Non solo, nelle grandi città che hanno di recente votato per il Sindaco, in nessuna vi è un uomo del PD: a Milano Pisapia (Sel), A Napoli De Magistris (maronna do carmine !!! IDV), a Palermo Orlando (peggio che andar di notte), a Genova Doria (ancora Sel), a Parma Pizzarotti (Grillo), a Verona Tosi, salvatosi per essersi smarcato per tempo dai Bossiani e apprezzato dalla sua città.
Infine, rispetto alle amministrative precedenti, negli stessi comuni, il PD perde decine di migliaia di voti.
Insomma, della vittoria "senza se e senza ma" gridata dalla propaganda Bersaniana, c'è poco. Più realistico il commento di chi osserva che è il centro destra a PERDERE, più che la sinistra a vincere.
Però in politica va bene lo stesso, per carità, perché alla fine in quasi tutte le città in cui si è votato, sarà il centro sinistra a governare, e magari se lo farà bene la prossima volta saranno confermati da più cittadini (oggi il 50% sono restati a CASA).
Parma può essere un po' un esempio di quello che potrebbe accadere: al primo turno c'erano 20 punti di differenza tra il candidato del PD e quello del M 5stelle. 20! Bene, al secondo turno, il primo non ha preso nemmeno un voto in più, il secondo il 30%, vincendo. Tutti d'accordo che siano stati i voti del centro destra, sparsi nel primo turno su tre candidati, a concentrarsi per il candidato NON di sinistra.
E questo in una città dove la giunta uscente aveva fatto tutto il peggio che poteva!!!!
Questo per dire che non hanno torto, a mio avviso, quelli che ricordano che l'Italia non ha mai espresso una maggioranza di sinistra a livello politico nazionale. Quella "radicale" non supera MAI il 10% (come del resto in Francia o in Germania ) e l'altra, se si presentasse per la sua vera natura socialista , non andrebbe oltre il 20 (esattamente i voti dei DS ai tempi dell'Ulivo). In tutto, fa il 30%. Berlinguer, quando fece il PIENO, toccò il 35%. MAI oltre quello.
Un italiano su tre. Un uomo intelligente e spiritoso come Edmondo Berselli scrisse come prefazione di un suo libro "Dio, ma se l'Italia è un paese di destra, perché mi hai fatto nascere di sinistra?".
Chiaro che si trattasse di una battuta (Berselli resterà fino alla fine un intelligente uomo di sinistra, ma moderno e VERAMENTE progressista), e poi l'Italia NON è di destra, in realtà è di CENTRO, con prevalenza alla conservazione e al moderatismo.
Siccome questo è, solo l'attuale disaffezione dell'elettorato del PDL e della Lega, comprensibilmente deluso, nonchè il cerchiobottismo dell'UDC, consentono le vittorie "in discesa" della sinistra.
Nel 1994 bastò la scesa in campo di una persona "nuova" e, a suo modo, carismatica, per consentire il rassemblement delle forze moderate e sconfiggere la "gioiosa macchina da guerra" di Occhetto (che da allora poveraccio non si è più ripreso. Oggi un Berlusconi non c'è, ma quell'elettorato sì.
Non deve rassegnarsi né disperdersi, e vincerà ancora.
Questo l'intervento di Panebianco sul tema
PDL IN CRISI, NON BASTA UN MAQUILLAGE
La dissolvenza di un partito
Una delle poche certezze che si hanno sul futuro è che
l'area politica denominata «centrodestra», per un ventennio tenuta insieme
dalla leadership di Silvio Berlusconi, dopo le prossime elezioni, sarà assai
diversa da come è oggi. L'agonia era già cominciata da tempo.
La pesantissima sconfitta del Pdl in questa
tornata amministrativa ha assestato il colpo definitivo. Questo significa, come
qualcuno ha incautamente affermato, che conosciamo già i nomi dei vincitori
delle prossime elezioni politiche, che il centrosinistra le vincerà facilmente
grazie all'assenza di un avversario credibile? Non è detto. Tutto dipende da
quale sarà l'esito della crisi del centrodestra: la disgregazione, con tutti i
topi che, in preda al panico, saltano dalla barca prima che affondi, o una
radicale ristrutturazione?
Poiché la natura umana è quella che è, è probabile che ci siano ancora dirigenti del Pdl che sperano di cavarsela con un po' di maquillage : mettere una pezza qui e una pezza là, inventare qualche nuova parola d'ordine, disegnare contenitori nuovi che servano a tutelare l'esistente, eccetera. Ma quei dirigenti, se ci sono, si illudono. Non c'è verso di salvare il centrodestra se non passando per un doloroso travaglio da cui emergano un nuovo assetto organizzativo e una nuova leadership .
Poiché la natura umana è quella che è, è probabile che ci siano ancora dirigenti del Pdl che sperano di cavarsela con un po' di maquillage : mettere una pezza qui e una pezza là, inventare qualche nuova parola d'ordine, disegnare contenitori nuovi che servano a tutelare l'esistente, eccetera. Ma quei dirigenti, se ci sono, si illudono. Non c'è verso di salvare il centrodestra se non passando per un doloroso travaglio da cui emergano un nuovo assetto organizzativo e una nuova leadership .
Però queste cose non basta volerle. Occorrono anche le circostanze che le favoriscano. E le circostanze, a volte, possono essere create. Ci sono molte ragioni per volere una buona riforma del sistema elettorale. Il centrodestra ne ha una in più, e che lo riguarda direttamente. Le riforme elettorali, infatti, costringono a ridefinire l'offerta politica, obbligano i partiti a rinnovarsi. Che è esattamente l'esigenza del centrodestra.
Per un po' di tempo, il Pdl si era illuso di potersi salvare con una riforma elettorale proporzionale. Nella convinzione che con la proporzionale, ancorché elettoralmente ridimensionato, sarebbe rimasto comunque in gioco. Il ragionamento non era sbagliato in astratto, ma sottovalutava la gravità della crisi che attanaglia quel partito. Forse anche per questo alcuni fra i più lungimiranti dirigenti del Pdl hanno cominciato a capire che un sistema maggioritario a doppio turno potrebbe tornare utile al centrodestra. Sarebbe una riforma sufficientemente radicale da obbligare a un profondo rinnovamento. In più, per sua natura, il doppio turno favorisce le aggregazioni e le alleanze e punisce chi va da solo. E non c'è dubbio che se c'è un'area che ha bisogno di nuove aggregazioni e alleanze questa è proprio l'area del centrodestra.
L'altra settimana Pier Ferdinando Casini, rispondendo a una mia sollecitazione, e a conferma della sua intelligenza politica, ha fatto su questo giornale una prudente apertura sul doppio turno. Casini ha capito che il futuro del gruppo che egli rappresenta ha bisogno di cambiamenti nel centrodestra e si prepara per essere presente all'appuntamento. E, naturalmente, sul doppio turno, da sempre suo cavallo di battaglia, il Pd non potrebbe che concordare. Prima si farà quella riforma e prima inizieranno i lavori di ristrutturazione dei diversi edifici politici.
Contrariamente a ciò che pensavano fino a qualche tempo fa i dirigenti del Pdl, non è il doppio turno a lasciare a casa gli elettori di centrodestra. A lasciarli a casa è solo lo scarso appeal dell'offerta politica.
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