Il primo, come Panebianco, sottolinea come sia bene eliminare per lo più l'erogazione di soldi pubblici ai partiti, limitando semmai le elargizioni al rimborso di alcune spese finalizzate alla propaganda del pensiero del movimento: internet, spazi pubblicitari, cose del genere. Non di più. E all'obiezione che senza finanziamento statale si favorirebbero le formazioni dei "ricchi", la crisi del Berlusconismo, ma anche le sue precedenti sconfitte elettorali (Prodi per due volta, nel 1996 e nel 2006 riuscì a spuntarla, sia pure di poco) sta lì a testimoniare che se poi l'elettorato è scontento dell'operato di chi ha votato, NON lo rivota.
Antonio Polito provoca la triade Alfano, Bersani Casini (da cui la sigla ormai di moda ABC ) invitandoli ad abrogare l'attuale legge, rinunciando così di botto alla prossima tranche di 100 milioni di euro che meglio potrebbero essere spesi in qualsiasi altro modo. Provocazione a parte, Polito mette l'accento su un problema decisivo: NON è un problema solo di trasparenza, di controlli (sui quali peraltro Giacalone mostra grandissimo scetticismo...controlli da parte di chi? dei magistrati ??????) , è proprio una questione di quantità! Il PDL nel 2008 avrebbe speso 68 milioni di euro e gliene sono stati rimborsati 206, al PD, che ne ha spesi 18, 180!!!
Ma la parola "rimborso" in italiano ha cambiato significato??
Ecco i due contributi:
Sì al finanziamento (non pubblico)
Il sistema di finanziamento dei partiti deve cambiare, ma detta così non significa nulla. Peggio: detta così aggrega al gregge sbandato dei capipartito senza partito, di chi parla senza pensare. Meglio far proposte concrete, come quella che segue. L’obiettivo da raggiungere non è mettere sotto tutela la politica, ma liberarla. Per questo la gran parte delle cose che si sentono appartengono al mondo dell’orrore, o, più semplicemente, della ruvida ignoranza.
Marcello Pera ha ragione: pensare di sottoporre la vita interna dei partiti all’iniziativa delle procure, e la loro vita economica ai magistrati contabili, è da sistema dispotico, come anche creare autorità indipendenti (e chi le nomina, se non quelli che hanno già lottizzato tutto il resto?) che controllino il prodotto della sovranità popolare. Ma si tratta di un dispotismo che non nasce dalla prepotenza, bensì dall’insipienza. Non si afferma con la forza, ma campa di debolezza. Il dibattito in corso è lo specchio fedele dell’ameba cui la politica è ridotta. Chiarito il punto di vista, veniamo alla proposta.
Il finanziamento pubblico dei partiti va abolito, non un soldo deve uscire dalle casse pubbliche per andare a tintinnare nelle associazioni private. Il finanziamento della politica è attività nobilissima, da cui dipende la vita stessa della democrazia. Quanti maneggiano soldi dei partiti meritano rispetto, perché sono motori di un sistema circolatorio che regge la libertà. Ma devono essere privati che maneggiano soldi di privati. Il finanziamento della politica deve essere affare dei cittadini, non dello Stato.
Quando i militanti finanziavano (sebbene in piccola parte) i loro partiti se ne sentivano anche padroni. Se la politica la finanzia lo Stato i cittadini se ne sentono estranei. Giustamente. Il finanziamento pubblico, inoltre, costituisce concorrenza sleale contro le nuove formazioni politiche, che partono svantaggiate. E’ importante, all’opposto, che i cittadini sappiano di potere fare e contare, anche solo versando dei soldi. Davanti a spettacoli deprimenti, alla domanda: che ci posso fare io? La risposta deve potere essere: aiuta chi si oppone, chi ha proposte diverse. La cosa vale in particolare per la borghesia guicciardiniana (adusa a ripiegarsi nel proprio particulare), come per la piccola e media impresa, che potrebbe contare assai di più (e sarebbe un bene) se solo pensasse d’avere un ruolo determinante, come l’ha nell’economia del Paese. I soldi pubblici scacciano le forze buone, per questo devono sparire.
E la trasparenza? Chi pensa che possa essere garantita da giudici contabili, che furono nominati dalla politica, è matto. Come mettere Paris Hilton a impartire lezioni di virtù in un collegio femminile: lo farà per rabbia, disperazione, per vendetta, dopo essere invecchiata, di certo non per vocazione. La trasparenza è figlia del conflitto: se i soldi te li da lo Stato io penso che siano spesi male, lui pensa che te li freghi e tutti e due non ci aspettiamo nulla; se te li do io voglio sapere che ne fai. Se regalo soldi a congreghe familiari è segno che mi piacciono quelle, e buon pro mi faccia, se li destino a forze politiche vere avrò avuto cura di controllare come funziona il controllore interno. E’ questo che porta alla trasparenza: l’interesse.
Così fanno politica e vincono solo i ricchi? E’ l’opinione dei poveri d’idee. I soldi aiutano, e in certe condizioni sono determinanti, ma in un sistema democratico sano con i soldi vinci una o due volte, dopo di ché o porti i risultati o il tuo avversario ti distrugge investendo cento euro, quanto basta per dire: cacciate l’incapace. Capisco, però, che occorre venire incontro al piagnisteo antiplutocratico, ben concimato dalla cultura italica, sicché ammetto anche il finanziamento pubblico, ma non in soldi: lo Stato paghi le sedi (in appositi edifici), i collegamenti internet, le linee telefoniche, gli spazi dove appiccicare i manifesti (così non li mettono sui monumenti) e gli spazi televisivi e radiofonici. Se non riesci a prendere voti neanche dopo che ti hanno ascoltato è segno che non hai nulla da dire ed è bene che tu vada a lavorare. C’è gente che non ha mai avuto tale emozione, nella vita. Aiutiamola.
Infine: con i soldi dei privati la politica diviene schiava dei loro interessi. Tesi suggestiva, ma poco seria: che c’è di male? Fa paura la politica inutile, non quella funzionale. Resta da stabilirsi se quegli interessi sono generali o minoritari, per giunta ai danni della collettività, nel secondo caso destinati a soccombere. Facile dire che non viviamo nel mondo (e nel mercato) ideale, ma sbagliato rassegnarsi al peggio per evitare il male.
Un tempo si finanziava la politica e si davano garanzie agli eletti per evitare che perdessero la loro libertà. Ora li si finanzia e protegge talmente tanto da averli ridotti a leccapiedi di chi compila le liste. Basta così, cambiamo.
Una parola al trio quirinalizio (Alfano, Bersani, Casini): lo facciano fare al governo, per decreto, e neanche i familiari si ricorderanno più la ragione della loro esistenza.
Ed ecco Polito
Sarebbe davvero paradossale se, mentre promettono di cambiare la legge, i partiti intascassero a luglio l'ultima tranche di soldi pubblici di questa legislatura: cento milioni tondi tondi. Già da oggi, dunque, dovrebbero annunciare la sospensione di quel versamento: il futuro dipenderà dal varo di una nuova normativa. La misura varrebbe in due sensi: come tagliola per i partiti che dichiarano di voler cambiare, che a questo punto avrebbero una data di scadenza per i loro propositi riformatori; e come sanzione per quei partiti che non volessero cambiare, perché senza una nuova legge niente più soldi neanche a loro. Le tre forze politiche che compongono la maggioranza, Pdl, Pd e Udc, possono votare un decreto del governo che abroghi subito la legge esistente, bloccandone così anche l'ultima rata. Spetterebbe poi a loro, in Parlamento, approvarne una nuova. Il rischio di un lungo vuoto legislativo è remoto: in materie simili i partiti hanno sempre saputo essere velocissimi, senza passare neanche dall'Aula. Ma se anche ci fosse, sarebbe senza costi per la collettività. Cento milioni non sono molti, nel mare del fabbisogno dello Stato. Però, se si pensa alla difficoltà di trovare la copertura finanziaria per gli esodati o per il nuovo sussidio di disoccupazione previsto dalla riforma, si capisce che di questi tempi anche cento milioni sono preziosi. Si potrebbe lasciare ai partiti la scelta sull'uso sociale cui destinarli. Per tirare avanti, nel frattempo, essi possono comunque contare sugli ingenti risparmi messi da parte in questi anni grazie al generosissimo sistema dei cosiddetti rimborsi spese, risparmi così grandi che non sanno più come investirli, tra immobili, titoli della Tanzania e spese personali. Se anche fossero costretti per un po' a tirare la cinghia, non sarebbe la fine del mondo. Bisogna considerare che sono le aziende più flessibili d'Italia, visto che si sono auto-escluse fin dal 1990 dall'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, e possono dunque licenziare per motivi economici i loro dipendenti senza rischio di reintegro da parte del giudice. Nel fare la nuova legge, però, non credo che un po' di trasparenza e di bilanci su Internet possano bastare a convincere l'opinione pubblica che si è voltata pagina. Forse poteva bastare quattro o cinque anni fa. Non adesso, non dopo gli scandali Lusi e Belsito. «Più trasparenza» va bene, ma ciò che oggi conta è «meno soldi». Invece si sentono molti proclami sui massimi sistemi e nessuno sull'entità della cifra. Il tesoriere del Pd, Antonio Misiani, fa notare che nell'estate dello spread il finanziamento ai partiti è già stato ridotto, e secondo lui è ormai «in linea con quanto percepiscono i partiti in Francia, Spagna e Germania». A parte il fatto che questi raffronti europei sono sempre opinabili e difficili da accertare (vedi il fallimento della commissione Giovannini): ma il problema è che nel resto d'Europa i tesorieri dei partiti non diventano consiglieri di amministrazione di Fincantieri, i partiti non governano le Asl, non gestiscono ottomila società pubbliche di servizi locali. Soprattutto, nel resto d'Europa non c'è stato un referendum che ha abrogato il finanziamento pubblico. La legge che l'ha sostituito è infatti pudicamente definita un rimborso spese elettorale. Invece i partiti prendono una cifra fissa indipendentemente dalle spese che dichiarano. Questo forfait è il problema. Viene usato dai «cerchi magici» — ce ne sono in molti partiti — come la Regina d'Inghilterra usa l'appannaggio reale. Bloccano inoltre anche la democrazia interna, perché provate voi a disarcionare un leader che ha le chiavi della cassa. Qualsiasi nuova legge deve dunque agganciare i soldi versati alle spese effettivamente sostenute: ci deve essere un rapporto percentuale, oltre alla verifica di un'autorità esterna (che la Corte dei Conti esercita su chiunque maneggi soldi pubblici). Inutile che i partiti si facciano illusioni: hanno ricevuto in questi anni troppi soldi, e li hanno usati troppo male. L'elettorato accetterà solo una riforma che riduca l'assegno di mantenimento.
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