mercoledì 7 marzo 2012

"LASCIATE CHE I BAMBINI SIANO BAMBINI"

In Francia e Gran Bretagna, paesi che non direi bacchettoni, si pongono il problema della cd. iper sessualizzazione delle minori di anni 12.
Così ieri sul Corriere della Sera:
"Se nei primi anni Novanta facevano scandalo le sedicenni in piscina di Non è la Rai, il limite di età per l’ammiccamento improprio sembra essere notevolmente sceso: tra gli 8 e i 12 anni, in età un tempo prepuberale, le bambine ora conoscono un’adolescenza precoce fatta di reggiseni a balconcino, trucchi e vestiti da donne o quasi. La sindrome di Lolita (la dodicenne Dolores Haze nel romanzo di Vladimir Nabokov) preoccupa le autorità francesi tanto che la senatrice parigina Chantal Jouanno, ex ministro dello Sport e campionessa di judo, ieri ha presentato in Parlamento il suo rapporto intitolato «Contro l’iper-sessualizzazione, una nuova battaglia per l’uguaglianza», e il ministro della Solidarietà Roselyne Bachelot ha promesso di seguirne le raccomandazioni.
Per «difendere i nostri bambini dalla confusione illustrata dallo stesso termine di pre adolescenza», che toglie anni preziosi a quella che dovrebbe essere «infanzia», il rapporto Jouanno auspica alcune prime misure concrete: divieto dei concorsi di bellezza per «mini-miss», e ritorno all’uniforme scolastica sin dalle elementari. Se l’erotizzazione dell’esistenza comincia presto, bisogna allora anticipare anche la lotta contro i jeans a vita bassa.
JEREMI IRONS NEL FILM LOLITA
Hyper-sexualisation è un termine usato da alcuni anni dalla sessuologa canadese del Québec Jocelyne Robert per indicare la «rappresentazione del bambino come una sorta di adulto sessuale in miniatura». InSexy Inc, del 2007, la documentarista sempre canadese Sophie Bissonnette ha mostrato efficacemente che cosa si intende per erotizzazione precoce: dalle decine di vestiti, riviste e accessori con connotati seduttivi e sessuali rivolti alle tweens, cioè le bambine sotto i 12 anni, al bombardamento visivo nei videoclip dell’eroina nazionale Nelly Furtado, all’ossessione di certe mamme per i concorsi di bellezza. L’anno scorso il tema è arrivato in Europa per l’intervento del premier britannico David Cameron, che con lo slogan “let the children be children” (lasciate che i bambini siano bambini) ha chiesto di arginare la hyper-sexualization; e in Francia lo scandalo di  Vogue — una bambina-modella fotografata in pose provocanti — è costato il posto alla potente direttrice Carine Roitfeld, regina del porno chic. In questo clima, uno dei concorsi per «mini-miss» che cominciano a diffondersi sempre di più in Francia è stato annullato ad Auch, nei Pirenei, perché nella locandina una bambina era troppo truccata.
Personalmente sono d'accordo , in particolare mi sembra giustissimo il pensiero del Premier britannico. 
Condivido anche la maggior parte delle considerazioni , a lato dell'articolo sopra riportato, della psicoterapeuta Federica Mormando che rifletteva sul ripristino del grembiule, della divisa.
Della cosa si parla da un po', giustificandola principalmente con la volontà di creare a scuola un ambiente dove bambini (ma anche ragazzi) si sentano su un piano di "uguaglianza". Tra l'altro, è proprio l'istruzione l'elemento base per cercare di garantire l'utopia liberale : tutti uguali alla partenza.
Lo ritengo un buon motivo, ma non è l'unica, come la psicologa fa notare .
"Travolte dall'ondata post sessantottina, considerate limitazione di libertà, le divise furono giubilate. Sparì così l'abitudine delle adolescenti di truccarsi all'uscita, visto che lo si poteva fare direttamente all'entrata"
Dopodiché col tempo ci si accorge che l' eccesso di libertà può far danni, e di fronte a bambine che a scuola sfoggiano tacchi a spillo, labbra rosse, abbigliamento e pose ammiccanti, ecco che un bel giorno qualcuno si sveglia e decide che bisogna tornare indietro.
L'esperta fa però opportunamente notare che dal divieto di tacchi, shorts e minigonna alla divisa, se il passo sembra breve in realtà non lo è.
"La divisa è in primo luogo un'affermazione, non un divieto. La divisa afferma che che siamo nel tempo della nostra vita dedicato allo studio a scuola . Siamo scolari e la nostra funzione è imparare, E siamo un gruppo. Il che incita alla solidarietà, tanto è vero che la divisa era stata proposta anche fra i mezzi per prevenire il "bullismo" ...."
Si può essere fieri della propria divisa, come segno di appartenenza ad una scuola che si apprezza e di cui si è orgogliosi di far parte (come avviene in certe scuole britanniche) . Continua la Mormando:
"La divisa a scuola è una dichiarazione di adesione al ruolo di scolaro, una piccola corazza contro la licenza di giocare,  e anche contro vagabondaggi della fantasia che un abbigliamento sexi favorisce....Una divisa è un messaggio anche per i genitori  : mortificare l'infanzia mascherandola da sex symbol non è lecito nei luoghi dell'istruzione. Un provvedimento di questo genere è occasione per spiegare concetti dimenticati , re inaugurare la disciplina, quella vera, che forma la persona e regola la convivenza. E per restituire ai bambini il senso dell'infanzia, che non è più pura o più serena o più etica dell'età adulta : è semplicemente un'altra età, che l'imitazione di modelli adulti inaridisce. E rendere obbligatorio lo studio di questi concetti a genitori confusi potrebbe restituirgli la loro divisa: quella di genitori".
Sipario. Applausi.
 

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