martedì 28 febbraio 2012

"LA SPESA PUBBLICA E' INDISPENSABILE ALLA CRESCITA"...OSTINATI MA FEDELI ALL'"IDEA".

Il lunedì compro la Stampa. Solo il lunedì. Non mi piace, gli unici articoli che apprezzo sono quelli di Luca Ricolfi, e le pagine sportive che danno più spazio alla Juventus, per ovvi motivi.
Per essere un giornale nato con l'egida Agnelli-Fiat, francamente lo vedo molto statalista e assai poco liberale.
A riprova, un fondo di ieri , di Franco Bruni (sospetto un altro bocconiano...), il quale con un certo coraggio devo dire si è messo a navigare contro la vulgata teoricamente prevalente (teoricamente, perché di fatto non si fa NULLA per diminuire il debito pubblico) sostenendo che in realtà non è detto che la soluzione passi per la riduzione della gestione e della spesa pubblica!!! Non c'è nessuna prova che passando dalle gestione pubbliche a quelle private, inefficienze, sprechi e ruberie diminuirebbero. All'opposto, la complessità della società, i problemi che pone la società moderna in tutti i settori - economici, ecologici, demografici - sono talmente difficili e globali da ritenere che solo una visione Collettiva possa farvi fronte:"i bisogni pubblici dei tempi moderni sono immensi e crescenti".
Quindi la soluzione è si allo Stato super presente e ad un sostenuto debito pubblico (meno male che non arriva a sostenerne l'aumento...), che però diventino miracolosamente virtuosi : lo Stato rappresentato da uomini capaci e onesti (Monti e Co. ovvio) e il debito impiegato bene.
"Il taglio della spesa pubblica complessiva non è una soluzione...le riforme devono ridurre le spese inutili e cattive ma non devono lesinare quelle buone".
Secondo Bruni questo favorirebbe la crescita dal lato dell'offerta, "cioè aumentando la capacità produttiva dell'economia e la sua qualità".
Non è così peregrina la cosa: credo che il programma di Hollande per le presidenziali francesi dica questo in buona sostanza.
Ovviamente le tasse possono tranquillamente rimanere ALTE, anzi devono rimanerlo, se no come si alimenta la spesa pubblica ? l'importante è che  vengano bene impiegate dallo Stato...
Credo di essere stato fedele nel riportare il pensiero dello scrittore. E' una tesi che , usando etichette datate, definirei diffusa nella sinistra massimalista , SEL e oltre, e anche in una buona parte del PD . Ma l'affezione all'economia "governata" dallo stato è decisamente trasversale nella politica italiana, come dimostra il fatto che i governi di Berlusconi ben poco hanno fatto per allontanarsi da questa deriva.
Personalmente, dopo 40 anni di spesa pubblica MAL gestita, di tasse crescenti e di Stato inefficiente, sprecone e spesso corrotto, credo che la sperimentazione sia stata sufficiente per credere realisticamente al mantenimento della rotta, con il solo cambio del comandante della nave !!
Sulla indispensabilità del taglio della spesa (preteso da UE e Mercati , a parte il buon senso) e della riduzione delle tasse, che sosteniamo da quando è nato il Camerlengo, torna a scrivere oggi Davide Giacalone e quindi a lui lascio la risposta al prof. Bruni.
Buona Lettura


Ecco il paradosso delle garanzie: i garantiti sono poveri e i non garantiti abbandonati. I dati Eurostat non ci dicono nulla di nuovo, lo sapevamo già e lo commentiamo ogni anno, quando guardiamo i risultati delle dichiarazioni dei redditi. Il nostro è un Paese fra i più ricchi, con famiglie altamente patrimonializzate e con i familiari poveri. Anche i ricchi appaiono poveri, dalle nostre parti. Pur non nuovi, però, quei dati arrivano a fagiolo per porre due questioni ineludibili, sulle quali il governo Monti può fare presto e bene: la questione del lavoro e quella del fisco.
Le garanzie e le tasse ci hanno resi deboli. La spesa pubblica ci ha drogati. E’ ora di passare alla disintossicazione. La terapia Fornero è convincente, si proceda speditamente. Non si sottovalutino le preoccupazioni di Corrado Passera e il continuo richiamo al necessario consenso, perché la democrazia consiste proprio in quello. Ma neanche si sprechi l’occasione della crisi, l’acquisita consapevolezza generale. E non si confonda il consenso né con i sondaggi né con la concertazione sindacale, perché la gran parte di quelle sigle non rappresenta il mondo del lavoro. C’è bisogno di una rottura. Questo è il momento giusto.
Sono anni che ripetiamo la critica agli ammortizzatori sociali esistenti. Abbiamo duramente ripreso le parole del governo Berlusconi, quando assicurava che quei meccanismi avevano funzionato e i disoccupati, da noi, non erano aumentati come altrove. Lo facevamo non per vizio ideologico (l’unico che c’è estraneo), ma perché i costi di quell’immobilità si sarebbero abbattuti sulla collettività. Come avviene. Si rifletta su un punto: un Paese che ha bassi salari dovrebbe avere alta occupazione, invece noi abbiamo salari bassi, bassa produttività e alta inoccupazione (data dalla disoccupazione più i tanti che neanche cercano di lavorare). Per rimediare si deve agire sulla legislazione del lavoro, puntando alla difesa dell’interesse collettivo e superando quello corporativo. Ma non basta, si deve agire anche sulla leva fiscale, diminuendo una pressione intollerabile.
Si può farlo. La prima cosa perché la fascia degli esclusi è oramai più ampia di quella dei protetti, comunque colpiti dalla crisi. La seconda perché la ripresa passa dalla rottura della maledizione secondo cui il prelievo insegue la spesa, allo scopo di non aumentare il debito. Si proceda al contrario: abbattendo il debito (con dismissioni), tagliando la spesa (largamente improduttiva anche solo di servizi) e, quindi, tagliando le tasse.
Il dibattito politico degli ultimi lustri è stato così avvilente e inconcludente da indurre la convinzione che qualsiasi cosa sia migliore. Ma non è così. Guardate l’insieme delle misure che vengono proposte e varate e cercatene il filo conduttore. Lo trovate in quel che avvertivamo solitari e che è stato riproposto nelle parole di Mario Draghi: il modello di welfare, che rispecchia un modello di società, non è più sostenibile. Per porre rimedio non basta approntare tagli, mentre agire sul lato delle tasse, aumentandole, produce un fossato recessivo che continuerà a risucchiarci anche quando, nel 2013, la ripresa renderà positivo l’andamento del prodotto interno lordo, ma in misura inferiore a quella degli altri.
Rimediare significa rimodellare. Significa ridurre la dimensione dello Stato, al tempo stesso rendendolo forte là dove serve: sicurezza, giustizia, controlli. Lasciare più spazio al mercato, anche nel welfare, costruendo più Stato nell’amministrazione della legalità. Significa riscrivere il patto sociale, fare i conti con un mercato del lavoro troppo rigido, con mercati dei capitali asfittici, con costi troppo alti sulle spalle dei produttori. Cose che non possono essere fatte fuori dalle regole democratiche, se non mettendo in conto la demolizione della democrazia.
Il governo Monti ha compiuto diversi passi falsi: l’annuncio di un fondo per gli sgravi fiscali, salvo poi sostenere che non si devono alimentare illusioni e cancellarlo; l’annuncio di liberalizzazioni che non erano del tutto tali, salvo poi dovere ammettere che l’autorità nazionale per le licenze taxi era una corbelleria; l’annuncio dell’Imu sugli immobili ecclesiastici commerciali, salvo poi ripiegare sulle esenzioni, come prima. Nessuno è immune da errori. Ma su lavoro e fisco gioca il proprio ruolo. E’ qui che ha il dovere di mettere le forze politiche davanti alle loro responsabilità: aiutare a procedere, modificando la natura del contratto sociale, o avere paura, puntare i piedi ed essere travolte. La parentesi commissariale non deve chiudersi senza avere affrontato questi nodi. Il prezzo del fallimento è troppo alto.

2 commenti:

  1. La cosa bella è che l'argomentazione di fondo che citi è del tutto RIBALTATA! E' verissimo che la realtà è spesso troppo complessa per essere dominata a livello individuale, e necessita di "soluzioni collettive" per essere affrontata al meglio...non ho il minimo dubbio a riguardo! Il punto, però, che a Bruni sfugge, è proprio che IL MERCATO rappresenta un'istituzione collettiva (e decentrata, e diffusa, e complessa, e adattabile), nonostante emerga dalle scelte semplici e isolati di tutti i componenti che lo costituiscono (le persone, in assenza di violenza coercitiva)...mentre proprio LA POLITICA, che si ammanta di un'aura di "interesse per il bene comune", è nella realtà dei fatti un meccanismo composto da un numero relativamente ristretto di individui, che cercano di dominare con la loro visuale ristretta un fenomeno troppo complesso!

    La contestazione a Bruni più semplice e chiara che mi viene in mente è che lui HA RAGIONE! :-D
    Però poi spaccia una soluzione centralistica (e quindi limitata) come risposta per la situazione complessa, a discapito di una soluzione DAVVERO complessa, ovvero il libero mercato!
    GIACOMO ZUCCO

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  2. Concordo con l'argomento di Giacomo, e ce ne sarebbero tantissimi da aggiungere. Per me un argomento è che la spesa pubblica al di sopra delle proprie possibilità non fa altro che rimandare la crisi, che si presenterà in forma più acuta. Se non puoi stampare moneta per creare inflazione (altra cosa che non comunque non potrebbe durare all'infinito) fare una politica espansiva in disavanzo di bilancio significa mettersi nelle mani degli usurai della finanza globale.
    GIONATA PACOR

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