domenica 27 maggio 2012

LA MAGISTRATURA COME MEZZO


Non credo che Ernesto Galli della Loggia possa essere accusato da qualcuno di essere un nemico delle Istituzioni, un berlusconiano livoroso e per questo nemico dei magistrati e in special modo delle procure.
Quindi, quando dedica un editoriale del Corriere della Sera, nella giornata di domenica , cioè quella di maggiore diffusione del quotidiano, per attaccare con forza un certo andazzo carrieristico di quella , ahinoi crescente,  parte dei componenti di uno dei tre poteri dello Stato, quello giudiziario, bé si può sospettare che la misura sia colma.
Secondo me qui si tratta di capire se determinate persone scelgano di diventare magistrati perché veramente si vogliono occupare del delicatissimo compito della verifica della corretta applicazione delle leggi, con la comminazione di sanzioni in caso contrario, oppure perché pensano che questo sia un buon  mezzo per arrivare a fare ALTRO. Questo "altro" potrebbe essere il contributo all'edificazione di uno stato "etico",  di un "homo novus"...una brutta cosa diciamolo. Oppure, più individualmente, il modo di fare carriera, e passare dalle aule processuali a incarichi direttivi del Ministero di Giustizia, al CSM, o , sono ormai in tanti, in Parlamento.
Io sono sempre felice quando i magistrati finiscono a Piazza Montecitorio: è incommensurabile il MINOR danno che potranno fare da semplici peones, chiamati a spingere i bottoni del voto secondo le istruzioni delle segreterie , invece che poter sentenziare sulla vita delle persone. E pertanto sono qui che mi auguri che presto Spataro, Ingroia, Di Francesco, Woodcook e molti altri rompano nel 2013 gli indugi e si presentino e vengano ELETTI! Ne guadagneremo TUTTI.
Ovviamente ci sono tanti altri magistrati che invece amano il diritto, e pensano solo a fare con serietà e scrupolo il loro lavoro. Io di giudici così ne ho visti fin da quando avevo i calzoni corti, e so che ci sono ancora.
Sono quelli che non finiscono sui giornali, quelli che non si litigano la competenza di un CASO, e che se il clamore di un processo li espone all'esposizione mediatica, ne sono insofferenti.
Gente seria. Ce n'è.
Ovviamente non ne fanno parte quelli di cui scrive il professore del Corsera
Buona Lettura


CASO BRINDISI E PROCURE DIVISE
Una dannosa concorrenza
«Strage semplice» o «strage a scopo terroristico»? Procura della Repubblica di Brindisi o Direzione distrettuale antimafia (e antiterrorismo) di Lecce? E dunque a dirigere le indagini quale dei due magistrati responsabili dei due organismi, Marco Dinapoli o Cataldo Motta? Per 48 ore le cronache sull'attentato di cui è rimasta vittima la povera Melissa Bassi hanno ruotato intorno a questa disputa tra le suddette sedi giudiziarie pugliesi, risoltasi alla fine solo per l'intervento deciso del ministro Severino. Una disputa che ha reso evidente a tutto il Paese alcuni dei mali gravi di cui soffre l'apparato giudiziario italiano.
Innanzi tutto un'estrema, talora parossistica, tendenza alla personalizzazione, che prende la forma della corsa dei singoli magistrati ad accaparrarsi l'inchiesta che «conta». La quale, poi, è sempre e soltanto una: e cioè quella che più colpisce l'opinione pubblica, vale a dire che riguarda clamorosi fatti di sangue o personaggi importanti, e/o ha addentellati con la politica; e di cui perciò si occupano con il massimo risalto giornali e tv. La grande maggioranza dei magistrati italiani, ma come è ovvio in modo specialissimo quelli delle procure, non sembrano quasi mai capaci di resistere alla tentazione della «visibilità», ne sono avidi, la cercano in ogni modo. Più di una volta, ahimè, subordinando ad essa i propri atti istruttori, a cominciare dai provvedimenti di custodia cautelare, vale a dire l'ordine di arresto e di detenzione in carcere a carico dei cittadini.
La visibilità significa principalmente visibilità per la propria inchiesta: da alimentare per esempio anche con l'accorta somministrazione alla stampa di verbali di intercettazioni telefoniche. Somministrazione che sarebbe vietata dalla legge, naturalmente, in quanto quei verbali, come si sa, sono coperti dal segreto istruttorio, ma della quale mai, in anni e anni, a mia conoscenza alcuna procura della Repubblica si è preoccupata di individuare e tanto meno di punire i responsabili ( una eccezione c'è, e ovviamente è stata fatta per Silvio Berlusconi, l'unico italiano indagato per aver violato il segreto istruttorio !! LUI, l'uomo più intercettato e sputtanato d'Italia.  n.d.C.). 

La visibilità peraltro non serve solo a soddisfare una più o meno ingenua vanità personale. Per chi viene a goderne, essa, infatti, ha conseguenze ben più importanti e concrete. Serve molto, infatti, al proprio futuro professionale e no. È utile, ad esempio, per costruirsi una posizione di forza in occasione delle assegnazioni di sedi e di incarichi da parte del Consiglio superiore della magistratura. Per essere appoggiato in tali richieste dai propri colleghi di «corrente»; per mettere il Csm stesso nella condizione di «non poter dire di no» alla richiesta del «celebre» procuratore, del noto castigamatti del potere, del famoso inquirente che ha dimostrato di non guardare in faccia a nessuno. Ma non solo. La visibilità è utilissima per fare il salto, da molti ambito, fuori dalla carriera: per essere corteggiati dai giornali e dagli editori, per essere invitati ai talk show , a festival e convegni d'ogni tipo. E va da sé per entrare in politica.
La quale politica può essere quella vera e propria che si fa in Parlamento o alla testa di un Comune, ovvero quella diversa ma egualmente importante che si fa negli innumerevoli gabinetti ministeriali, in enti e organismi dalle denominazioni più impensate, ricoprendo incarichi per solito assai ben remunerati (tutti posti assegnati per l'appunto dalla politica): in cambio di nulla? Infine essendo eletti dai propri colleghi nel Csm di cui sopra.
Curiosamente, infatti, nessuna corporazione come quella dei magistrati a parole rifiuta con tenacia ogni rapporto con la politica, proclama a ogni piè sospinto la necessaria lontananza, che dico estraneità, da essa, ma al tempo stesso quasi nessun'altra come quella annovera tanti membri ansiosi, ansiosissimi, di avervi a che fare in un modo o nell'altro.
Le polemiche tra i magistrati pugliesi di questi giorni - comprese le conseguenze negative che esse potrebbero avere avuto sulle indagini (vedi la divulgazione delle immagini televisive del supposto colpevole) sono solo l'ultimo capitolo di questa patologia personalistica del sistema giudiziario italiano. Nei cui confronti la classe politica e di governo nasconde la testa sotto la sabbia e non fa niente, nell'evidente paura di dispiacere alle toghe: in parte nella speranza che i propri avversari incappino prima o poi in qualche inchiesta della magistratura; in altra terrorizzata dall'idea che i suoi molti scheletri nell'armadio vengano prima o poi tirati fuori da qualche procura. Mentre ai comuni cittadini - che non hanno né avversari né scheletri nascosti - si continua ancora a chiedere, come se nulla fosse, di votare comunque per coloro che da decenni, anche in questo campo, lasciano andare le cose come vanno.

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