martedì 29 maggio 2012

NAPOLITANO COMMEMORA LE VITTIME DI PORZUS, CRIMINE DI GUERRA DI CERTI PARTIGIANI...

Io il film Porzus, con un Gastone Moschin eccezionale e il bel tenebroso Lorenzo Crespi, la coraggiosa regia di Renzo Martinelli, lo vidi nel 1997 e ne rimasi turbato. Il massacro di un gruppo partigiano "bianco" da parte dei rossi ben più preoccupati di preparare la rivoluzione e a favorire il sorgere del "sol dell'avvenire", con l'Italia ricompresa nell'area di influenza sovietica fu una delle tante orribili pagine "a latere" della "gloriosa" storia partigiana.Grazie a coraggiosi "revisionisti", quella storia è stata un pochino corretta e  il Presidente Napolitano oggi può commemorare le vittime innocenti di quell'episodio, biasimandone gli autori , meglio direi, assassini, ricordando il loro "sacrificio per la libertà del Friuli e dell'Italia intera".
Buona Lettura



LA VISITA DEL CAPO DELLO STATO A PORZÛS
Il crollo dell'ultimo muro della memoria

È davvero il caso di dire che domani, con la visita del presidente Giorgio Napolitano a Faedis, in provincia di Udine, crolla per il nostro Paese l'ultimo muro della memoria, almeno in relazione ai fatti legati alla Seconda guerra mondiale e alla Resistenza. Fu infatti nei pressi di quel luogo, alle malghe di Porzûs, che nel febbraio 1945 un centinaio di partigiani comunisti uccise una ventina di partigiani di orientamento diverso, cattolico e azionista, appartenenti alle formazioni Osoppo. Si trattò del più grave scontro interno alla Resistenza italiana, destinato da allora in poi ad alimentare infinite polemiche. Ancora negli anni 90 il regista Renzo Martinelli, dopo il rifiuto di molti sindaci della zona a concedergli i necessari permessi, fu costretto a girare in Abruzzo il suo film «Porzûs». La stessa storiografia ha spesso evitato di ricostruire la dinamica e le cause dell'eccidio: nel libro «Una guerra civile», l'opera assai nota che Claudio Pavone dedicò alla Resistenza venti anni fa, ci si limitava a un cenno, del tutto eccentrico, in nota. La ragione principale, quella che agli occhi di molti ha reso l'eccidio di Porzûs un vero e proprio tabù storiografico, ha a che fare con la difficoltà o l'imbarazzo di riconoscere che, sul confine orientale, la politica del Pci aveva sostanzialmente accettato la strategia di Tito che puntava ad annettere il territorio italiano fino all'Isonzo. Non a caso in quella zona le formazioni garibaldine, cioè comuniste, erano passate alle dipendenze dell'esercito di liberazione sloveno. E i comunisti giuliani non solo erano usciti dal Cln di Trieste ma avevano scatenato contro quest'ultimo, cioè contro gli antifascisti non comunisti, una violenta campagna diffamatoria (ad esempio accusandone i componenti di «collaborazionismo») in accordo con il Partito comunista sloveno.
Come ha di recente scritto uno storico, Raoul Pupo (nel volume «Porzûs», a cura di T. Piffer, Il Mulino), nel Friuli e nella Venezia Giulia «accadde quel che successe non nel resto d'Italia, ma nel resto della Jugoslavia»: vale a dire che quegli italiani che, come i partigiani della Osoppo, combattevano i tedeschi ma cercavano anche di difendere l'integrità territoriale del loro Paese vennero considerati da Tito come un ostacolo per i propri obiettivi, dunque come «nemici del popolo» da eliminare. L'eccidio di Porzûs non fu dunque il frutto di una generica rivalità tra formazioni diverse, ma si legava appunto alla logica terribile di uno scontro tra quanti accettavano la strategia jugoslava volta al controllo della Venezia Giulia e del Friuli orientale e quanti vi si opponevano. Tra questi ultimi vi furono anche dei militanti comunisti i quali non accettavano che, nella lotta partigiana, la difesa dell'integrità nazionale italiana dovesse essere sacrificata alla solidarietà ideologica con gli jugoslavi.
Ancora oggi, soprattutto a livello locale, c'è chi non riesce a inquadrare nel suo vero contesto la matrice dell'eccidio di Porzûs, restando abbarbicato a una memoria conservatrice e nostalgica, troppo spesso caratteristica di un Paese che fatica a lasciarsi alle spalle i conflitti del passato. Ma certamente le cose sono molto cambiate rispetto a qualche tempo fa: nel 2001, ad esempio, l'ex commissario politico garibaldino Giovanni Padoan, incontrandosi con il cappellano delle formazioni Osoppo, don Redento Bello, definì l'eccidio «un crimine di guerra che esclude ogni giustificazione». La visita del presidente Napolitano, che scoprirà una lapide in ricordo delle vittime di Porzûs e del loro «sacrificio per la libertà del Friuli e dell'Italia intera», sta a significare come anche quell'episodio tragico faccia ormai parte pienamente della memoria dell'Italia democratica.
Giovanni Belardelli

 


1 commento:

  1. Mia madre, che di politica non sapeva nulla , mi raccontava spesso di rese dei conti, di famiglie sparite nel nulla e le loro case passate di mano, di atroci vendette per motivi di denaro, o di corna, o per motivi addirittura più futili. a volte certa Storia va riscritta, sì. l'importante è riuscire a fermarsi in tempo. Cert'altro revisionismo è molto pericoloso.

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