L'agghiacciante, surreale, processo kafkiano che abbiamo riportato nel post: http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2012/02/leggete-e-non-consolatevi-pensando-che.html (LEGGETELO, DOVETE LEGGERLO), dove ci siamo limitati a trascrivere l'allucinante atteggiamento di un Presidente di sezione del Tribunale di Roma fa da drammatica introduzione ad un problema reale: la garanzia di difesa VERA a imputati cui viene assegnato AL VOLO un difensore d'ufficio per la mancata presentazione di quello di fiducia.
E' ovvio che a monte c'è una negligenza di quest'ultimo, e la legge prevede delle sanzioni in merito, ma resta il problema che da un lato la Costituzione garantisce a TUTTI il diritto di avere una difesa e dall'altra, di fatto, questo diritto viene negato nelle situazioni di cui si parla.
Ma lascio senz'altro il passo al commento della Collega Paola Rebecchi, più competente ed estremamente chiara nella sua disamina.
Solo una cosa: complimenti al Collega che ancorché incalzato e intimidito fino alla minaccia da parte del giudice, ha comunque tenuto il punto che gli dettava la sua coscienza di difensore.
Buona Lettura
La vicenda
Il 27 gennaio 2011, mentre un collega era in attesa del suo processo di fronte ad altra aula, veniva avvicinato dall’ufficiale giudiziario dell’aula della sezione IV in composizione collegiale, che gli chiedeva la cortesia di sostituire un avvocato assente, ex art. 97, comma 4, c.p.p., per un mero rinvio. Il collega acconsentiva valutando la modestia dell’impegno. Il Presidente del collegio invece, dopo aver costituito le parti dando atto della presenza del collega nominato ai sensi del 4° comma dell’art. 97, c.p.p., invitava a concludere. Il Pubblico Ministero avanzava una richiesta di condanna dell’imputato alla pena di anni 5 di reclusione a fronte di una imputazione che aveva ad oggetto i reati di riciclaggio, falso in atto pubblico, ricettazione ed altro. A questo punto il difensore, in considerazione della gravità delle imputazioni e della richiesta di condanna del Pubblico Ministero e preso atto che non si trattava di una udienza di mero rinvio come invece gli era stato prospettato, chiedeva un congruo termine per esaminare gli atti e studiare il fascicolo, atteso anche il contemporaneo impegno per il suo processo in altra aula.
Quanto accadde a seguito di tale richiesta di termine è facilmente comprensibile dalla lettura delle trascrizioni dell’udienza.
Premessa la necessaria condanna del fenomeno dell’assenteismo dei difensori, purtroppo sempre più frequente, e tralasciando qualsivoglia commento sul comportamento tenuto dal giudice nei confronti del difensore (come detto potete leggere il verbale testuale nel post sopra indicato...FATELO n.d.C) - trattato come soggetto subalterno nell’ambito di un rapporto gerarchico di tipo militaresco - si deve osservare che, sotto un profilo meramente tecnico, la questione che viene in essere attiene al delicato problema della possibilità di chiedere un termine a difesa per il difensore d’ufficio nominato ai sensi dell’art. 97, comma 4, c.p.p. a fronte dell’art. 108, c.p.p. che contempla esclusivamente le ipotesi di revoca del mandato, rinuncia al mandato, incompatibilità e abbandono di difesa. In altri termini situazioni formalmente ben diverse dalla semplice assenza del difensore.
In effetti, l’art. 108, c.p.p. non disciplina la ipotesi della richiesta del termine avanzata dal difensore d’ufficio immediatamente reperibile, “sostituto” del difensore assente. Ciò in quanto la sostituzione disciplinata dall’art. 97, c.p.p. fu prevista dal legislatore esclusivamente per far fronte a quella che, sulla carta, avrebbe dovuto rappresentare una evenienza del tutto eccezionale e, per dirla tutta, patologica: l’assenza ingiustificata del difensore di fiducia o di quello d’ufficio originariamente designato.
Tale considerazione non assolve e non giustifica tuttavia il nostro legislatore. La “svista” è infatti dovuta ad un difetto di esperienza atteso che la norma lascia scoperta una ipotesi di “sostituzione” che nella pratica risulta invece essere quella che si verifica con maggiore frequenza. La conseguenza è evidente: l’imposizione di una immediata difesa senza conoscere gli atti abbatte completamente il diritto dell’imputato ad una difesa tecnica piena ed effettiva.
E’ noto che già nel 1997 la Corte Costituzionale con la sentenza n. 450 si è pronunziata sulla legittimità costituzionale dell’art. 108 in relazione agli artt. 3 e 24, Cost. nella parte in cui non prevede la possibilità per il difensore d’ufficio designato in sostituzione ex art. 97, comma 4, c.p.p. di chiedere un termine a difesa. La Consulta ha dichiarato non fondata la questione sotto il duplice profilo della lesione del principio di eguaglianza e della lesione del diritto di difesa inteso in senso puramente formale.
La Consulta tuttavia, rispetto alla esigenza di assicurare la concretezza della difesa attraverso il sostituto d’ufficio immediatamente reperibile, ha evidenziato la possibilità per il giudice di concedere al difensore un termine ad horas per studiare gli atti e prepararsi in modo congruo, “tenendo conto della natura dell’attività da svolgere e della rilevanza che la stessa può assumere in relazione alla specifica posizione dell’imputato”.
Anche la Corte di Cassazione, almeno sino al 2010, in sintonia con l’atteggiamento formalistico già adottato dalla Corte Costituzionale, si è sempre pronunciata sulla impossibilità del termine a difesa concesso al difensore d’ufficio sostituto.
Al contrario, la giurisprudenza della C.E.D.U. ha reiteratamente deciso nel senso che, in ossequio all’art. 6 della Convenzione, l’Autorità Giudiziaria è tenuta a concedere al difensore nominato in udienza un adeguato lasso di tempo per permettergli di prendere visione degli atti, onde avere una adeguata contezza della situazione processuale nella quale dovrà dispiegare la propria difesa tecnica/sostanziale e non meramente formale.
La Corte di Cassazione nel 2010 con una interpretazione convenzionalmente orientata, la sentenza n. 10795 del 19 marzo, Sezione V, ha sottolineato che la omessa concessione del termine a difesa, previsto dall’art. 108 c.p.p. a favore del difensore d’ufficio nominato ai sensi dell’art. 97, comma 4, c.p.p. costituisce violazione delle garanzie della parte, determinando una nullità generale (Cass. Penale, Sezione V, sentenza del 19.3.2010, n. 10795). Ribaltando, in tal modo, l’indicazione letterale del legislatore in nome della effettività della difesa.
Vero è che la sentenza in esame è stata fonte di non poche perplessità, tanto da essere di nuovo contraddetta dopo pochissimo tempo ma è senz’altro giunto il momento di riflettere seriamente sulla necessità di abbandonare le interpretazioni formalistiche quando queste si pongono in netto contrasto con gli strumenti di tutela della difesa penale.
E’ indispensabile abbandonare le sterili speculazioni ideologiche che individuano nelle garanzie difensive gli ostacoli principali alla celerità del processo penale.
Ciò che si è verificato nel caso che stiamo esaminando è purtroppo sintomatico della concezione distorta del ruolo del difensore d’ufficio nominato in sostituzione del difensore assente: nella pratica giudiziaria si è trasformato nel “difensore di fiducia dell’ufficio” e questo non può certo rappresentare un vanto di civiltà giuridica.
Paola Rebecchi
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