mercoledì 23 maggio 2012

AD UN PASSO DALLA FINE DELL'EURO

Qualcuno è in grado di spiegare perché i mercati ieri hanno fatto + 3% e oggi se lo stanno rimangiando?
C'è qualcuno che può dare una spiegazione ad un andamento così schizofrenico, definito tecnicamente "altamente volatile"?
Ieri leggevo che le borse salutavano il prevalere del concetto di "crescita", l'isolamento della Merkel e quindi la prospettiva di una serie di misure meno austere. Peccato che pochi mesi fa i mercati sembravano terrorizzati dai debiti pubblici...ora non più?
Qualcuno ha spiegato che l'attacco ai debiti sovrani è stato causato dalla incertezza della loro sostenibilità. Se l'Europa Unita avesse due anni fa sostenuto immediatamente la Grecia, finanziando le sue banche - così come è stato fatto da Draghi successivamente, con un trilione di euro all'1% ! - allora con 30 miliardi ce la cavavamo.
Ma bisognava dare un segnale a TUTTE le cicale europee...E così per la  Grecia sono stati bruciati già duecento miliardi e ancora non ne sono/siamo fuori.
Però le borse, da ottobre - novembre 2011 fino a marzo 2012, hanno marcato un rialzo concreto. Perché?
Eurobond? NEIN ; BCE riformata e trasformata in Banca di ultima istanza ? NEIN. Grecia, Spagna, Irlanda, Portogallo e Italia risanati? Ma de che! E allora?
Da aprile le borse sono tornate giù, mangiandosi tutti i progressi fatti in sei mesi. Qui la spiegazione è stata data : non sono piaciute le elezioni greche , dove evidentemente si sperava che il partito conservatore ce la facesse a prendere una maggioranza sufficiente a obbedire alle direttive europee. Ma era così imprevedibile l'esito del voto greco ? Non dicono tutti che i mercati sono "intelligenti"?
Non parliamo poi dello Spread. Da un po' fisso sopra quota 400. Quando tutto questo iniziò era sotto i 200...
Continuo a leggere le analisi e i commenti di persone esperte, condividendo molti passaggi, però poi vedo che tante ricette sensate , come uno stato leggero (da ultimo, Giuseppe Turani sul suo Mensile Uomini & Business), che arretra dall'economia,. un welfare seriamente ridimensionato e tarato sulle persone veramente bisognose e non su servizi a pioggia, una diminuzione della pressione fiscale specie a favore delle imprese, per favorire occupazione e investimenti, poi non trovano spazio perché il baraccone dei mantenuti si è talmente ingigantito che non è possibile incidere veramente su di esso senza una sorta di rivoluzione!
Sui temi accennati, propongo  l'intervento odierno di Alesina e Giavazzi, noti bocconiani da tempo critici nei confronti della timidezza del governo Monti.



 UNA VIGILANZA BANCARIA EUROPEA
Il salvagente del risparmio
La riunione di questa sera dei capi di Stato e di governo europei potrebbe segnare la svolta nella lunga crisi dell’euro. Non siamo mai stati tanto vicini al rischio concreto di una disintegrazione dell’unione monetaria. Il meccanismo che oggi potrebbe farla implodere è una «corsa alle banche», cioè la perdita di fiducia da parte dei cittadini, con il conseguente ritiro dei loro depositi. Sta accadendo in Grecia; potrebbe accadere in Spagna. Se il panico si estendesse sarebbe la fine dell’euro. Per evitarlo sono necessarie due cose. Nell’immediato bisogna evitare il rischio di una corsa agli sportelli. Serve una garanzia europea sui depositi bancari che dia ai depositanti la certezza che i loro risparmi (almeno fino a un certo limite, diciamo 100 mila euro) sono al sicuro. Un’assicurazione di questo tipo già esiste, come in Italia dove la copertura è appunto di 100 mila euro. Ma si tratta, finora, di garanzie nazionali, il cui valore dipende dalla condizione dei conti pubblici di ciascun Paese.
Se il debito è elevato, la garanzia potrebbe non valere molto ed essere insufficiente ad evitare una corsa agli sportelli. È quindi necessario aggiungere, alle garanzie nazionali, un’assicurazione europea. «Europea» in questo caso significa tedesca, l’unico grande Paese dell’unione che ha mantenuto intatta la fiducia dei risparmiatori e dei mercati. Ma per convincere la Germania a correre questo rischio è necessario che la vigilanza sulle banche divenga essa pure europea. Il fiasco della Spagna, che troppo a lungo ha negato che molte sue banche fossero sostanzialmente fallite, rende il trasferimento della vigilanza alla Bce non più procrastinabile. Ma l’opposizione alla vigilanza europea è forte perché riduce il controllo che i governi oggi esercitano (nel bene e nel male) sul sistema finanziario. Queste gelosie nazionali non sono più accettabili. Evitare una corsa alle banche allontana il rischio di una disgregazione immediata, ma non è certo sufficiente. L’euro non si salva se l’Europa non riprende a crescere. Per farlo, dobbiamo cominciare con l’ammettere che il nostro modello sociale non è più sostenibile. Non si può crescere con livelli di spesa pubblica (e quindi di tassazione) che superano la metà del reddito nazionale. Non possiamo più permetterci (come invece potevamo negli anni Sessanta, quando questo modello fu disegnato) di fornire sevizi gratuiti o quasi a tutti i cittadini, praticamente senza distinzione di reddito.
Non possiamo più permetterci di lavorare in pochi per sostenere i tanti che non partecipano alla forza lavoro (ad esempio c’è un divario di oltre 10 punti fra il tasso di partecipazione negli Usa e in Italia). Di fronte a questa realtà di portata epocale, l’idea che per far crescere l’Europa servano più infrastrutture fisiche è sinceramente risibile. La scarsità di strade, treni e aeroporti non è il primo problema dell’Europa. I nostri politici parlano di infrastrutture perché è un modo per non parlare dei veri problemi: il peso dello Stato sull’economia, le difficili riforme del mercato del lavoro e dei servizi. È venuto il momento che i leader europei si chiedano se davvero vogliono salvare l’euro. Se lo vogliono, è giunta l’ora che facciano qualcosa, ma, per favore, non ferrovie e autostrade.

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