E anche stavolta il "nostro" non delude nel suo commento domenicale dedicato al governo del Presidente prossimo venturo.
Panebianco afferma come questo tipo di Governo, frutto dell'iniziativa presidenziale, non ha nulla di tecnico. E' un governo assolutamente politico, ancorché non espressione dei partiti parlamentari bensì del Presidente della Repubblica. Si tratta quindi di una forzatura costituzionale (Libero ha parlato di "colpetto di stato" al riguardo) che però il momento emergenziale giustifica.
Agginge però Panebianco che l'emergenza deve avere una durata circoscritta: il tempo per approvare le cose irrimandabili e poi andare a votare.
Ecco, su questo non sono d'accordo con il pur bravissimo notista, non tanto dal punto di vista di principio che anzi ritengo ineccepibile (la parziale sospensione della democrazia propriamente intesa deve avere come suo presupposto la brevità, in modo che non si trasformi in "altro") ma da quello pratico.
In primo luogo, quali sono i provvedimenti irrimandabili? La patrimoniale? un nuovo salasso impositivo non compensato da nessuna di quelle riforme del sistema che SOLE giustificherebbero l'ennessimo sacrificio fiscale? Ricordo che nella frenetica corrispondenza intercorsa tra Europa e Italia da questa estate la magica soluzione della sinistra, la Patrimoniale appunto, non è nominata MAI. Ma facciamola pure, basta, ripeto, che non sia la sola cosa. L'elenco in realtà è vasto, e si tratta di provvedimenti da far tremare i polsi perché costituiscono un terremoto autentico per la palude italica. Evidentemete Panebianco pensa a realizzarne solo alcuni, ma, ripeto, quali? Non lo dice. Tra l'altro, a mio avviso, la situazione di crisi offre un'opportunità: siccome bisogna tagliare in modo pesante nella carne, sarà la volta che l'incisione venga estesa a tutti in modo da dare sia l'idea dell'emergenza nazionale tanto reclamata a parole, sia per evitare accuse di iniquità e di classi protette.
Come diceva Luigi Abete una volta a Ballarò, stavolta le cose vanno immaginate e fatte INSIEME.
I pochi mesi suggeriti dunque da Panebianco si rivelerebbero assolutamente insufficienti.
In secondo luogo, un'osservazione pragmatica: le elezioni politiche si terranno COMUNQUE nella primavera 2013, data di scadenza naturale dell'attuale legislatura. Si tratta quindi di poco più di un anno, campagna elettorale compresa. Insomma perché non approfittare della circostanza per far si che il governo Monti abbia qualche mese in più per cercare di fare quanto più può del suo arduo compito sapendo che in ogni caso questa forzatura democratica è destinata a cessare da qui a non molto?
Insomma io ho forti dubbi che il governo fortissimamente voluto da Napolitano possa navigare in mari così malmostosi ma se questo dovesse accadere, ebbé che il nocchiero possa farlo per tutta la durata della crociera, in ogni caso NON lunga.
Si può essere come vedete in disaccorsdo anche coi propri "maestri"...
Ma vi lascio alla lettura diretta delle riflessioni di Panebianco per una vostra diretta valutazione.
Le dimissioni di Berlusconi
ANGELO PANEBIANCO |
In salita, molto
La strada è accidentata e per percorrerla non si devono fare errori. Il governo Monti può nascere e vivere solo grazie a «patti chiari». Bisogna dire tutta la verità e agire di conseguenza. Nelle situazioni di emergenza si ricorre a soluzioni di emergenza. Tale sarà, se nascerà, il governo Monti. Sarà un governo del Presidente e non un governo tecnico come assurdamente si continua a dire. I tecnici esistono, i governi tecnici no. Formalmente non c'è differenza fra un governo del Presidente e un normale governo parlamentare: anche il primo deve avere la fiducia del Parlamento salvando così le forme. La differenza è di sostanza: l'emergenza sposta, per un tempo che si intende (e si spera) limitatissimo, dal Parlamento alla presidenza della Repubblica il potere sovrano. In passato ne abbiamo già fatto esperienza. Fu il caso del governo Ciampi del 1993: il Parlamento era nel marasma per le inchieste sulla corruzione e il potere sovrano si trasferì, di fatto, nelle mani del presidente della Repubblica.
Data la sua eccezionalità la soluzione adottata deve avere un chiaro limite temporale: i pochi mesi che servono per fare le cose necessarie (gli incisivi interventi da sempre promessi e mai attuati) al fine di rimettere in sicurezza il Paese. Dopo di che, il governo si dimette e la parola passa agli elettori.
Il secondo errore da evitare è quello delle mezze misure: si fa un governo del Presidente ma, contemporaneamente, se ne contratta la composizione con i partiti. Il «toto-ministri» e l'emergenza non sono compatibili. Il presidente della Repubblica e Monti devono stabilire loro, autonomamente, la lista dei ministri scegliendoli fuori dai partiti, avendo cura di scartare quelle personalità che per la loro caratura politica potrebbero dare un segno, «di destra» o «di sinistra», al governo mettendo così qualche forza parlamentare in difficoltà. Ai partiti si deve chiedere un temporaneo sostegno esterno e nient'altro.
Un altro errore da evitare (è il problema più delicato) riguarda la navigazione dell'esecutivo. Con i suoi provvedimenti, il governo Monti non dovrà dare l'impressione di penalizzare sistematicamente gli elettori di una parte rispetto a quelli dell'altra, mettendo così in una situazione insostenibile qualcuna delle forze che lo appoggiano. Qui conterà soprattutto la grande esperienza politica di Napolitano.
Né si potrà permettere che il governo diventi la copertura di giochi che hanno finalità diverse da quelle di fronteggiare l'emergenza: se diventasse l'alibi che alcuni cercano per togliere definitivamente di mezzo il bipolarismo, le forze che il bipolarismo difendono avrebbero il diritto, e forse il dovere, di far saltare il banco.
Da ultimo, occorrerà molto rispetto per i travagli dei partiti poiché essi sono chiamati in questa fase ad accettare lo scomodo ruolo dei comprimari. È insopportabile l'ipocrisia di chi parla con deferenza della democrazia ma poi mostra disprezzo per i politici alle prese con la questione del consenso. È il mestiere dei politici preoccuparsene.
I governi del Presidente sono forzature del sistema costituzionale giustificate da situazioni eccezionali. Come quella che stiamo vivendo. Poi però la parentesi va chiusa e si deve tornare a quelle rispettabilissime e difficilissime attività che consistono nell'organizzazione del consenso e nella «caccia ai voti»: la democrazia, appunto.
Data la sua eccezionalità la soluzione adottata deve avere un chiaro limite temporale: i pochi mesi che servono per fare le cose necessarie (gli incisivi interventi da sempre promessi e mai attuati) al fine di rimettere in sicurezza il Paese. Dopo di che, il governo si dimette e la parola passa agli elettori.
Il secondo errore da evitare è quello delle mezze misure: si fa un governo del Presidente ma, contemporaneamente, se ne contratta la composizione con i partiti. Il «toto-ministri» e l'emergenza non sono compatibili. Il presidente della Repubblica e Monti devono stabilire loro, autonomamente, la lista dei ministri scegliendoli fuori dai partiti, avendo cura di scartare quelle personalità che per la loro caratura politica potrebbero dare un segno, «di destra» o «di sinistra», al governo mettendo così qualche forza parlamentare in difficoltà. Ai partiti si deve chiedere un temporaneo sostegno esterno e nient'altro.
Un altro errore da evitare (è il problema più delicato) riguarda la navigazione dell'esecutivo. Con i suoi provvedimenti, il governo Monti non dovrà dare l'impressione di penalizzare sistematicamente gli elettori di una parte rispetto a quelli dell'altra, mettendo così in una situazione insostenibile qualcuna delle forze che lo appoggiano. Qui conterà soprattutto la grande esperienza politica di Napolitano.
Né si potrà permettere che il governo diventi la copertura di giochi che hanno finalità diverse da quelle di fronteggiare l'emergenza: se diventasse l'alibi che alcuni cercano per togliere definitivamente di mezzo il bipolarismo, le forze che il bipolarismo difendono avrebbero il diritto, e forse il dovere, di far saltare il banco.
Da ultimo, occorrerà molto rispetto per i travagli dei partiti poiché essi sono chiamati in questa fase ad accettare lo scomodo ruolo dei comprimari. È insopportabile l'ipocrisia di chi parla con deferenza della democrazia ma poi mostra disprezzo per i politici alle prese con la questione del consenso. È il mestiere dei politici preoccuparsene.
I governi del Presidente sono forzature del sistema costituzionale giustificate da situazioni eccezionali. Come quella che stiamo vivendo. Poi però la parentesi va chiusa e si deve tornare a quelle rispettabilissime e difficilissime attività che consistono nell'organizzazione del consenso e nella «caccia ai voti»: la democrazia, appunto.
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