Buona Lettura
LA VISITA DEL CAPO DELLO STATO A PORZÛS
Il crollo
dell'ultimo muro della memoria
È davvero il caso di dire che domani,
con la visita del presidente Giorgio Napolitano a Faedis, in provincia di
Udine, crolla per il nostro Paese l'ultimo muro della memoria, almeno in
relazione ai fatti legati alla Seconda guerra mondiale e alla Resistenza. Fu
infatti nei pressi di quel luogo, alle malghe di Porzûs, che nel febbraio 1945
un centinaio di partigiani comunisti uccise una ventina di partigiani di
orientamento diverso, cattolico e azionista, appartenenti alle formazioni
Osoppo. Si trattò del più grave scontro interno alla Resistenza italiana,
destinato da allora in poi ad alimentare infinite polemiche. Ancora negli anni
90 il regista Renzo Martinelli, dopo il rifiuto di molti sindaci della zona a
concedergli i necessari permessi, fu costretto a girare in Abruzzo il suo film
«Porzûs». La stessa storiografia ha spesso evitato di ricostruire la dinamica e
le cause dell'eccidio: nel libro «Una guerra civile», l'opera assai nota che
Claudio Pavone dedicò alla Resistenza venti anni fa, ci si limitava a un cenno,
del tutto eccentrico, in nota. La ragione principale, quella che agli occhi di
molti ha reso l'eccidio di Porzûs un vero e proprio tabù storiografico, ha a
che fare con la difficoltà o l'imbarazzo di riconoscere che, sul confine
orientale, la politica del Pci aveva sostanzialmente accettato la strategia di
Tito che puntava ad annettere il territorio italiano fino all'Isonzo. Non a
caso in quella zona le formazioni garibaldine, cioè comuniste, erano passate
alle dipendenze dell'esercito di liberazione sloveno. E i comunisti giuliani
non solo erano usciti dal Cln di Trieste ma avevano scatenato contro
quest'ultimo, cioè contro gli antifascisti non comunisti, una violenta campagna
diffamatoria (ad esempio accusandone i componenti di «collaborazionismo») in
accordo con il Partito comunista sloveno.
Come ha di recente scritto uno storico,
Raoul Pupo (nel volume «Porzûs», a cura di T. Piffer, Il Mulino), nel Friuli e
nella Venezia Giulia «accadde quel che successe non nel resto d'Italia, ma nel
resto della Jugoslavia»: vale a dire che quegli italiani che, come i partigiani
della Osoppo, combattevano i tedeschi ma cercavano anche di difendere
l'integrità territoriale del loro Paese vennero considerati da Tito come un
ostacolo per i propri obiettivi, dunque come «nemici del popolo» da eliminare.
L'eccidio di Porzûs non fu dunque il frutto di una generica rivalità tra
formazioni diverse, ma si legava appunto alla logica terribile di uno scontro
tra quanti accettavano la strategia jugoslava volta al controllo della Venezia
Giulia e del Friuli orientale e quanti vi si opponevano. Tra questi ultimi vi
furono anche dei militanti comunisti i quali non accettavano che, nella lotta
partigiana, la difesa dell'integrità nazionale italiana dovesse essere
sacrificata alla solidarietà ideologica con gli jugoslavi.
Ancora oggi, soprattutto a livello
locale, c'è chi non riesce a inquadrare nel suo vero contesto la matrice
dell'eccidio di Porzûs, restando abbarbicato a una memoria conservatrice e
nostalgica, troppo spesso caratteristica di un Paese che fatica a lasciarsi
alle spalle i conflitti del passato. Ma certamente le cose sono molto cambiate
rispetto a qualche tempo fa: nel 2001, ad esempio, l'ex commissario politico
garibaldino Giovanni Padoan, incontrandosi con il cappellano delle formazioni
Osoppo, don Redento Bello, definì l'eccidio «un crimine di guerra che esclude
ogni giustificazione». La visita del presidente Napolitano, che scoprirà una
lapide in ricordo delle vittime di Porzûs e del loro «sacrificio per la libertà
del Friuli e dell'Italia intera», sta a significare come anche quell'episodio
tragico faccia ormai parte pienamente della memoria dell'Italia democratica.
Giovanni Belardelli
Mia madre, che di politica non sapeva nulla , mi raccontava spesso di rese dei conti, di famiglie sparite nel nulla e le loro case passate di mano, di atroci vendette per motivi di denaro, o di corna, o per motivi addirittura più futili. a volte certa Storia va riscritta, sì. l'importante è riuscire a fermarsi in tempo. Cert'altro revisionismo è molto pericoloso.
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