martedì 3 aprile 2012

IL RICATTO SUBITO DAGLI OPERAI DELL'ILVA DI TARANTO

Qualche giorno fa riportai la notizia della manifestazione promossa dagli operai dell'ILVA - importante stabilimento siderurgico appartenente alla famiglia Riva - di Taranto ( http://ultimocamerlengo.blogspot.it/2012/03/taranto-gli-operai-hanno-scelto-meglio.html?spref=fb ).
Come spesso faccio, la notizia veniva illustrata da un giornalista "vero", che io introduco con una nota, più o meno articolata a seconda anche della conoscenza che ho dell'argomento. Nel caso di specie, pressoché nulla,  e lo ammettevo senza difficoltà, rimandando per ogni informazione all'articolo del Corriere della Sera che riproducevo. A me colpivano due cose: 1) la tragica scelta fatta dagli operai dello stabilimento:  tra la difesa del lavoro e il rischio di malattia per sé, i propri familiari e gli altri, evidentemente nell'Italia odierna prevaleva assolutamente la PRIMA 2) l'ennesima riprova del distacco tra sindacati e i lavoratori: alla manifestazione "ufficiale" organizzata dai primi, di protesta contro il pericolo costituito dalla fabbrica, avevano manifestato in 2.000. Quattro volte MENO di quelli che qualche giorno dopo hanno invece sfilato perché l'impianto resti aperto.
Sul post interveniva un'amica di FB, Susanna, che garbatamente osservava come, anche per la delicatezza e la complessità del problema, l'articolo gli sembrasse un po' sciatto. Ritengo francamente che si riferisse alla MIA nota e non già all'articolo vero e proprio di Goffredo Buccini.
Oggi, cosa apprezzata moltissimo, Susanna, che ha un suo bel blog, " EQUILIBRISMI", a cui mi sono prontamente iscritto, mi ha inviato un suo articolo sul tema. Di Susanna io diventai "amico" su segnalazione di un comune contatto sul social network: Valeriano Giorgi. Una persona che io ho apprezzato molto, di cui condivido varie idee (lo constato dai post che riprende dal Corriere) e che non so perché un bel giorno fece una "epurazione" dei suoi contatti di FB, mettendomi tra gli "esodati" ... Vabbé, pazienza. Giorgi era un ammiratore assoluto di Susanna, di cui mi segnalava la rara acutezza e l'assenza totale di banalità.
Tornando all'ILVA, io ho letto con attenzione quanto scritto da Susanna, e lo trovo un approfondimento utile. Mi sembra però che anche nel suo post Susanna metta, tra l'altro, in evidenza sia il drammatico disagio degli operai dell'ILVA - io scrivevo "meglio l'incertezza del tumore che la certezza della miseria", lei scrive "diritto alla vita o diritto al lavoro?" - sia l'"inesistenza" dei sindacati.
Certo io mi ero fermato qui, rimandando come detto all'articolo del Corriere, Susanna invece approfondisce e mette sul tavolo degli imputati i politici, i Riva, il ricatto del lavoro.
Ma giudicate voi.


«Unisciti a noi! Venerdì 30 Marzo. Manifestazione per difendere il tuo posto di lavoro contro le strumentalizzazioni fatte sulla nostra pelle e per un futuro ecosostenibile». Firmato, i Lavoratori Ilva. Una manifestazione, quella di venerdì scorso, perfettamente esplicativa della situazione di ricatto che tutta la popolazione tarantina si ritrova, suo malgrado, costretta a subire. Una situazione fatta di scontri, campagne elettorali, udienze, perizie epidemiologiche: una realtà che, man mano che il tempo passa, si fa sempre più dannosa, pressante, esasperante.
Dunque, si è passati in poco tempo dai paradossali annunci di unVendola che dichiarava risolto il problema ambientale, alla possibilità che uno dei maggiori complessi industriali per la lavorazione dell’acciaio in Europa si trovi costretto a chiudere battenti e a lasciare a casa migliaia di lavoratori.
In questa paradossale situazione, nefasta fu l’ignavia di una politica che non è mai riuscita a farsi realmente carico di un problema ormai talmente insostenibile da richiedere l’intervento della magistratura. I dati espressi dai periti nominati dal gip Patrizia Todisco per comprendere lo stato di salute dei tarantini in relazione agli inquinanti emessi dallo stabilimento siderurgico non hanno fatto altro che confermare ciò che i cittadini già sapevano da tempo: 174 decessi per tumore nell’arco di sette anni, attribuibili al superamento delle norme previste per le emissioni di polveri sottili nell’aria. In particolare nei quartieri a ridosso dell’Ilva è stato registrato il quadruplo di mortalità e il triplo di ricoveri per malattie cardiache rispetto al resto della città.
Il quadro di compromissione relativo allo stato di salute degli operai dell’industria siderurgica, poi, «è confermato dall’analisi dei ricoveri ospedalieri con eccessi di ricoveri per cause tumorali, cardiovascolari e respiratorie». A fronte di ciò, il Gruppo Riva ha ben pensato di sfruttare la disperazione degli operai e l’inesistenza dei sindacati, promuovendo una manifestazione (pagata) per protestare le ragioni dell’azienda. Mentre fuori divampava la protesta, in aula si discuteva la perizia epidemiologica che dovrebbe determinare una volta per tutte le responsabilità dei vertici del siderurgico nei confronti dei lavoratori e dell’ambiente.
Ottomila manifestanti, però, non si recuperano unicamente grazie al pagamento degli straordinari e a più o meno velate intimidazioni. Ottomila manifestanti sono il segnale di un disagio: un disagio che molti si rifiutano di accettare nella sua drammaticità. Diritto alla vita o diritto al lavoro? Si ritorna sempre a quel punto. E riesce sempre più difficile domandarsi il motivo per il quale i tarantini dovrebbero accontentarsi solo di una delle due alternative. Le dichiarazioni di alcuni dei manifestanti, in questo senso, sono eloquenti: «Mi hanno chiesto: “e se tuo figlio s’ ammala per colpa dei vostri fumi maledetti”? Beh, io rispondo che lo dovrei curare, e dunque dovrei lavorare il doppio, senza soldi non li possiamo curare i nostri figli», dichiara Alessandro Mancarella ad un inviato del Corriere. E come lui molti altri: «Vedi, io non vorrei morire di cancro, ma neppure di fame». E ancora: «Vogliamo lavorare. Noi per ambiente, salute e lavoro».
Nel frattempo si trova anche qualcuno disposto a sbilanciarsi di più, sebbene sotto falso nome, per paura di ripercussioni. Per Domenico, intervistato da Taranto Oggi, «L’unica soluzione è la chiusura». Eppure, nel momento in cui gli si domanda per quale motivo non abbia scelto di lasciare lo stabilimento, risponde con rassegnazione: «Io con moglie, i figli, tra poco ne arriva un altro, devo portare lo stipendio a casa, altrimenti non mangiamo e non paghiamo casa, quindi se avessi un’alternativa lascerei subito lo stabilimento. Lì dentro c’è l’annullamento della personalità, sembriamo tanti burattini che lavorano come formiche, ogni giorno viene calpestata la nostra dignità di uomini. Inoltre, con molta sincerità devo dire che io come tarantino mi sento defraudato della mia città, una grandissima parte di essa infatti è occupata dall’Ilva che ci regala lavoro sottopagato e tanto inquinamento e morte».
Ma la politica, nel frattempo, cosa fa? Tutta presa dalle imminenti elezioni (il cui esito appare già abbastanza chiaro, considerata la grande alleanza che ha scelto di appoggiare il candidato uscente), sembra che non sia in grado di formulare proposte adeguate. Proposte di cui presto o tardi il sindaco Ippazio Stefàno – che della questione dell’Ilva aveva fatto un baluardo elettorale – dovrà obbligatoriamente rispondere. Possibilmente prima che venga rieletto.
 

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