Cioè i padre MAMMO.
E' una razza invertebrata che volendo distinguersi in modo deciso e netto dai padri severi che li avevano fatti studiare, gli avevano dato un benessere mai prima sognato, e anche una libertà parimenti impensabile, ritenevano che l'AUTORITA' fosse comunque un disvalore e andasse soppressa.
Dei figli bisognava essere AMICI......
L'altra esigenza del MAMMO era , è, rendersi gradito alla compagna.
Quest'ultima, soprattutto nelle grandi città, si vede spesso privata del sostegno femminile familiare - madre, sorelle, zie, vicine - che in realtà più piccole era, almeno un tempo, la regola. Quindi richiede l'aiuto del compagno come suo alter ego...cambio pannolini, allattamento (per le, molte, che rinunciano ad allattare, più o meno presto), veglia notturna....Il figlio lo abbiamo fatto insieme e quindi tutto lo si fa insieme....
I padri così coinvolti - che potrebbe anche essere una cosa buona se fatta per libera scelta... - finiscono però così per perdere la loro natura di ..PADRI e diventare MAMMI.
Se ne guadagna in tenerezza, disponibilità, attaccamento. Pare che si perda tanto in suddivisione dei ruoli, e scomparsa della figura paterna come argine e limite ai piccoli despoti.
Parliamoci chiaro, i MAMMI sono POCHI.
Lo si riscontra subito dalle statistiche delle separazione dove solo il 15% degli uomini si battono e si stracciano le vesti per avere più tempo coi figli che normalmente restano a vivere con la madre.
Se poi consideriamo che di questo 15% una parte sono falsi come il peccato e tutto il loro amore genitoriale passa per il cuore si, ma lato portafoglio (i figli con sé significa salvare la casa familiare, da cui se no si deve uscire, e comunque una riduzione dell'assegno di mantenimento, almeno così sperano...) vediamo che la figura del mammo, così come almeno le compagne speravano di crescerlo, non è venuta tanto bene.
Ma il mito dei genitori AMICI, quello è duro a morire.
Trovato un bell'articolo sul tema sul Corriere della Sera, che prende spunto niente di meno che da una commedia del 1948, di Valentino Bompiani.
Leggetelo, è istruttivo.
C i vuole molto più tempo a dire «no» che «sì». È forse (forse) qui la chiave di tutto. In una commedia del 1948, Valentino Bompiani (editore in veste di scrittore) metteva in scena un padre un po' distratto e non proprio autorevole che chiedeva alla figlia: «Quante volte vi ho detto di no?». Risposta: «Quasi mai, papà». Il protagonista replicava: «Ora capisco oscuramente che ho sbagliato. Avrei dovuto dirvi di no. Il Padre è questo, una remora, un limite». Eravamo nel 1948 e ancora la parola «padre» si poteva scrivere con la maiuscola. Ma Bompiani prevedeva già allora con lucidità gli sviluppi delle dinamiche familiari. Quel che aggiungeva Bompiani era non so se vero o falso, ma sicuramente degno di interesse: «La paternità è diversa dalla maternità, che comincia subito, al primo palpito, nelle viscere. Per un padre, il figlio deve crescergli davanti agli occhi, nel corpo e nell' intelligenza». Dunque, se la maternità è innata, come sosteneva l' antropologa americana Margaret Mead, gli uomini sono costretti a «imparare» la paternità, a rincorrerla e a cercare di conquistarla di continuo. Il che potrebbe essere utilizzato abilmente come un alibi dai padri privi di buona volontà. Aggiungeva, la Mead (e lo ricorda anche Maurizio Quilici nella sua recente Storia della paternità), che «il padre è una necessità biologica, ma una disgrazia sociale». Perché una disgrazia sociale? Erano i primi anni Sessanta, in cui il padre era per forza Padre, con la maiuscola, e padrone ancora per poco. Solo con il ' 68, il parricidio, oltre ad essere un desiderio inconscio e una necessità psicologica sulla via della maturità, sarebbe diventato anche un impegno socio-politico. In realtà, è stata la stessa mitologia del maschio a rivelarsi letale per il padre (ritorna in questi giorni in libreria il celebre Padre padrone di Gavino Ledda che nel ' 75 fece scandalo). Da allora il Padre è diventato non solo papà, ma qualche volta mamma («mammo» è un orribile neologismo): che alla giusta affettività e alla tenerezza aggiunge una tentazione iperprotettiva tradizionalmente materna, un' instabilità eccessiva, un' emotività ansiogena, una tendenza ad accontentare senza criterio le richieste dei figli. E tutto ciò finisce per produrre eterni adolescenti che non hanno nessuna figura di riferimento che meriti di essere uccisa, eterni adolescenti incapaci di sbattersi la porta alle spalle e di uscire di casa una volta per tutte. Basterebbe, viceversa, un padre (con la minuscola), né troppo autoritario né troppo debole, né troppo brusco né troppo sdolcinato, ma semplicemente autorevole, presente, equilibrato. Mica facile, certo. Ma di questo equilibrio si sente spesso il rimpianto: oggi, ha scritto lo psicoanalista junghiano Luigi Zoja, «l' assenza dei padri e delle immagini paterne si è drammaticamente aggravata». I padri non riescono a trovare una collocazione tra i figli e una madre che mentre lavora fuori casa continua ad accudire i bambini, organizza la gestione familiare e si assume il compito di educare imponendo i suoi «no» se necessario. Il che finisce per fare del modello paterno un modello pressoché fallimentare. Se nel passato la presenza del padre era a garanzia, per la collettività, del senso di responsabilità, oggi la sua evanescenza non può che generare incertezze e paure. Le forme di compensazione a questa assenza sono, per i figli, molteplici, e vanno da una crescita debole al libero scatenamento di violenze selvagge all' interno dei nuclei familiari e della società, alla nostalgia di regimi totalitari che diano l' illusione di riconquistare ad ogni costo una sicurezza perduta nella dimensione domestica, con norme improvvisate che di solito si fondano sulla sopraffazione. C è chi sostiene che la crisi dei padri sia l' unica vera rivoluzione a cui assistiamo. E se è così, come dalle ceneri di tutte le rivoluzioni nascerà una ridefinizione del nostro adattamento alla vita. Insomma, è il momento migliore per ripartire, con consapevolezza e responsabilità. Tenendo ben presente quel proverbio yiddish che diceva: «Non hai figli? E allora le seccature come te le procuri?». Di solito te le procuri dicendo qualche «no», come insegnava il vecchio Bompiani. Sempre che tu ne abbia il tempo.
DUSTIN HOFFMAN è Mrs. Doubtfire |
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