sabato 6 agosto 2011

IL SOL LEVANTE CHE NON TRAMONTA

Visto che le analisi sono a decine, vi propongo questa dell'economista Fugnoli che ha l'incommensurabile premio di cercare sempre la metà PIENA del bicchiere.
Dato che la confusione è grande sotto i cieli (Mao diceva che era buon segno....speriamolo) tanto vale credere agli ottimisti  no ?
Ah, Fugnoli secondo me ha il pregio di essere piuttosto chiaro e divulgativo ma è pur sempre un tecnico, quindi non sempre intellegibile. Io non capisco tutte le cifre e i dati che riporta, ma la sostanza emerge sempre piuttosto evidente. Quindi vi suggerisco di non scoraggiarvi per i termini non comprensibili e di andare al sodo.
Per esempio trova condivisibile e confortante la sdrammatizzazione delle classifiche fatte da Standard & Poor's e Moody's, le due maggiori agenzie di rating al mondo. Il Giappone da una vita ha perso la tripla A che prima o poi perderanno anche gli USA, e del resto sono decenni che non è più la seconda economia mondiale come è stata per gran parte del dopoguerra nonostante la sconfitta. Eppure i giapponesi , che hanno un debito pubblico doppio del nostro, vivono lo stesso. Magari viaggiano e spendono di meno , ma non ho notizie di un paese povero.
Insomma, preoccuparsi (e magari anche pensare ad un modo di vivere un po' meno "smart" ) si, ma disperarsi , forse lo possiamo ancora rimandare.
Buona lettura

" Deprimiamoci. L’intero percorso della ripresa partita nella primavera del 2009, già non esaltante, è stato nei giorni scorsi rivisto al ribasso. Si pensava da parecchi mesi che gli Stati Uniti fossero tornati al livello di Pil del 2007 e invece non ci siamo, manca ancora qualche settimana. Stesso prodotto di quattro anni fa, più o meno, e 11 milioni di bocche americane in più da sfamare, per crescita demografica e immigrazione. Stesso prodotto e 6 milioni di persone in meno che lavorano.
Rincuoriamoci. La cannuccia nel bicchiere pieno d’acqua appare spezzata, ma non lo è. E’ la rifrazione. Ci rappresentiamo la realtà in un certo modo, ma la realtà va per conto suo. Le revisioni statistiche producono effetti bizzarri. Un anno fa, nell’agosto 2010, l’SP 500 fece un minimo di 1050 nella convinzione generale di essere sull’orlo del double dip. La Fed, in quei giorni finali di agosto, annunciò il Qe2. Dalle revisioni è emerso che in quelle settimane l’economia stava crescendo del 3 per cento annualizzato.
Deprimiamoci. Nel primo trimestre di quest’anno, fino all’11 marzo del terremoto giapponese, siamo stati convinti di vivere in una bella fase espansiva, tanto che l’SP 500 si è portato a 1350. Dalle revisioni è saltato
 fuori che abbiamo festeggiato con non poco entusiasmo una miserevole crescita annualizzata dello 0.4 per cento.
Rincuoriamoci. Nel secondo trimestre di quest’anno, cioè fino all’altroieri, siamo stati convinti di vivere in un quadro di brusco deterioramento rispetto al primo trimestre, tanto che l’SP 500 è sceso in giugno fino a 1260. Giappone paralizzato da distruzioni e blackout, industria globale dell’auto priva di componenti, blocco istantaneo delle assunzioni. Bene, è venuto fuori che il Pil del secondo trimestre è cresciuto a una velocità tre volte e mezza superiore a quella del primo. Insomma, a conti fatti abbiamo festeggiato la stagnazione e ci siamo stracciati le vesti per la (invero modesta) riaccelerazione. Sarà la stessa cosa questa volta, mentre ci stiamo mettendo in testa che stiamo rientrando in recessione?
Deprimiamoci. Mentre il mondo si accanisce contro l’Italia, colpevole di un 120 per cento di debito su Pil, David Walker aggiorna le sue stime sul valore attualizzato delle passività pensionistiche e sanitarie degli Stati Uniti e lo calcola in 60 trilioni, il 400 per cento del Pil. Walker è stato per dieci anni US Comptroller General e sa perfettamente di cosa sta parlando. Come conseguenza, Btp ai minimi e Treasuries anche trentennali verso i massimi.
Rincuoriamci. Lo psicodramma del debt ceiling americano è stato letto con superficiale cinismo come segno del degrado di una classe politica, pronta a rischiare default e downgrading per difendere interessi particolari. Alla fine si è capito che un default sul debito non è mai passato nemmeno un minuto per la testa di uno solo dei 100 senatori e 435 rappresentanti. Quanto al downgrading, prima o poi assolutamente inevitabile, ora siamo più pronti e ce ne siamo fatti una ragione. Arriverà un giorno in cui gli Stati Uniti saranno degradati allo stesso livello della Slovenia (Aa2) e del Giappone. Non per questo venderemo i Treasuries per riempire i portafogli di titoli sloveni. Quanto al Giappone, che la tripla A l’ha persa tanti anni fa, nessun hedge fund dopo un decennio di accanimento ribassista e di continue perdite osa più mettersi short sui Jgb, che sono invece richiestissimi (il 220 di debito-Pil giapponese non è un problema, è il 70 spagnolo a suscitare ripugnanza).
Rincuoriamoci ancora. Il mondo ha seguito con il fiato sospeso la vicenda del debt ceiling. L’America (il mondo non se ne è accorto) ha seguito con  passione le vicende dei governatori repubblicani che in questi mesi hanno attaccato frontalmente i sindacati del pubblico impiego per abbassare le prestazioni previdenziali, ottenendo qua e là qualche successo ma riempiendo le piazze di cortei e facendosi odiare da una buona parte dell’opinione pubblica (New Jersey, Wisconsin). Nemmeno l’America ha seguito alcuni governatori democratici che, con silenziosi accordi con i sindacati, hanno fatto in un attimo molto di più dei loro colleghi repubblicani senza un minuto di protesta. I risanamenti fiscali di certi stati controllati dai democratici sono impressionanti. Il peggiore di tutti, la California, ha azzerato il suo disavanzo, ma è sulle passività a lungo termine che si stanno facendo progressi generalizzati. Morale, in economie ricche anche dissesti che apparivano immensi e intrattabili possono essere risolti in un attimo e senza creare miseria per nessuno, se si trova il consenso delle parti politiche e sociali.
Deprimiamoci. Gli attacchi speculativi non sono mai continui e lineari ma procedono a ondate. Può darsi che l’Italia venga lasciata in pace per qualche settimana, ma le grandi aste di settembre daranno nuove opportunità, soprattutto se i dati macro globali non saranno soddisfacenti.
Rincuoriamoci. Le borse hanno cominciato a scontare un rischio di double dip quando il massimo che si può affermare è che la crescita bassa rende fragile il quadro d’insieme. Fa una certa impressione vedere alternarsi sui terminali notizie di società che battono le stime sugli utili e nuovi minimi degli indici. Anche la riaccelerazione delle vendite di auto in luglio si concilia poco con un calo dei consumi, che restano pur sempre il 70 per cento del Pil. Anche la tenuta di molte materie prime sui massimi fa pensare a tutto fuorché a una recessione. La stessa materia prima più finanziarizzata, il petrolio, fa una certa fatica a scendere. Perfino la vendita di scorte strategiche di greggio ha mosso poco i prezzi.
In pratica. Un recupero nel breve appare probabile, ma la fragilità dell’insieme, che in questi due anni c’è sempre stata ma di cui adesso abbiamo più consapevolezza, renderà molto volatili i mercati. L’Europa continuerà a produrre instabilità e occasioni speculative."

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