico pesa sui bilanci dell'Istruzione pubblica, proprio in un momento di crisi economica e tagli alle scuole. Ogni bocciatura, hanno calcolato gli esperti dell'Ocse, costa in media tra i 10 e i 15 mila dollari annuali. In paesi come la Spagna, il Belgio o l'Olanda, i "ripetenti" incidono sul 10% del budget complessivo per l'educazione. Un altro effetto di lungo termine, registrato dall'Ocse, è il ritardato ingresso dello studente nel mondo del lavoro e la diminuzione di manodopera qualificata. Se le bocciature si ripetono nel ciclo scolastico, gli alunni tendono ad abbandonare lo studio, già prima del diploma. Un fallimento. Non solo per loro.
Come il voto e le pagelle, la bocciatura fa parte di una scuola "all'antica" oggi rimessa in discussione. In Europa, alcuni paesi si stanno già distaccando dal vecchio modello. L'Austria ha annunciato che abolirà le bocciature dall'anno prossimo mentre in Francia, con record di "ripetenti" sul continente, si discute una possibile riforma. E pazienza per chi sostiene, come il ministro Gelmini, che ci sia il rischio di essere troppo "buonisti". "Sono contraria ad una scuola modello '68 che non distingue chi si impegna e merita dai lavativi, che promuove tutti senza differenze".
"Nei paesi in cui un maggior numero di studenti ripete gli anni scolastici - osserva l'Ocse - la performance globale tende ad essere inferiore, e il background sociale ha un impatto maggiore sui risultati di apprendimento". Ovvero: la bocciatura rafforza le disuguaglianze, emargina ancora di più quei bambini o ragazzi con problemi scolastici. I ragazzi che devono ripetere l'anno non vengono quasi mai seguiti individualmente, perdono fiducia in se stessi e si allontanano dallo studio. Eppure, nonostante le tante critiche, continua a essere una tendenza diffusa. Secondo la classifica Pisa - che valuta i sistemi educativi nell'area Ocse - più di uno studente su dieci (il 13%) è stato bocciato almeno una volta nel suo percorso di studio. Il 7% alle elementari, il 6% alle scuole medie e il 2% al liceo. L'Italia si colloca appena al di sopra della media Ocse, con una percentuale di allievi bocciati del 18%. I ricercatori danno inoltre un giudizio negativo su un'altra pratica comunemente utilizzata per trattare gli studenti che vanno male a scuola, o hanno un comportamento inadeguato: il trasferimento in altre strutture scolastiche. Un metodo che, scrivono, "tende ad essere associato con una segregazione nel sistema scolastico, in cui gli studenti che provengono da contesti avvantaggiati finiscono in scuole con risultati migliori mentre quelli di origini svantaggiate finiscono in scuole peggiori".
L'Ocse raccomanda anche maggiore elasticità da parte dei dirigenti scolastici sulla valutazione di fine anno, in base a criteri meno rigidi. Laddove i presidi hanno infatti più autonomia nel decidere la promozione, spesso vengono agevolati percorsi di accompagnamento che incentivano gli alunni più in difficoltà. Ultimo argomento: bocciare costa. Oltre a non garantire il progresso educativo, far ripetere un anno scolastico pesa sui bilanci dell'Istruzione pubblica, proprio in un momento di crisi economica e tagli alle scuole. Ogni bocciatura, hanno calcolato gli esperti dell'Ocse, costa in media tra i 10 e i 15 mila dollari annuali. In paesi come la Spagna, il Belgio o l'Olanda, i "ripetenti" incidono sul 10% del budget complessivo per l'educazione. Un altro effetto di lungo termine, registrato dall'Ocse, è il ritardato ingresso dello studente nel mondo del lavoro e la diminuzione di manodopera qualificata. Se le bocciature si ripetono nel ciclo scolastico, gli alunni tendono ad abbandonare lo studio, già prima del diploma. Un fallimento. Non solo per loro.
Poche le voci fuori dal coro, come quella della scrittrice Paola Mastrocola, autrice di duri pamphlet contro il "buonismo" italiano (La scuola raccontata al mio cane, Guanda, 2004). "Sono stata e sono favorevolissima ai voti, che sono più chiari, più trasparenti, più democratici e meno ipocriti dei giudizi che li hanno preceduti - dice Mastrocola - Grazie al voto, i bambini si abituano a distinguere tra una cosa fatta bene e un'altra che non lo è. E capiscono benissimo, così come recepiscono il senso della sfida: oggi ho preso 4, ma domani potrei prendere 8 se raggiungerò questi obiettivi". Umiliazioni? Stress? Fobia da scuola? "Perché un'insufficienza dovrebbe umiliare? Certo, anche i genitori non devono percepirla in questo modo, né commettere l'errore, purtroppo sempre più frequente, di far capire ai figli che è l'insegnante a essere cattivo o in torto". Il problema dei criteri di valutazione appassiona esperti di tutto il mondo: negli Stati Uniti si usano le lettere, in Romania i giudizi, in Germania voti dall'1 all'8,
La voce fuori del coro, così come la definisce l'articolo della Pravda italiana (repubblica, che deve sognare lo stato iperuranio platoniano) è l'unica da ascoltare !.
La nostra, intervistata sulla Stampa, nel denunciare il disastro linguistico in corso, auspicava il ritorno all'esame di quinta elementare (morti e feriti non se ne ricordano tra cui ha fatto 10 anni che so, nel 1970)
“Ripristiniamo l'esame di quinta elementare”.
Riportiamo l'articolo che prende le mosse dall'esternazione di Marco Rossi Doria che tracciava un quadro tragico della nostra istruzione e in particolar modo della conoscenza dell’italiano.
«Si scrive per frasi fatte, - dice Rossi Doria - spesso tratte da stereotipi della tv. Non si conoscono le basi della sintassi. Tanto che le frasi scritte vengono tenute su - si fa per dire - da parole tuttofare. Così la parola “che” è ormai polivalente: la si trova, indifferentemente, al posto di “a cui”, “di cui”, “in cui” ma anche al posto di “dove” e di “quando”. È una questione decisiva». E nel dare l’allarme, operazione nella quale non sembra essere l’unico di questi tempi, elogiava le crociate a favore della lingua di Paola Mastrocola. Ma la situazione è davvero così tragica o i cambiamenti linguistici di cui tanto ci scandalizziamo sono solo un’inevitabile conseguenza dello scorrere del tempo, dei costumi e dei codici? Quale ruolo può svolgere la scuola in questo senso? Ne abbiamo parlato con la stessa Mastrocola.
Che cosa ne pensa della proposta del maestro Marco Rossi Doria?
Inutile dire che sono assolutamente d’accordo. Mario Rossi Doria è un grandissimo maestro nonché una figura importante all’interno del mondo della scuola e dell’educazione. La sua proposta e l’allarme da lui lanciato sulle pagine della Stampa sono assolutamente condivisibili. Soprattutto per quanto riguarda la lingua italiana. Fosse per me reintrodurrei, oltre all’esame di quinta elementare, anche quello di seconda. Il passaggio dai primi due anni agli ultimi tre delle elementari può anch’esso essere utile.
Addirittura?
Certo. Una delle domande che mi sto ponendo nella mia “battaglia” per l’italiano è se si tratta di una crociata che sono soltanto io a condurre. Stiamo andando verso un mondo di non parlanti, non scriventi, non leggenti. Più che denunciare questo tracollo non so davvero che cosa fare. Addirittura fra i miei colleghi insegnanti c’è chi sostiene che vada benissimo così, accampando come argomentazione l’idea che il mondo inevitabilmente si trasforma e con esso i modi di comunicare. Ma mi sembra piuttosto strano che questa trasformazione ci porti a regredire fino ai linguaggi gestuali e gutturali.
Per quali motivi la scuola ha iniziato ad essere meno rigorosa nell’insegnamento della grammatica italiana?
"Direi che è una somma di fattori che si sono diabolicamente intrecciati. Primo fra questi il ’68 e la sua “onda lunga”. La grammatica improvvisamente divenne di destra. Ci ricordiamo della frase «è solo questione di forma, badiamo al contenuto»? Questa divenne la logica dell’insegnamento. Il consumismo sfrenato si è poi aggiunto, portatore di una mentalità di immediatezza e quindi facilitazione di ogni cosa, anche della lingua. Terzo elemento è quello tecnologico: la comunicazione visiva sfrenata ha sacrificato il valore delle parole in sé, della lettura. Anche i messaggini sul cellulare vengono scritti seguendo un criterio espressivo minimale. La scuola non ha saputo e non sa arginare questi straripamenti dell’uso della lingua.
Molti più che alla scuola danno la colpa all’università che non sarebbe in grado di formare adeguatamente gli insegnanti, lei è d’accordo con questa analisi?
Sinceramente degli insegnanti futuri so poco o niente, quindi non mi sento di accusare gli atenei. Io parlo delle elementari, e anche delle medie, perché per esperienza diretta mi vedo costretta come insegnante di liceo a dover rispiegare quelli che appunto sono gli “elementi” della grammatica e della sintassi. E mi domando che cosa si faccia oggi alle elementari. Sicuramente non insegnano le nozioni fondamentali che sarebbe essenziale i bambini apprendano. Le elementari di oggi hanno creato una “diversamente scuola”.
Linguisti internazionali, del calibro di Noam Chomsky, affermano però che la trasformazione della lingua sia un fenomeno inevitabile e inarrestabile. È successo con il latino ad esempio dal quale sono derivate le lingue romanze. Non trova forse che ciò che lei denuncia sia semplicemente l’effetto dello scorrere del tempo e dei costumi?
Ripristiniamo l'esame di quinta elementare”. Così La Stampa intitolava l’altro ieri un articolo di Marco Rossi Doria che tracciava un quadro tragico della nostra istruzione e in particolar modo della conoscenza dell’italiano. «Si scrive per frasi fatte, - dice Rossi Doria - spesso tratte da stereotipi della tv. Non si conoscono le basi della sintassi. Tanto che le frasi scritte vengono tenute su - si fa per dire - da parole tuttofare. Così la parola “che” è ormai polivalente: la si trova, indifferentemente, al posto di “a cui”, “di cui”, “in cui” ma anche al posto di “dove” e di “quando”. È una questione decisiva». E nel dare l’allarme, operazione nella quale non sembra essere l’unico di questi tempi, elogiava le crociate a favore della lingua di Paola Mastrocola. Ma la situazione è davvero così tragica o i cambiamenti linguistici di cui tanto ci scandalizziamo sono solo un’inevitabile conseguenza dello scorrere del tempo, dei costumi e dei codici? Quale ruolo può svolgere la scuola in questo senso? Ne abbiamo parlato con la stessa Mastrocola.
Che cosa ne pensa della proposta del maestro Marco Rossi Doria?
Inutile dire che sono assolutamente d’accordo. Mario Rossi Doria è un grandissimo maestro nonché una figura importante all’interno del mondo della scuola e dell’educazione. La sua proposta e l’allarme da lui lanciato sulle pagine della Stampa sono assolutamente condivisibili. Soprattutto per quanto riguarda la lingua italiana. Fosse per me reintrodurrei, oltre all’esame di quinta elementare, anche quello di seconda. Il passaggio dai primi due anni agli ultimi tre delle elementari può anch’esso essere utile.
Addirittura?
Certo. Una delle domande che mi sto ponendo nella mia “battaglia” per l’italiano è se si tratta di una crociata che sono soltanto io a condurre. Stiamo andando verso un mondo di non parlanti, non scriventi, non leggenti. Più che denunciare questo tracollo non so davvero che cosa fare. Addirittura fra i miei colleghi insegnanti c’è chi sostiene che vada benissimo così, accampando come argomentazione l’idea che il mondo inevitabilmente si trasforma e con esso i modi di comunicare. Ma mi sembra piuttosto strano che questa trasformazione ci porti a regredire fino ai linguaggi gestuali e gutturali.
Per quali motivi la scuola ha iniziato ad essere meno rigorosa nell’insegnamento della grammatica italiana?
Direi che è una somma di fattori che si sono diabolicamente intrecciati. Primo fra questi il ’68 e la sua “onda lunga”. La grammatica improvvisamente divenne di destra. Ci ricordiamo della frase «è solo questione di forma, badiamo al contenuto»? Questa divenne la logica dell’insegnamento. Il consumismo sfrenato si è poi aggiunto, portatore di una mentalità di immediatezza e quindi facilitazione di ogni cosa, anche della lingua. Terzo elemento è quello tecnologico: la comunicazione visiva sfrenata ha sacrificato il valore delle parole in sé, della lettura. Anche i messaggini sul cellulare vengono scritti seguendo un criterio espressivo minimale. La scuola non ha saputo e non sa arginare questi straripamenti dell’uso della lingua.
Molti più che alla scuola danno la colpa all’università che non sarebbe in grado di formare adeguatamente gli insegnanti, lei è d’accordo con questa analisi?
Sinceramente degli insegnanti futuri so poco o niente, quindi non mi sento di accusare gli atenei. Io parlo delle elementari, e anche delle medie, perché per esperienza diretta mi vedo costretta come insegnante di liceo a dover rispiegare quelli che appunto sono gli “elementi” della grammatica e della sintassi. E mi domando che cosa si faccia oggi alle elementari. Sicuramente non insegnano le nozioni fondamentali che sarebbe essenziale i bambini apprendano. Le elementari di oggi hanno creato una “diversamente scuola”.
Linguisti internazionali, del calibro di Noam Chomsky, affermano però che la trasformazione della lingua sia un fenomeno inevitabile e inarrestabile. È successo con il latino ad esempio dal quale sono derivate le lingue romanze. Non trova forse che ciò che lei denuncia sia semplicemente l’effetto dello scorrere del tempo e dei costumi?
Chiarisco subito un concetto: io sono totalmente d’accordo con tale posizione. Possiamo anche trovarci tutti e decidere di comune accordo che la lettera “h” davanti al verbo “avere” non si debba più mettere. Parlando francamente non importa un bel niente a nessuno di saper distinguere un complemento oggetto da un predicativo dell’oggetto. La gente parla ugualmente con o senza questo tipo di conoscenze. Quello che intendo dire è che se un alunno si cimenta quattro ore di fila a comprendere questo tipo di differenze e strutture della lingua inevitabilmente mette in atto delle strutture di pensiero compiute e piene. Questo non serve? La logica umana è fondata su questi esercizi. Così si impara a pensare, ad argomentare e via dicendo. Se noi facciamo decadere la riflessione sulla lingua smontiamo di fatto tutto un esercizio per la strutturazione del pensiero.
Ovviamente ho già risposto in parte. La prima operazione sarebbe una riforma totale delle scuole elementari, ripristinando dei programmi che sensatamente ritornino ai fondamenti educativi. Questa non è una guerra per rendere la vita difficile ai bambini, ci mancherebbe. Ma è assurdo ragionare solo in termini di creatività libera e senza una minima regola. Tanto più che l’età infantile dispone di un enorme potenziale di apprendimento. Quindi monitorerei in maniera assai più assidua gli apprendimenti effettivi di anno in anno. E infine verificherei con maggiore scrupolo il lavoro degli insegnanti. È inammissibile che un maestro delle elementari faccia ciò che vuole a scapito della vita futura dei propri alunni. Dicono che questa sia l’era della comunicazione. Penso piuttosto che sia l’era dei mezzi di comunicazione. La comunicazione in sé la stiamo perdendo.
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