Una è rappresentata da convinti federalisti europei, tra cui l'eccellente Emma Bonino (e gli assai meno grandi Giuliano Amato, Barbara Spinelli, Guido Rossi...maronna do carmine....), l'altra da Angelo Panebianco, che mette in guardia dalla radicata convinzione nazionalista presente in stati importanti dell'Unione, in primis la Francia, ma non solo, e che bisogna inventare qualcosa di nuovo per ridurre la distanza oggi fortemente esistente tra l'Unione e i cittadini europei.
Buona Lettura
Caro Direttore ( LA LETTERA è INDIRIZZATA AL DIRETTORE DEL cORSERA )
Abbiamo letto con interesse il Suo editoriale (di domenica 3
giugno sulla “moneta di tutti (e di nessuno)”. Abbiamo preso anche nota del
giudizio di Angelo Panebianco nell'editoriale del 4 giugno sulla “distanza
insostenibile” che esisterebbe fra élite europeiste e una parte consistente dei
cittadini comuni.
Come Lei sa, alcuni di noi fanno parte di coloro che in
tempi e con responsabilità diversi hanno partecipato alla battaglia federalista
che è stata rappresentata in Italia soprattutto dall’azione e dal pensiero di
Altiero Spinelli. Nonostante la crisi o meglio a causa della crisi non abbiamo
rinunciato a questa battaglia, non condividendo né l’opinione ancora
minoritaria di chi crede nelle capacità taumaturgiche del ritorno alle
apparenti sovranità nazionali né la “variante ingenua dell’ideologia del
Progresso” – come la definisce Angelo Panebianco – che pervade chi crede
l’Europa reale e viva perché razionale e logicamente indispensabile.
Come Lei sa, non abbiamo taciuto in questi mesi e abbiamo
anzi cercato di compensare il silenzio – sì ! - assordante delle classi di
governo nazionali su questioni che toccano i nervi scoperti dei cittadini.
Questioni che riguardano la sostenibilità sociale, ambientale, culturale,
democratica di politiche limitate al solo rigore finanziario e concepite,
elaborate e adottate dall’insieme dei governi nazionali negli ultimi quindici
mesi. L’appello pubblicato dal Suo quotidiano il 10 marzo scorso, firmato da
sostenitori tedeschi e italiani della causa federalista, fa parte del nostro
impegno nel compensare le assenze governative, così come la successiva
dichiarazione del 9 maggio che ha coinvolto anche federalisti francesi,
spagnoli, portoghesi, greci, bulgari, polacchi e belgi. Prendiamo ora atto con
moderata soddisfazione che alcune delle nostre proposte potrebbero essere
innestate nei piani più o meno segreti, più o meno innovativi di cui si
discuterebbe ora nelle cancellerie nazionali. Prendiamo anche atto
dell’interesse che il Suo giornale, pur dando libero spazio ad opinioni
diametralmente opposte, manifesta verso una corrente di pensiero e di azione –
il federalismo europeo – del tutto sottostimata dai media italiani per decenni.
È come se la stampa si accorgesse solo ora che esiste l'Europa ! Quando le cose
andavano apparentemente bene non un rigo veniva dedicato agli sforzi di coloro
che volevano una maggiore integrazione o che avvertivano i rischi della
disintegrazione. Non solo, ma ogni iniziativa non ispirata alla Real Politik
veniva o ignorata o considerata mera utopia. Solo adesso si comincia a capire
che decisioni come il fiscal compact o il pareggio di bilancio non possono
essere accolte senza essere accompagnate da un piano di sviluppo equilibrato e
da cessioni di sovranità, che l'uno e le altre esigono un coinvolgimento pieno
della pubblica opinione e che solo la consapevolezza di partecipare a una
sovranità condivisa può superare il deficit democratico europeo.
Non tutto edifica nei tentativi di salvare la casa europea.
Non siamo ad esempio convinti che possa rappresentare una strada più
coinvolgente per mass media e opinioni pubbliche l'idea di affiancare al
Parlamento europeo, dato per fallito, un'assemblea indirettamente eletta
dell’eurozona, senza poteri di controllo, legislativi e di bilancio e senza
avere di fronte a sé un governo europeo. Non condividiamo nemmeno il giudizio
sbrigativamente liquidatorio sul Parlamento europeo, un'assemblea direttamente
eletta che - pur indebolita dall'assenza di una vera agorà politica europea - è
protagonista di battaglie significative per la difesa dei diritti della persona
umana e dove l'azione di innovatori provenienti dalle file socialiste, verdi,
radicali e liberali ha saputo contrastare l'immobilismo di vecchi e nuovi
conservatori.
Le opinioni pubbliche esprimono in periodici sondaggi un
alto livello di sfiducia nelle istituzioni nazionali e, un seppur debole livello
di fiducia nelle istituzioni europee e in 34 referendum nazionali sull’Europa,
da quello promosso da Harold Wilson nel 1974 all’ultimo irlandese sul fiscal
compact, hanno risposto cinque volte no e ventinove volte sì.
Noi non sottovalutiamo le tendenze nazionaliste ed i
populismi di destra e di sinistra che le nutrono e se ne nutrono, ma stiamo
agendo per contribuire a superare il gap di fiducia che gli errori delle classi
di governo hanno permesso che si spalancasse, trovando in questa nostra azione
un numero crescente di compagni e compagne di azione.
Ci consenta due ultime considerazioni, una che riguarda la
buona politica ed una che riguarda la cittadinanza attiva. La buona politica
agisce per conquistare un potere e per usarlo nell’interesse dei cittadini: ci
troviamo oggi di fronte al paradosso di partiti che si battono per conquistare
poteri oramai impotenti a livello nazionale e che non hanno ancora preso
coscienza del fatto che la loro sopravvivenza è legata alla creazione di un
potere (europeo) che ancora non c’è e alla cui costruzione bisogna finalmente
accingersi.
La cittadinanza attiva (europea) può compensare il silenzio
assordante delle classi di governo nazionali. Noi riteniamo essenziale la
mobilitazione dell'opinione pubblica europea e speriamo per questa ragione che
milioni di cittadini europei usino rapidamente il grimaldello dell’iniziativa
legislativa che è stata concessa loro dal trattato di Lisbona, per scardinare
l’asfittico sistema istituzionale europeo ed esigere la sostenibilità sociale,
ambientale, culturale e democratica delle politiche europee. Noi speriamo che
da questa mobilitazione possa scaturire una forte spinta popolare per
promuovere il riconoscimento di un potere costituente al Parlamento europeo in
occasione delle elezioni europee della primavera 2014.
Giuliano Amato,Emma Bonino,Rocco Cangelosi,Pier Virgilio Dastoli,Monica Frassoni,Sandro Gozi,Alberto Majocchi, Giacomo Marramao, Luisa Passerini, Guido Rossi, Barbara Spinelli
La tentazione nazionalista
I PERICOLI DELL'UNIONE EUROPEA
di Angelo Panebianco
A grandi pericoli corrispondono grandi opportunità. Proprio
perché la costruzione europea è oggi a rischio di distruzione esiste anche
l'opportunità di darle nuovo slancio. Ha ragione l'ex cancelliere tedesco
Helmut Kohl: la questione dell'Europa coincide con la questione della pace.
Persino in un'epoca che si fa beffe della memoria storica si deve sapere che la
storia d'Europa è una storia di guerre. Continuare a lavorare nel cantiere
europeo, impedire che venga smantellato, serve soprattutto alla pace.
Per discuterne utilmente bisogna però rimuovere alcuni
ostacoli: pregiudizi, modi sedimentati di guardare la realtà, che la deformano.
Alcuni anni fa, una studiosa di cose europee, Vivien Schmidt, scrisse che il
funzionamento dell'Unione è stato a lungo un caso di policy without politics ,
di politiche pubbliche senza politica. L'Unione macinava quotidianamente
«politiche» (agricola, commerciale, monetaria, eccetera) ma la «politica» -
intesa come conflitto e competizione aperta fra visioni differenti - era
esclusa dall'ambito europeo, restava relegata negli ambiti nazionali.
Oggi, con la crisi dell'euro, le cose sono cambiate: la
«politica» è entrata nelle felpate stanze dell'Unione. Ma un lungo periodo di
policy without politics ha lasciato una impronta. Una eredità negativa è il
carattere tradizionalmente stereotipato, ripetitivo, del dibattito pubblico
sull'Europa. Un dibattito nel quale, a lungo, c'è stato spazio solo per due
posizioni: l'europeismo acritico e l'antieuropeismo. O si era europeisti, e si
accettavano supinamente, senza discutere, istituzioni, procedure e politiche
generate dall'Unione, o si era antieuropeisti, nostalgici delle sovranità
nazionali. Chiunque fosse convinto del valore della casa comune europea ma
esprimesse dubbi su questo o quell'aspetto dell'integrazione, o della filosofia
che la giustifica, si vedeva additato come antieuropeista. Ciò ha strozzato il
dibattito, ha fatto male all'Europa. Gli antieuropeisti ci sono ma ci sono
anche, per parafrasare Romano Prodi, gli «europeisti adulti», refrattari alle
ortodossie e ai catechismi. Se si vuole salvare l'Europa se ne deve parlare
senza tabù, liberamente.
In un precedente articolo (Corriere , 4 giugno), ho scritto
della distanza che separa le élite europeiste tradizionali dai cittadini
comuni. Un effetto di tale distanza è che, spesso, queste élite tendono a
imputare solo alle «classi politiche nazionali» le resistenze che impediscono
una piena integrazione politica. Senza avvedersi di quanto forte sia sempre
stata, su questo punto, la tacita solidarietà fra classi politiche nazionali e
cittadini.
Prendiamo il tema tabù per eccellenza: il nazionalismo. Per
la concezione dell'Europa che chiamo «ortodossa» è impensabile che il
nazionalismo (l'identificazione in quella «comunità immaginaria» che è la
propria nazione) possa tuttora essere più forte della identificazione
nell'Europa. Quando si ammette l'esistenza del nazionalismo (si veda l'articolo
di Giuliano Amato, Emma Bonino e altri, «La spinta necessaria a un'Europa
politica», Corriere , 6 giugno, che rappresenta al meglio la posizione
ortodossa) lo si associa al «populismo». Come se, ad esempio, il nazionalismo
in Francia riguardasse solo gli elettori lepenisti. Non è così. Non solo in
Francia il nazionalismo è vivo e vegeto e ha fino a ora impedito ai suoi
governi di sottoscrivere proposte di rafforzamento dell'Europa politica ma è
vitale anche in molti altri Paesi.
Non sono nazionalisti solo gli antieuropeisti dichiarati. Lo
sono anche i governi, sostenuti dai rispettivi elettori, che non rinunciano ai
vantaggi dell'Unione ma vogliono piegarla ai propri interessi nazionali. Sembra
di tal fatta anche la recente proposta di Angela Merkel di una maggiore
integrazione politica: il progetto di una «piccola Europa», che escluda i Paesi
«non in ordine» secondo i criteri tedeschi. Non, si badi, un'Europa a
leadership tedesca (che nessuno potrebbe sensatamente rifiutare) ma dominata
dai tedeschi. Non si può più ignorare il peso del nazionalismo, bisogna farci i
conti per impedire che distrugga l'Unione.
Allo stesso modo, senza preconcetti, bisogna interrogarsi
sugli ostacoli che hanno fin qui impedito di accrescere la rappresentatività
delle istituzioni europee. Nessuno sa come potrebbe funzionare una democrazia
sovranazionale multilinguistica di dimensioni continentali (la storia degli
Stati Uniti d'America è assai diversa dalla nostra). E nessuno sa come
convincere gli elettori a non rimanere abbarbicati alla democrazia nazionale.
C'è un rapporto fra la distanza dell'elettore dall'arena rappresentativa per la
quale vota e la sua sensazione di poter controllare i rappresentanti. Anche se,
con l'integrazione, i governi e i parlamenti nazionali hanno perso il controllo
su tante aree decisionali, molti elettori mantengono l'idea, o l'illusione, che
sia più facile per loro condizionarli.
Nell'intervento sopra citato, Amato, Bonino e gli altri
firmatari criticano la mia affermazione secondo cui il Parlamento europeo ha
fallito il suo scopo principale. Lo ribadisco: quella istituzione ha ben poco a
che fare con la «sovranità popolare». Gli elettori che votano alle elezioni
europee lo fanno più per lanciare messaggi ai partiti dei propri Paesi che per
concorrere a formare un'inesistente «volontà popolare europea». Per questo mi è
parsa una buona idea la proposta dell'ex ministro tedesco Joschka Fischer di
creare una Camera bassa, limitata all'eurozona, ove siano rappresentate sia le
maggioranze che le opposizioni di ciascun Paese. Per calamitare l'attenzione
dell'opinione pubblica sulle alleanze che vi si stipulano e le decisioni che vi
si prendono. Non ci serva la riproposizione di formule stantie. Servono nuove
idee, e la ricerca di intelligenti alternative, per impedire che il cantiere
comune europeo venga smantellato."
Francamente, personalmente, pur condividendo molte cose di entrambi gli scritti, mi sento più vicino alle posizioni del professore Panebianco. Peraltro, sono evidenti anche importanti punti comuni, e una buona sintesi la ritengo possibile (magari eliminando prima dal tavolo qualcuno dei firmatari della lettera...)
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