I 9000 morti in Siria, le cronache libiche, egiziane, tunisine, riportano inevitabilmente alla mente UN'ALTRA primavera, quella ARABA, salutata da tanti come un vento nuovo, giovane, ricco di speranza per la libertà e la democrazia di quelle regioni rette da regimi dittatoriali.
Era solo un anno fa.
In effetti quei regimi caddero...o meglio caddero i dittatori: velocemente e abbastanza incruentemente Ben Alì in Tunisia, svelto a capire come si erano messe le cose e a squagliarsela, meno veloce e con qualche decine di vittime le dimissioni di Mubarak, oggi prigioniero e processato in Egitto, parecchi mesi e molti morti tra le due fazioni in lotta ( rivoltosi e "lealisti") per arrivare alla caduta e morte di Gheddafi in Libia.
Cosa c'è adesso in quei tre paesi?
In Tunisia si sono tenute le elezioni e hanno vinto i fratelli musulmani, partito islamista, che tutti sperano si possa ispirare al modello Erdogan, il Presidente turco, che nel suo paese sembra riesca a bilanciare sufficientemente bene istanze religiose (proprie del suo partito) e laiche. In realtà l'aria che tira non sembra essere proprio quella, con censura e controllo rigido dei mezzi di informazione esattamente come accadeva ai tempi di Ben Alì, mentre gli integralisti, che vogliono al rogo un film come Persepolis, si mostrano in grado di influenzare il governo assai di più delle forze moderate, uscite battute e divise dalla persa battaglia elettorale.
PIAZZA THARIR DOPO UN ANNO |
In Libia, il paese dove la "primavera" non è stata aiutata solo solidalmente e diplomaticamente ma proprio militarmente (senza la Nato i rivoltosi sarebbero rimasti "ribelli" e magari , a distanza di un anno, si assisteva alla stessa mattanza che si vede in Siria), i vincitori non è che si mostrino più democratici dei dittatori di ieri.
Amnesty international denuncia l'uccisione di decine e decine di appartenenti alla fazione filo gheddafiana , la libera stampa anche qui non decolla, e alle elezioni non si prevedono risultati diversi da quelli tunisini o, peggio, egiziani.
Ah in tutto questo la Primavera ha portato la recrudescenza di un sentimento mai sopito ma che regimi in qualche modo filo occidentali (Tunisia ed Egitto) o comunque messi in riga (Gheddafi, dopo i missili di Reagan, che lo voleva far fuori) avevano imparato a tenere e bada: l'antisemitismo.
Insomma un quadro non granché brillante, non solo rispetto alle speranze suscitate, ma anche in relazione al prima. Sono caduti dei regimi, indubitabile, ma quelli attuali minacciano di essere addirittura peggiori.
E questo non può non far ritornare in mente i fallimenti - dal punto di vista della speranza democratica - di altre rivoluzioni e/o lotte contro regimi oppressivi. Chi non ricorda il saluto entusiasta dell'Europa (negli USA no, loro avevano capito subito) alla rivoluzione iraniana contro lo Scià, il ritorno di Komeini esiliato a Parigi?
A distanza di oltre 30 anni esiste al mondo un regime peggiore di quello iraniano? Direi proprio di no. Magari sullo stesso livello di nefandezza, ma peggio no.
Oppure l'aiuto occidentale ai talebani afghani nella lotta contro gli invasori russi? Bell'affare anche lì.
Insomma, il problema che Pierluigi Battista benissimo sottolinea in un suo bellissimo pezzo pubblicato sul supplemento "Lettura" del Corriere ("La sindrome di Teheran"), è che l'Occidente fa anche bene a schierarsi contro l'INGIUSTO (e le dittature lo sono), ma che non è altrettanto facile individuare nelle rivolte contro i regimi esistenti il seme del GIUSTO.
Concludeva proprio così : "E' sacrosanto stare dalla parte giusta. E' ancora più sacrosanto capire dove, questa parte giusta, abbia cittadinanza".
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