lunedì 26 marzo 2012

QUALE NORMA STABILISCE IL DIRITTO DI VETO SINDACALE?

Ho già scritto in varie occasioni che non mi piacciono i sindacati. Storicamente hanno avuto un ruolo importante nel migliorare le condizioni di lavoro delle persone, ma in Italia, dagli anni 70 in poi, il loro ruolo è stato più negativo che altro. E queste critiche non vengono solo da gente liberale, come sono io, ma anche dalle persone di sinistra purché più aperte e non faziose.
Cito spesso Edmondo Berselli tra queste, che al sindacalismo italiano ha imputato tanti difetti del mondo del lavoro nel nostro paese : l'abolizione del merito, l'egualitarismo al ribasso, in un appiattimento niente affatto positivo per gli stessi lavoratori, tradotto in un "meno purché per tutti", lo stesso che alla fine ha fatto crollare l'URSS e i suoi satelliti.
Avendo ottenuto TUTTO l'ottenibile negli anni definiti "formidabili" da Mario Capanna di Democrazia Proletaria (che si goda la pensione di deputato in pace...), poi si sono arroccati in una posizione di difesa assoluta e a prescindere.
Quindi barricate per il punto unico di contingenza, la scala mobile, le parole d'ordine quali "il salario come variabile indipendente" dall'andamento economico dell'azienda, i contratti nazionali inderogabili, impedendo una flessibilità contrattuale legata alle diverse realtà regionali , in primis il costo della vita (per le quali 1.500 euro sono tanti a Melfi e pochi a Torino). Da forza riformista e di progresso, il sindacato notoriamente è ormai il soggetto in assoluto più CONSERVATORE. Perse molte battaglie, scontato la fine del fordismo e della prevalenza dei numeri della classe operaia, a causa della robotizzazione delle fabbriche, l'ultima trincea resta la difesa giapponese del posto di lavoro, anch'esso A PRESCINDERE.
A Diritto, una delle PRIME cose che ti spiegano, che l'uguaglianza ha come premessa l'IDENTITA' delle situazioni. Se queste sono DIVERSE, allora le risposte , le soluzioni, dovranno essere diverse.
Ma i leader sindacali la parola diritto non la conoscono nell'accezione giuridica. Per loro equivale a "pretesa" ed è sempre e solo quella a favore dei loro iscritti, e nemmeno.
Quando parlano di economia, e di soluzioni per la crisi, l'unica ricetta che conoscono è la patrimoniale , accompagnata dalla lotta all'evasione. FINE.
Se provi a dirgli che il debito pubblico è troppo alto, che anche recuperando TUTTO il sommerso non basterebbe a risanarlo, che gli impiegati pubblici sono TROPPI, strillano come aquile e se non ti danno del fascista è perché il termine è ormai desueto e non fa presa.
Poi, grazie ad un Presidente che pure ho stimato ,Ciampi, la "concertazione" è stata eletta non a "metodo" ma a SISTEMA imprescindibile. I sindacati non vanno semplicemente sentiti, così come i rappresentanti delle varie categorie (e molte invece restano escluse da questa consultazione), ma le decisioni devono recare il loro placet.
I nuovi tribuni della Plebe....
A questa problematica è dedicato l'editoriale di Angelo Panebianco di oggi, sul Corsera, al quale vi lascio.
Buona Lettura

IL RUOLO DELLE PARTI SOCIALI

Gli specialisti dei problemi del lavoro discutono sulla efficacia o meno della riforma messa a punto dal governo Monti. Accrescerà davvero la flessibilità del mercato o accrescerà solo i contenziosi giudiziari? Favorirà l’occupazione o aumenterà gli oneri a carico delle imprese? A parte le valutazioni di merito c’è anche in gioco un problema che sarebbe riduttivo definire «politico »: perché investe gli equilibri del nostro sistema istituzionale, riguarda quella che con espressione abusata viene detta la «costituzione materiale». Il quesito è se ne sia parte integrante il potere di veto dei sindacati e, in particolare, della più forte organizzazione, la Cgil (a sua volta trainata dalla Fiom). Molti pensano che, almeno dagli anni Settanta dello scorso secolo, quel potere di veto sulle questioni del lavoro sia uno dei pilastri su cui si regge la Repubblica. Da qui la diffusa convinzione, propria di chi confonde democrazia e costituzione materiale, secondo cui sfidare quel potere di veto equivalga a mettere in discussione la democrazia.
Ricordiamo che prima di oggi, negli ultimi trenta anni, il potere di veto della Cgil è stato sfidato dai governi solo in due occasioni, una volta con successo e una volta no. Negli anni Ottanta fu il governo di Bettino Craxi ad ingaggiare un braccio di ferro con la Cgil sulla questione del punto unico di contingenza. In quella occasione, la Cgil perse la partita e la sua sconfitta consentì all’Italia di porre termine al regime di alta inflazione che l’aveva flagellata per più di un decennio. La seconda volta, il potere di veto della Cgil venne sfidato dal (secondo) governo Berlusconi proprio sull’articolo 18. L’allora segretario della Cgil, Sergio Cofferati, riuscì a mobilitare e a coagulare intorno a sé tutte le forze antiberlusconiane del Paese e la maggioranza parlamentare non seppe conservare la coesione necessaria. L’articolo 18 non venne toccato, il governo uscì sconfitto.
In entrambe le precedenti occasioni, la mobilitazione della Cgil e dei suoi alleati aveva come bersaglio un chiaro, riconoscibile, «nemico di classe»: Craxi (socialista ma anche anticomunista) e Berlusconi. Adesso le cose sono assai più complicate persino per la Cgil. Il contesto, sia politico che economico, non l’aiuta. Monti e Fornero possono anche essere dipinti nelle piazze come nemici di classe. Ma si dà il caso che l’attuale governo sia un governo del Presidente, voluto e sostenuto da Giorgio Napolitano. Sarà alquanto difficile, e poco credibile, trattare da nemico di classe anche il presidente della Repubblica. Né aiuta la Cgil il contesto recessivo e i potenti vincoli esterni che incombono sull’economia italiana. La battaglia per conservare il potere di veto e, con esso, la potenza dell’organizzazione, si scontra con una congiuntura nella quale il giudizio dei mercati, delle istituzioni finanziarie e dell’Unione Europea sull’operato del governo e del Parlamento è decisivo e può farci facilmente ripiombare nella condizione di assoluta emergenza in cui eravamo solo pochi mesi fa.
Dopo le elezioni amministrative, quando il provvedimento del governo approderà in Parlamento, vedremo se il potere di veto della Cgil ne uscirà ridimensionato o riaffermato. Sarà la cartina al tornasole per capire se ci saranno cambiamenti oppure no nella costituzione materiale della Repubblica. Chi definisce solo simbolica la questione dell’articolo 18 forse sottovaluta il fatto che, in genere, sono proprio gli esiti delle battaglie sui simboli a decidere queste cose.

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