Angelo Panebianco vale sempre la pena leggerlo.....
TRA RAGIONI VERE E DEMAGOGIA
TRA RAGIONI VERE E DEMAGOGIA
Il vento forte dell'antipolitica
Siamo, come molti pensano, alla vigilia di una nuova esplosione di antipolitica nel Paese? Un segnale forte, per la verità, c'era già stato: la trionfale elezione di Luigi de Magistris a sindaco di Napoli. Anche se Napoli non è certo rappresentativa dell'Italia intera, è però indubbio che in quella occasione abbiamo visto l'antipolitica in azione: con la sua condanna sommaria e generalizzata del cosiddetto ceto politico, di maggioranza e di opposizione. Luciano Violante, sul Foglio di giovedì, ha ricordato che la nostra storia è contrassegnata da periodiche esplosioni di rivolta contro la classe politica. Con intervalli all'incirca ventennali, e pur nella diversità dei contesti e delle circostanze: il fascismo, la resistenza, il sessantotto, mani pulite. È la politica che, non riuscendo a rinnovarsi e a dare al Paese una salda guida e una direzione di marcia, commette periodicamente suicidio, suscita contro se stessa forze che la travolgono.
Aggiungo però che queste cicliche esplosioni non si spiegherebbero senza la presenza di alcune pre-condizioni culturali, senza certe costanti che sono tipiche della nostra tradizione. La più importante delle quali è la favola che si tramanda dall'Ottocento: quella di una società civile pura e incorrotta contrapposta a una società politica sede di ogni turpitudine. Non importa che quella rappresentazione sia una puerile bugia. Importa che essa determini di necessità un grado perennemente basso di legittimità della politica, e delle stesse istituzioni politiche (e che lasci il passo, nei momenti di crisi, alla loro delegittimazione aperta). Importa che sia creduta da tanti e che si trovino sempre dei nuovi demagoghi disposti a sfruttarla per i loro scopi. Importa il fatto che essa funzioni come una sorta di profezia che (periodicamente) si auto-adempie.
Sapevamo tutti che in un sistema politico i cui equilibri, da più di un quindicennio, si reggono sulla leadership di un uomo, Silvio Berlusconi, il declino politico di quell'uomo avrebbe prodotto una sorta di Big Bang. E ora abbiamo scoperto che anche la seconda gamba su cui si è retto il sistema politico, la leadership di Umberto Bossi, vacilla. Qualcuno vedrà forse all'opera una sorta di nemesi. In modi diversi, infatti, sia Berlusconi che Bossi sono emersi sull'onda di movimenti antipolitici che essi hanno però incanalato entro il sistema democratico. Il loro declino riapre tutti i giochi e crea varchi attraverso i quali l'antipolitica, non necessariamente di segno democratico, potrebbe di nuovo dilagare con grande impeto. Non sarebbe travolta solo l'attuale maggioranza ma, probabilmente, anche l'opposizione (che è anch'essa, come mostra la vicenda Penati, in gravi difficoltà).
Però la storia non è mai scritta in anticipo. Non è vero che quell'esito sia ormai ineluttabile. Occorrono certe condizioni. Se le decisioni prese dall'Europa sulla Grecia funzioneranno, se l'Unione monetaria si salverà, se l'Italia non finirà nel baratro come abbiamo temuto nei giorni scorsi, ecco che almeno una delle condizioni che agevolano l'esplosione di movimenti antipolitici non si realizzerà.
Ci sono poi i margini di azione di cui comunque i politici ancora dispongono: spetta a loro farne un uso sapiente. Ad esempio, serve ormai solo ad accrescere l'impopolarità della politica evitare di aggredire la questione dei suoi costi.
Quanto meno dal punto di vista simbolico è cruciale trasmettere al Paese l'idea che ai sacrifici che si chiedono ai cittadini corrisponda una disponibilità della politica a ridurre i propri privilegi. Sapendo, naturalmente, che (proprio perché non esiste quella società civile pura e innocente dipinta dai demagoghi dell'antipolitica), colpire i costi della politica, in certe aree del Mezzogiorno ma non solo, può significare innescare forme di ribellismo, fare inferocire clientele che dalla politica dipendono. Anche questo attiene al folklore antipolitico: «onesti cittadini» che mordono la mano da cui prendevano il cibo non appena si accorgono che le razioni si assottigliano.
E c'è poi il ruolo della presidenza della Repubblica: la sua importanza, ai fini della tenuta del sistema politico, cresce in rapporto direttamente proporzionale all'indebolimento del governo. Così va oggi interpretata l'azione del presidente Napolitano: dalla richiesta all'opposizione di non contrastare una rapida approvazione della manovra economica al fine di rassicurare i mercati internazionali, al fermo richiamo ai magistrati contro i protagonismi che fomentano lo scontro con la politica. Un richiamo assai opportuno se si considera che non le inchieste giudiziarie ma il modo in cui spesso vengono condotte contribuisce a risvegliare i più bassi istinti di una parte del pubblico, a diffondere sgradevoli richieste di giustizia sommaria. In barba alla presunzione di non colpevolezza.
C'è un'altra cosa che forse servirebbe per disinnescare certe spinte: fare una buona riforma elettorale. I sentimenti antipolitici sono oggi alimentati anche dalla polemica contro il cosiddetto «Parlamento dei nominati», ossia contro le liste bloccate. Non è meglio tornare a un sistema maggioritario (con un turno o due turni) con collegi uninominali? Il partito di maggioranza relativa, il Pdl (che avrebbe tutto da perdere se saltasse il bipolarismo) potrebbe farne oggetto di trattativa con la Lega: appoggeremo la vostra proposta di Senato federale solo a condizione che voi appoggiate una riforma elettorale così concepita. Troverebbe per strada anche il sostegno di una parte del Partito democratico.
L'anti-politica è la malattia infantile della democrazia e l'Italia, con la sua salute perennemente cagionevole, è assai portata alle ricadute. Ma c'è ancora qualche margine per lasciare i paladini dell'antipolitica a bocca asciutta.
Aggiungo però che queste cicliche esplosioni non si spiegherebbero senza la presenza di alcune pre-condizioni culturali, senza certe costanti che sono tipiche della nostra tradizione. La più importante delle quali è la favola che si tramanda dall'Ottocento: quella di una società civile pura e incorrotta contrapposta a una società politica sede di ogni turpitudine. Non importa che quella rappresentazione sia una puerile bugia. Importa che essa determini di necessità un grado perennemente basso di legittimità della politica, e delle stesse istituzioni politiche (e che lasci il passo, nei momenti di crisi, alla loro delegittimazione aperta). Importa che sia creduta da tanti e che si trovino sempre dei nuovi demagoghi disposti a sfruttarla per i loro scopi. Importa il fatto che essa funzioni come una sorta di profezia che (periodicamente) si auto-adempie.
Sapevamo tutti che in un sistema politico i cui equilibri, da più di un quindicennio, si reggono sulla leadership di un uomo, Silvio Berlusconi, il declino politico di quell'uomo avrebbe prodotto una sorta di Big Bang. E ora abbiamo scoperto che anche la seconda gamba su cui si è retto il sistema politico, la leadership di Umberto Bossi, vacilla. Qualcuno vedrà forse all'opera una sorta di nemesi. In modi diversi, infatti, sia Berlusconi che Bossi sono emersi sull'onda di movimenti antipolitici che essi hanno però incanalato entro il sistema democratico. Il loro declino riapre tutti i giochi e crea varchi attraverso i quali l'antipolitica, non necessariamente di segno democratico, potrebbe di nuovo dilagare con grande impeto. Non sarebbe travolta solo l'attuale maggioranza ma, probabilmente, anche l'opposizione (che è anch'essa, come mostra la vicenda Penati, in gravi difficoltà).
Però la storia non è mai scritta in anticipo. Non è vero che quell'esito sia ormai ineluttabile. Occorrono certe condizioni. Se le decisioni prese dall'Europa sulla Grecia funzioneranno, se l'Unione monetaria si salverà, se l'Italia non finirà nel baratro come abbiamo temuto nei giorni scorsi, ecco che almeno una delle condizioni che agevolano l'esplosione di movimenti antipolitici non si realizzerà.
Ci sono poi i margini di azione di cui comunque i politici ancora dispongono: spetta a loro farne un uso sapiente. Ad esempio, serve ormai solo ad accrescere l'impopolarità della politica evitare di aggredire la questione dei suoi costi.
Quanto meno dal punto di vista simbolico è cruciale trasmettere al Paese l'idea che ai sacrifici che si chiedono ai cittadini corrisponda una disponibilità della politica a ridurre i propri privilegi. Sapendo, naturalmente, che (proprio perché non esiste quella società civile pura e innocente dipinta dai demagoghi dell'antipolitica), colpire i costi della politica, in certe aree del Mezzogiorno ma non solo, può significare innescare forme di ribellismo, fare inferocire clientele che dalla politica dipendono. Anche questo attiene al folklore antipolitico: «onesti cittadini» che mordono la mano da cui prendevano il cibo non appena si accorgono che le razioni si assottigliano.
E c'è poi il ruolo della presidenza della Repubblica: la sua importanza, ai fini della tenuta del sistema politico, cresce in rapporto direttamente proporzionale all'indebolimento del governo. Così va oggi interpretata l'azione del presidente Napolitano: dalla richiesta all'opposizione di non contrastare una rapida approvazione della manovra economica al fine di rassicurare i mercati internazionali, al fermo richiamo ai magistrati contro i protagonismi che fomentano lo scontro con la politica. Un richiamo assai opportuno se si considera che non le inchieste giudiziarie ma il modo in cui spesso vengono condotte contribuisce a risvegliare i più bassi istinti di una parte del pubblico, a diffondere sgradevoli richieste di giustizia sommaria. In barba alla presunzione di non colpevolezza.
C'è un'altra cosa che forse servirebbe per disinnescare certe spinte: fare una buona riforma elettorale. I sentimenti antipolitici sono oggi alimentati anche dalla polemica contro il cosiddetto «Parlamento dei nominati», ossia contro le liste bloccate. Non è meglio tornare a un sistema maggioritario (con un turno o due turni) con collegi uninominali? Il partito di maggioranza relativa, il Pdl (che avrebbe tutto da perdere se saltasse il bipolarismo) potrebbe farne oggetto di trattativa con la Lega: appoggeremo la vostra proposta di Senato federale solo a condizione che voi appoggiate una riforma elettorale così concepita. Troverebbe per strada anche il sostegno di una parte del Partito democratico.
L'anti-politica è la malattia infantile della democrazia e l'Italia, con la sua salute perennemente cagionevole, è assai portata alle ricadute. Ma c'è ancora qualche margine per lasciare i paladini dell'antipolitica a bocca asciutta.
Angelo Panebianco 24 luglio 2011 10:11
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