Mi riferisco al prezzo della benzina. Si tratta di uno dei settori toccati dalle liberalizzazioni di Monti. Prezzi calati? Certo che no. Ma almeno stabili? Nemmeno.
E dunque?
Iniziamo dalle ultime notizie e polemiche:
Non si arrestano i rincari per la benzina. Una stangata che - secondo il Codacons - per un pieno di benzina si traduce in 19,50 euro a pieno, considerato che il 20 febbraio 2011 si pagava mediamente, con servizio, 1,510 euro/litro. Un incremento del 25,8%. Per questo «il ministro Corrado Passera deve convocare immediatamente, ad un unico tavolo di confronto, le associazioni di rappresentanza delle compagnie petrolifere, quelle dei gestori degli impianti e le associazioni di consumatori per stabilire regole ben più efficaci di quelle ridicole e per certi versi offensive attualmente previste nel decreto sulle liberalizzazioni».
FAMIGLIE E AGRICOLTURA - «Si tratta di un rialzo mai visto, che risulta assolutamente insostenibile per le tasche delle famiglie e degli imprenditori agricoli» afferma la Cia-Confederazione italiana agricoltori. «Il prezzo del carburante ha ormai scavalcato di netto quello di molti prodotti di prima necessità: un litro di benzina - ricorda la Cia - costa praticamente il doppio di un litro di latte sullo scaffale (1 euro) e addirittura cinque volte di più il prezzo alla stalla pagato agli agricoltori (35 centesimi). Ma ha superato per esempio anche il costo medio di 1 kg di arance (1,76 euro) o di 1 kg di pasta di semola di grano duro (1,70 euro) o anche di una confezione da sei di uova (1,50 euro). La situazione è molto grave - prosegue la Cia - secondo cui i rincari di benzina e gasolio continuano a trascinare in alto anche i prezzi alimentari. Non bisogna dimenticare che trasporti e logistica incidono per il 35-40 per cento sui listini finali di frutta e verdura dato che in Italia praticamente 9 prodotti su 10 viaggiano su gomma. E` quindi evidente che i continui aumenti delle quotazioni dei carburanti 'contagianò in negativo la spesa per il carrello alimentare degli italiani. Ecco perché ora è sempre più indispensabile un intervento mirato per ridurre il peso dei carburanti sulle famiglie e sul settore primario.
IN EUROPA - «Con un costo medio di 1,80 euro al litro, l'Italia è diventato il Paese più caro d'Europa dove fare benzina». Lo afferma l'Adoc, calcolando che nel nostro Paese «per un pieno si spende in media il 12% in più che nel resto d'Europa», con una differenza in un anno «di 350 euro». «Un anno di rifornimenti costa in media 3.240 euro, il 12% in più della media europea, con un aggravio di spesa pari a circa 350 euro annui - dichiara Carlo Pileri, presidente dell'Adoc - l'Italia è il Paese europeo con i costi più alti dei carburanti. Si spende il 10% in più che in Francia, il 7% in più che in Germania, il 20% in più della Svizzera e poco meno del 30% in più che in Spagna. Un pieno oggi costa 90 euro, in Europa mediamente si spendono 80 euro, in Svizzera si spendo circa 15 euro in meno ad ogni rifornimento. I continui aumenti, aggravati dalle maggiori accise e dal rialzo dell'Iva, stanno dissanguando le famiglie italiane».
Lo scandalo della benzina.
Tutti colpevoli, nessun colpevole? Nella commedia delle parti che ogni volta fa da contorno all'aumento del prezzo della benzina non si riesce mai a trovare una «pistola fumante». Neppure quando, come ieri, si arriva al livello record di 1,84 euro al litro. Gli automobilisti se la prendono con i gestori degli impianti, i benzinai danno la colpa alle compagnie petrolifere, queste ultime la scaricano sullo Stato e sulle sue tasse. È ora di spezzare questo circolo vizioso, una rete di interessi e collusioni che si è storicamente basata sull'assenza di concorrenza, e che l'Antitrust non riesce a smantellare. Senza vera competizione è difficile, se non impossibile, che gli italiani possano pagare prezzi trasparenti, come sarebbe invece loro diritto.
Partiamo subito da una considerazione fattuale: il sistema dei carburanti che si è trascinato fino a oggi ha fatto comodo a tanti. Da quella minoranza di gestori che ha approfittato degli esodi estivi e delle feste comandate per i ritocchi dell'ultima ora, fino alle compagnie che hanno giostrato con le loro scorte e con i tempi degli aumenti o delle diminuzioni di prezzo. Anche la mano pubblica ci ha messo del suo: niente di più facile, per fare cassa, di un semplicissimo aumento delle ormai famigerate «accise», che insieme all'Iva sono pari oggi al 60% del prezzo. Comodo, tutto molto comodo e senza impicci: con qualche bilanciamento ad hoc per placare gli autotrasportatori, a sopportare il peso saranno solo «semplici» cittadini silenti.
Ma c'è un modo per introdurre l'antivirus della concorrenza in un corpo ormai assuefatto alle reciproche convenienze? Fino a ieri i benzinai hanno preferito rimanere per la stragrande maggioranza sotto il rassicurante ombrello dei grandi marchi (e dei 5 centesimi al litro garantiti) piuttosto che affrontare il rischio di diventare piccoli imprenditori. Le compagnie petrolifere si sono ispirate ai modelli del Nord Europa (meno impianti, più grandi, tanto self service) ma si sono guardate bene dall'allentare la presa sulla distribuzione.
Il governo Monti, con il decreto sulle liberalizzazioni, pare aver trovato la chiave per valicare questo «muro di gomma» anticoncorrenziale, disponendo in linea di principio che i gestori possano acquistare liberamente, e al prezzo più conveniente, il carburante all'ingrosso, e non solo dal marchio a cui sono legati da un vincolo di esclusiva (per ora lo potranno fare solo i pochi che sono già proprietari degli impianti e solo per il 50% del loro erogato). Separare gli interessi delle compagnie da quelli dei gestori è un passo nella direzione giusta. Ma il difficile è mettere in competizione tra loro le compagnie petrolifere e fare in modo che si facciano concorrenza vera per vendere benzina e gasolio al sistema distributivo. Le «sorelle» del petrolio, grandi e piccole che siano, sono attive dal pozzo alla pompa di benzina. Spesso lavorano insieme, con profonde collusioni nel sistema dei depositi, e lungo questa catena decidono di spostare i margini dove fa loro più comodo. Magari in Paesi fiscalmente più favorevoli. Qualcuno, nel recente passato, ha proposto l'idea di un mercato all'ingrosso dei carburanti. Di una sorta di Borsa (come quella elettrica) dove le compagnie farebbero le loro offerte di prezzo sotto il controllo di un'autorità pubblica e indipendente. Discutibile, certo. Ma lì, quanto meno, la trasparenza sarebbe assicurata.
Francamente a me sembra che il discorso del buon Agnoli sia astrattamente apprezzabile ma concretamente fuori strada. L'incidenza di TASSE e IVA è il MONSTRE da battere.
A riprova che il discorso sulle liberalizzazioni, e sulla concorrenza, per il momento sono solo belle chiacchiere.
E la prova ce l'abbiamo facilmente : al distributore prima o poi ci capitiamo tutti no?
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