REICHSTAG TEDESCO |
Oggi torna sul problema evidenziando come la maggioranza della Merkel non abbia votato compatta l'approvazione del secondo piano di aiuti per le Grecia, e che il provvedimento è passato per il "soccorso" dell'opposizione socialdemocratica. In Germania la popolazione pare schierata, in netta prevalenza, per l'abbandono della nave greca alla sua sorte e in generale non sono gradite misure volte a rafforzare argini antispeculazione europei volti a sostenere attacchi del mercato agli stati "deboli", perché troppo indebitati. Il motivo è semplice: i soldi per questi organismi o vengono dagli stati membri, e quindi in prevalenza dalla nazione più ricca (la Germania appunto ) , oppure dalla Banca centrale che li STAMPA, con rischi di inflazione e di perdita di valore della moneta. In realtà, probabilmente per la stagnazione di mezza europa e la paura diffusa, l'inflazione resta contenuta : difficile alzare i prezzi se la gente comunque NON compra. Ma nessuno si augura che la recessione continui, ovviamente. E il timore tedesco è che la crescita non avvenga per canali virtuosi (le famose riforme , con welfare sostenibile, riduzione del debito, flessibilità del lavoro...) ma attraverso la ripresa del vizietto della spesa pubblica (proprio oggi riportavo l'opinione dotta di un bocconiano che predicava proprio in questo senso).
Polito in fondo ripropone una battuta significativa di un governante a Bruxelles: "il problema non è capire cosa si deve fare per risanare, ma come vincere le elezioni dopo averlo fatto!".
Buona lettura
P er la prima volta da quando è cominciata la crisi dell'euro, Angela Merkel ha perso la sua maggioranza politica al Bundestag. Dei 330 voti di cui dispone il centrodestra, solo 304 hanno votato sì al secondo salvataggio della Grecia, sette in meno dei 311 seggi che fanno la maggioranza assoluta. Solo grazie al voto favorevole, ma molto critico, dell'opposizione socialdemocratica, il Bundestag ha autorizzato comunque con un amplissimo margine il nuovo piano da 130 miliardi per Atene. Ma l'indebolimento politico della Merkel è evidente. Oggi il 62 per cento dei tedeschi pensa che versare ancora soldi nel «pozzo senza fondo» della Grecia sia una follia. Lo ha gridato in prima pagina a titoli cubitali anche la Bild con un perentorio «Stop». E il ministro dell'Interno di Berlino ha rotto la disciplina di governo per dichiarare che sarebbe meglio il default, anche per i greci.
In queste condizioni è più difficile che la Merkel possa accettare nel vertice di fine settimana ciò che gli altri capi di governo dell'Europa si augurano, e cioè di portare a 750 miliardi di euro la dotazione complessiva dei fondi salva-Stati. Proprio quando sembrava che i nervi dei tedeschi si potessero rilassare insieme a quelli dei mercati (la Bce da due settimane non ha più bisogno di comprare titoli italiani e spagnoli), la doccia fredda del Bundestag ricorda a tutti che la crisi dell'euro è politica, prima ancora che finanziaria. E dunque ben lungi dall'essere risolta.
Tre lezioni si possono trarre dall'incidente di Berlino. La prima è che tutti coloro che, anche in Italia, accusano la Merkel di egoismo nazionale e di scarsa generosità nel salvare Atene, devono sapere che le cose potrebbero andare anche peggio se a prevalere fossero i sentimenti maggioritari nel popolo e nel parlamento tedesco. Del resto il primo salvataggio greco risale ormai a quasi due anni fa, e nemmeno la Merkel può escludere che ne sarà necessario un terzo. Ma il numero di volte in cui un governo può giustificare davanti ai propri contribuenti il salvataggio di un altro Paese è limitato. Forse in Germania il limite è già stato toccato.
Seconda lezione: non è proprio il caso di rilassarsi nemmeno in Italia. I progressi del nostro Paese ormai sono uno dei pochi argomenti efficaci in mano a chi sta provando a far ragionare i tedeschi. Se la minore pressione dei mercati si traducesse da noi in un annacquamento del programma di riforme, il danno non sarebbe solo interno. Non c'è nulla da temere di più che la mancanza di paura, chiosa l' Economist .
Terza lezione: si sta creando una tensione molto forte tra ciò che va fatto e ciò che gli elettorati sono disposti ad accettare, e questa tensione «democratica» è da sempre il pericolo maggiore per l'Unione, progetto di élite e tecnocratico per eccellenza. La Merkel è nei guai che abbiamo visto, e deve conquistarsi un terzo mandato l'anno prossimo. Ma già tra poche settimane in Francia una vittoria del socialista Hollande potrebbe portare alla richiesta francese di rinegoziare il Trattato fiscale appena varato. Senza contare che i sondaggi in Grecia pronosticano un trionfo di estremisti di ogni colore, e che in Italia nessuno sa chi governerà tra un anno, e se per vincere dovrà promettere di fermare la marcia delle riforme.
Neanche ancora scampato ai mercati, l'euro è ora nelle mani degli elettorati.
In queste condizioni è più difficile che la Merkel possa accettare nel vertice di fine settimana ciò che gli altri capi di governo dell'Europa si augurano, e cioè di portare a 750 miliardi di euro la dotazione complessiva dei fondi salva-Stati. Proprio quando sembrava che i nervi dei tedeschi si potessero rilassare insieme a quelli dei mercati (la Bce da due settimane non ha più bisogno di comprare titoli italiani e spagnoli), la doccia fredda del Bundestag ricorda a tutti che la crisi dell'euro è politica, prima ancora che finanziaria. E dunque ben lungi dall'essere risolta.
Tre lezioni si possono trarre dall'incidente di Berlino. La prima è che tutti coloro che, anche in Italia, accusano la Merkel di egoismo nazionale e di scarsa generosità nel salvare Atene, devono sapere che le cose potrebbero andare anche peggio se a prevalere fossero i sentimenti maggioritari nel popolo e nel parlamento tedesco. Del resto il primo salvataggio greco risale ormai a quasi due anni fa, e nemmeno la Merkel può escludere che ne sarà necessario un terzo. Ma il numero di volte in cui un governo può giustificare davanti ai propri contribuenti il salvataggio di un altro Paese è limitato. Forse in Germania il limite è già stato toccato.
Seconda lezione: non è proprio il caso di rilassarsi nemmeno in Italia. I progressi del nostro Paese ormai sono uno dei pochi argomenti efficaci in mano a chi sta provando a far ragionare i tedeschi. Se la minore pressione dei mercati si traducesse da noi in un annacquamento del programma di riforme, il danno non sarebbe solo interno. Non c'è nulla da temere di più che la mancanza di paura, chiosa l' Economist .
Terza lezione: si sta creando una tensione molto forte tra ciò che va fatto e ciò che gli elettorati sono disposti ad accettare, e questa tensione «democratica» è da sempre il pericolo maggiore per l'Unione, progetto di élite e tecnocratico per eccellenza. La Merkel è nei guai che abbiamo visto, e deve conquistarsi un terzo mandato l'anno prossimo. Ma già tra poche settimane in Francia una vittoria del socialista Hollande potrebbe portare alla richiesta francese di rinegoziare il Trattato fiscale appena varato. Senza contare che i sondaggi in Grecia pronosticano un trionfo di estremisti di ogni colore, e che in Italia nessuno sa chi governerà tra un anno, e se per vincere dovrà promettere di fermare la marcia delle riforme.
Neanche ancora scampato ai mercati, l'euro è ora nelle mani degli elettorati.
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