martedì 12 giugno 2012

CONFRONTO TRA ORTODOSSIA EUROPEA E EUROPEISTI "ADULTI"

In merito alla querelle europea, a cui tanti post ho dedicato, tra cui quello odierno http://ultimocamerlengo.blogspot.it/2012/06/europa-poche-idee-in-compenso-confuse.html , ritengo di fare cosa utile riportando due posizioni non contrapposte ma significativamente diverse.
Una è rappresentata da convinti federalisti europei, tra cui l'eccellente Emma Bonino (e gli assai meno grandi Giuliano Amato, Barbara Spinelli, Guido Rossi...maronna do carmine....), l'altra da Angelo Panebianco, che mette in guardia dalla radicata convinzione nazionalista presente in stati importanti dell'Unione, in primis la Francia, ma non solo, e che bisogna inventare qualcosa di nuovo per ridurre la distanza oggi fortemente esistente tra l'Unione e i cittadini europei.
Buona Lettura


Caro Direttore ( LA LETTERA è INDIRIZZATA AL DIRETTORE DEL cORSERA )
Abbiamo letto con interesse il Suo editoriale (di domenica 3 giugno sulla “moneta di tutti (e di nessuno)”. Abbiamo preso anche nota del giudizio di Angelo Panebianco nell'editoriale del 4 giugno sulla “distanza insostenibile” che esisterebbe fra élite europeiste e una parte consistente dei cittadini comuni.

Come Lei sa, alcuni di noi fanno parte di coloro che in tempi e con responsabilità diversi hanno partecipato alla battaglia federalista che è stata rappresentata in Italia soprattutto dall’azione e dal pensiero di Altiero Spinelli. Nonostante la crisi o meglio a causa della crisi non abbiamo rinunciato a questa battaglia, non condividendo né l’opinione ancora minoritaria di chi crede nelle capacità taumaturgiche del ritorno alle apparenti sovranità nazionali né la “variante ingenua dell’ideologia del Progresso” – come la definisce Angelo Panebianco – che pervade chi crede l’Europa reale e viva perché razionale e logicamente indispensabile. 
Come Lei sa, non abbiamo taciuto in questi mesi e abbiamo anzi cercato di compensare il silenzio – sì ! - assordante delle classi di governo nazionali su questioni che toccano i nervi scoperti dei cittadini. Questioni che riguardano la sostenibilità sociale, ambientale, culturale, democratica di politiche limitate al solo rigore finanziario e concepite, elaborate e adottate dall’insieme dei governi nazionali negli ultimi quindici mesi. L’appello pubblicato dal Suo quotidiano il 10 marzo scorso, firmato da sostenitori tedeschi e italiani della causa federalista, fa parte del nostro impegno nel compensare le assenze governative, così come la successiva dichiarazione del 9 maggio che ha coinvolto anche federalisti francesi, spagnoli, portoghesi, greci, bulgari, polacchi e belgi. Prendiamo ora atto con moderata soddisfazione che alcune delle nostre proposte potrebbero essere innestate nei piani più o meno segreti, più o meno innovativi di cui si discuterebbe ora nelle cancellerie nazionali. Prendiamo anche atto dell’interesse che il Suo giornale, pur dando libero spazio ad opinioni diametralmente opposte, manifesta verso una corrente di pensiero e di azione – il federalismo europeo – del tutto sottostimata dai media italiani per decenni. È come se la stampa si accorgesse solo ora che esiste l'Europa ! Quando le cose andavano apparentemente bene non un rigo veniva dedicato agli sforzi di coloro che volevano una maggiore integrazione o che avvertivano i rischi della disintegrazione. Non solo, ma ogni iniziativa non ispirata alla Real Politik veniva o ignorata o considerata mera utopia. Solo adesso si comincia a capire che decisioni come il fiscal compact o il pareggio di bilancio non possono essere accolte senza essere accompagnate da un piano di sviluppo equilibrato e da cessioni di sovranità, che l'uno e le altre esigono un coinvolgimento pieno della pubblica opinione e che solo la consapevolezza di partecipare a una sovranità condivisa può superare il deficit democratico europeo.

Non tutto edifica nei tentativi di salvare la casa europea. Non siamo ad esempio convinti che possa rappresentare una strada più coinvolgente per mass media e opinioni pubbliche l'idea di affiancare al Parlamento europeo, dato per fallito, un'assemblea indirettamente eletta dell’eurozona, senza poteri di controllo, legislativi e di bilancio e senza avere di fronte a sé un governo europeo. Non condividiamo nemmeno il giudizio sbrigativamente liquidatorio sul Parlamento europeo, un'assemblea direttamente eletta che - pur indebolita dall'assenza di una vera agorà politica europea - è protagonista di battaglie significative per la difesa dei diritti della persona umana e dove l'azione di innovatori provenienti dalle file socialiste, verdi, radicali e liberali ha saputo contrastare l'immobilismo di vecchi e nuovi conservatori. 
Le opinioni pubbliche esprimono in periodici sondaggi un alto livello di sfiducia nelle istituzioni nazionali e, un seppur debole livello di fiducia nelle istituzioni europee e in 34 referendum nazionali sull’Europa, da quello promosso da Harold Wilson nel 1974 all’ultimo irlandese sul fiscal compact, hanno risposto cinque volte no e ventinove volte sì. 
Noi non sottovalutiamo le tendenze nazionaliste ed i populismi di destra e di sinistra che le nutrono e se ne nutrono, ma stiamo agendo per contribuire a superare il gap di fiducia che gli errori delle classi di governo hanno permesso che si spalancasse, trovando in questa nostra azione un numero crescente di compagni e compagne di azione. 
Ci consenta due ultime considerazioni, una che riguarda la buona politica ed una che riguarda la cittadinanza attiva. La buona politica agisce per conquistare un potere e per usarlo nell’interesse dei cittadini: ci troviamo oggi di fronte al paradosso di partiti che si battono per conquistare poteri oramai impotenti a livello nazionale e che non hanno ancora preso coscienza del fatto che la loro sopravvivenza è legata alla creazione di un potere (europeo) che ancora non c’è e alla cui costruzione bisogna finalmente accingersi. 
La cittadinanza attiva (europea) può compensare il silenzio assordante delle classi di governo nazionali. Noi riteniamo essenziale la mobilitazione dell'opinione pubblica europea e speriamo per questa ragione che milioni di cittadini europei usino rapidamente il grimaldello dell’iniziativa legislativa che è stata concessa loro dal trattato di Lisbona, per scardinare l’asfittico sistema istituzionale europeo ed esigere la sostenibilità sociale, ambientale, culturale e democratica delle politiche europee. Noi speriamo che da questa mobilitazione possa scaturire una forte spinta popolare per promuovere il riconoscimento di un potere costituente al Parlamento europeo in occasione delle elezioni europee della primavera 2014.

Giuliano Amato,Emma Bonino,Rocco Cangelosi,Pier Virgilio Dastoli,Monica Frassoni,Sandro Gozi,Alberto Majocchi, Giacomo Marramao, Luisa Passerini, Guido Rossi, Barbara Spinelli

La tentazione nazionalista
I PERICOLI DELL'UNIONE EUROPEA
 di Angelo Panebianco 

A grandi pericoli corrispondono grandi opportunità. Proprio perché la costruzione europea è oggi a rischio di distruzione esiste anche l'opportunità di darle nuovo slancio. Ha ragione l'ex cancelliere tedesco Helmut Kohl: la questione dell'Europa coincide con la questione della pace. Persino in un'epoca che si fa beffe della memoria storica si deve sapere che la storia d'Europa è una storia di guerre. Continuare a lavorare nel cantiere europeo, impedire che venga smantellato, serve soprattutto alla pace.
Per discuterne utilmente bisogna però rimuovere alcuni ostacoli: pregiudizi, modi sedimentati di guardare la realtà, che la deformano. Alcuni anni fa, una studiosa di cose europee, Vivien Schmidt, scrisse che il funzionamento dell'Unione è stato a lungo un caso di policy without politics , di politiche pubbliche senza politica. L'Unione macinava quotidianamente «politiche» (agricola, commerciale, monetaria, eccetera) ma la «politica» - intesa come conflitto e competizione aperta fra visioni differenti - era esclusa dall'ambito europeo, restava relegata negli ambiti nazionali. 
Oggi, con la crisi dell'euro, le cose sono cambiate: la «politica» è entrata nelle felpate stanze dell'Unione. Ma un lungo periodo di policy without politics ha lasciato una impronta. Una eredità negativa è il carattere tradizionalmente stereotipato, ripetitivo, del dibattito pubblico sull'Europa. Un dibattito nel quale, a lungo, c'è stato spazio solo per due posizioni: l'europeismo acritico e l'antieuropeismo. O si era europeisti, e si accettavano supinamente, senza discutere, istituzioni, procedure e politiche generate dall'Unione, o si era antieuropeisti, nostalgici delle sovranità nazionali. Chiunque fosse convinto del valore della casa comune europea ma esprimesse dubbi su questo o quell'aspetto dell'integrazione, o della filosofia che la giustifica, si vedeva additato come antieuropeista. Ciò ha strozzato il dibattito, ha fatto male all'Europa. Gli antieuropeisti ci sono ma ci sono anche, per parafrasare Romano Prodi, gli «europeisti adulti», refrattari alle ortodossie e ai catechismi. Se si vuole salvare l'Europa se ne deve parlare senza tabù, liberamente.

In un precedente articolo (Corriere , 4 giugno), ho scritto della distanza che separa le élite europeiste tradizionali dai cittadini comuni. Un effetto di tale distanza è che, spesso, queste élite tendono a imputare solo alle «classi politiche nazionali» le resistenze che impediscono una piena integrazione politica. Senza avvedersi di quanto forte sia sempre stata, su questo punto, la tacita solidarietà fra classi politiche nazionali e cittadini.

Prendiamo il tema tabù per eccellenza: il nazionalismo. Per la concezione dell'Europa che chiamo «ortodossa» è impensabile che il nazionalismo (l'identificazione in quella «comunità immaginaria» che è la propria nazione) possa tuttora essere più forte della identificazione nell'Europa. Quando si ammette l'esistenza del nazionalismo (si veda l'articolo di Giuliano Amato, Emma Bonino e altri, «La spinta necessaria a un'Europa politica», Corriere , 6 giugno, che rappresenta al meglio la posizione ortodossa) lo si associa al «populismo». Come se, ad esempio, il nazionalismo in Francia riguardasse solo gli elettori lepenisti. Non è così. Non solo in Francia il nazionalismo è vivo e vegeto e ha fino a ora impedito ai suoi governi di sottoscrivere proposte di rafforzamento dell'Europa politica ma è vitale anche in molti altri Paesi.

Non sono nazionalisti solo gli antieuropeisti dichiarati. Lo sono anche i governi, sostenuti dai rispettivi elettori, che non rinunciano ai vantaggi dell'Unione ma vogliono piegarla ai propri interessi nazionali. Sembra di tal fatta anche la recente proposta di Angela Merkel di una maggiore integrazione politica: il progetto di una «piccola Europa», che escluda i Paesi «non in ordine» secondo i criteri tedeschi. Non, si badi, un'Europa a leadership tedesca (che nessuno potrebbe sensatamente rifiutare) ma dominata dai tedeschi. Non si può più ignorare il peso del nazionalismo, bisogna farci i conti per impedire che distrugga l'Unione.

Allo stesso modo, senza preconcetti, bisogna interrogarsi sugli ostacoli che hanno fin qui impedito di accrescere la rappresentatività delle istituzioni europee. Nessuno sa come potrebbe funzionare una democrazia sovranazionale multilinguistica di dimensioni continentali (la storia degli Stati Uniti d'America è assai diversa dalla nostra). E nessuno sa come convincere gli elettori a non rimanere abbarbicati alla democrazia nazionale. C'è un rapporto fra la distanza dell'elettore dall'arena rappresentativa per la quale vota e la sua sensazione di poter controllare i rappresentanti. Anche se, con l'integrazione, i governi e i parlamenti nazionali hanno perso il controllo su tante aree decisionali, molti elettori mantengono l'idea, o l'illusione, che sia più facile per loro condizionarli. 
Nell'intervento sopra citato, Amato, Bonino e gli altri firmatari criticano la mia affermazione secondo cui il Parlamento europeo ha fallito il suo scopo principale. Lo ribadisco: quella istituzione ha ben poco a che fare con la «sovranità popolare». Gli elettori che votano alle elezioni europee lo fanno più per lanciare messaggi ai partiti dei propri Paesi che per concorrere a formare un'inesistente «volontà popolare europea». Per questo mi è parsa una buona idea la proposta dell'ex ministro tedesco Joschka Fischer di creare una Camera bassa, limitata all'eurozona, ove siano rappresentate sia le maggioranze che le opposizioni di ciascun Paese. Per calamitare l'attenzione dell'opinione pubblica sulle alleanze che vi si stipulano e le decisioni che vi si prendono. Non ci serva la riproposizione di formule stantie. Servono nuove idee, e la ricerca di intelligenti alternative, per impedire che il cantiere comune europeo venga smantellato."


Francamente, personalmente, pur condividendo molte cose di entrambi gli scritti,  mi sento più vicino alle posizioni del professore Panebianco. Peraltro, sono evidenti anche  importanti punti comuni, e una buona sintesi la ritengo possibile (magari eliminando prima dal tavolo qualcuno dei firmatari della lettera...) 

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