Nell'articolo comparso su Libero, nell'attaccare il detestato (la cosa è ovviamente reciproca) collega, Facci ne approfitta per dire qualcosa anche su Grillo.
Personalmente, condivido il sarcasmo sull'ambientalismo del Guru, che consuma nella sua villa 20 KW e di questi un decimo lo ricava dai pannelli che ha fatto installare, per non parlare dell'episodio della Festa dell'Unità, dove a spettacolo annullato per maltempo, il nostro pretese il cachet PIENO. E poi dicono che i luoghi comuni sui genovesi...
Avrei invece lasciato perdere la questione dell'omicidio colposo per il quale il Comico Tribuno è stato condannato Non tanto per risparmiare Grillo, che non risparmia mai niente e nessuno, quanto proprio per una sorta di rispetto per le tre vittime innocenti della sua imprudenza alla guida. Usare una autentica tragedia per tirare un colpo sotto la cintura, non mi piace, anche se so che si fa.
In ogni caso la lettura è istruttiva e anche divertente nella sua salacità
Fermi tutti, Marco Travaglio ha lasciato la sua
scrivania-patibolo e ci ha mostrato finalmente un’intervista coi controcazzi,
di quelle che i colleghi maggiordomi non sanno fare perché «non fanno domande»,
insomma una cosa da insegnare nelle scuole, un forcing da mandare a letto i
bambini, un micidiale passante che diverrà, presto, predicozzo da Santoro e
pezzo di libro e di altro libro e ancora post sul blog e poi video in dvd e su
youtube e spettacolo teatrale e raccolta differenziata di De Magistris.
Cioè: Travaglio ha intervistato Grillo sul Fatto, mica
bau-bau micio micio, ed eccovi subito un campionario di domande che spaccano,
spiazzano e torturano: 1) «I partiti preparano liste civiche»; 2) «Il rischio è
che fra qualche mese scavalchiate il Pd»; 3) «Il premier può non essere un
parlamentare»; 4) «Poi vi tocca governare»; 5) «Ci vorrà un programma»; 6) «In
Emilia brucia l’espulsione di Tavolazzi»; 7) «Bersani dice che vuol dialogare»;
8) «Anche Vendola»; 9) Berlusconi ti sta studiando». La carica rivoluzionaria è
implicita: le domande non sono domande, manca proprio il punto interrogativo. È
un colloquio, una cosa tra pari (due comici) e quindi non fatevi ingannare, non
dite che sono frasette interlocutorie inserite a posteriori in mezzo a un
monologo: non è vero, anche perché le domande vere poi ci sono, e sono
implacabili. Ne mettiamo solo alcune – le più sanguinose – perché l’intervista
era lunga due pagine e figuratevi com’erano ridotte le ginocchia di Travaglio:
1) «Come immagini il prossimo Parlamento?»; 2) «Ma il programma?»; 3) «Non è il
caso di prepararsi con una struttura elettiva?»; 4) «Referendum per uscire
dall’Europa?; 5) «Se le penali sono alte, l’inceneritore di Parma si fa lo
stesso?»; 6) «Vedi mai i dibattiti politici in tv?»; 7) «Non temi qualche polpetta
avvelenata?»; 9) «E se fallite?».
Marzullo in confronto era Torquemada, ma non dite che
l’intervista fa schifo: il cianuro travagliesco è nell’incipit,
nell’introduzione copiosa, sentite qua: «Beppe Grillo se la ride mentre
strimpella la sua pianola». Un fendente, l’ha steso. Oppure questa: «Arriva il
fratello maggiore Andrea, pensionato, la moglie Parvin e i figli più piccoli
Rocco, 18 anni, e Ciro, 11». Ecco, è documentato come al solito. E senza
verbali. Tra l’altro scrive: «Andrea ha già letto tutti i giornali e fa la
rassegna stampa». Ma come, non aveva detto che i giornali non li leggeva? Che
sono morti eccetera? Forse compra solo Il Fatto. Detto questo è anche vero:
l’intervista fa schifo, ma non è per le domande che ci sono, è per quelle che non
ci sono: lo stile Rebibbia di Travaglio è partito per Hammamet.
Travaglio ha fatto l’intervista nella villa di Grillo a
Sant’Ilario: già che c’era poteva chiedergli della polemicuccia che a suo tempo
lo associò ai dirimpettai Adriano e Ferruccio Sansa (rispettivamente ex sindaco
di Genova e giornalista de Il Fatto) per via dello scavo di due piscine, e
soprattutto del terrazzo di 100
metri quadri che Grillo fece interamente ricoprire.
Poteva chiedergli della telenovela dei pannelli solari – pardon fotovoltaici –
visto che l’ex amministratore dell’Enel, Chicco Testa, ha detto che «Grillo da
solo consuma come un paesino» (20 kilowatt contro i 3 medi delle case italiane,
cioè come 7 famiglie) ma che i pannelli al massimo producono 2 kilowatt, buoni
per un frullatore. Poi Travaglio ha detto che c’era lì il fratello Andrea,
detto Andreino perché è minore benché «pensionato»: poteva chiedergli qualcosa
della Gestimar Immobiliare che rivendette a Beppe, così, per trasparenza. Non
dico che doveva torchiare Grillo sulla Ferrari cabrio bianca, o su quella
rossa, o sull’inquinantissimo Chevrolet Blazer rivestito in legno, o sulle
barche, o sulla pubblicità della Yomo e altre sciocchezze pruriginose. In
effetti è acqua passata, ed è noto che a Travaglio il passato dei politici non
interessa.
Né gli interessa lo status giudiziario dei politici: è solo
per questo che non ha rivolto nessuna domanda sull’incidente che ha reso Grillo
«un pregiudicato» (direbbe Travaglio) per una condanna per omicidio colposo di
cui taceremo i particolari. Resta il fatto che Grillo, in inverno, si avventurò
in una strada di montagna chiusa al traffico: e morirono in tre, compreso un
bambino. Travaglio forse non ha trovato i verbali, ma noi sì. Interrogatorio in
aula, anno 1984, domanda: «Quando si è accorto di essere finito su un lastrone
di ghiaccio con la macchina?»; «Ho avuto la sensazione di esserci finito sopra
prima ancora di vederlo»; «Allora non guardava la strada». In primo grado
Grillo venne assolto con formula dubitativa («la vecchia insufficienza di
prove», direbbe Travaglio) ma la Corte d’Appello di Torino, il 13 marzo 1985,
lo condannò a un anno e quattro mesi col ritiro della patente: «Si può dire
dimostrato, al di là di ogni possibile dubbio, che l’imputato risalendo la
strada da valle, poteva percepire tempestivamente la presenza del manto di
ghiaccio (…). L’esistenza del pericolo era evidente e percepibile da parecchi
metri, almeno quattro o cinque, e così non è sostenibile che l’imputato non
potesse evitare di finirci sopra», sicché l’imputato «disponeva di tutto lo
spazio necessario per arrestarsi senza difficoltà» ma non lo fece, anzi decise
«consapevolmente di affrontare il pericolo e di compiere il tentativo di
superare il manto ghiacciato. Farlo con quel veicolo costituisce una
macroscopica imprudenza che non costituisce oggetto di discussione». Tre morti
e un ferito. Più lui. Non andrà meglio in Cassazione, l’8 aprile 1988: pena
confermata nonostante gli sforzi dell’avvocato Alfredo Biondi, che poi Grillo
avrebbe inserito nella lista dei parlamentari condannati e dunque da epurare:
anche se il reato fiscale di Biondi, in realtà, è stato depenalizzato e
sostituito da un’ammenda, tanto che, diversamente dal reato di Grillo, non
figura nemmeno nel casellario giudiziario. Stiamo tacendo le condanne per
diffamazione, naturalmente: quelle le abbiamo tutti, comprese – è il caso di
Travaglio – quelle odiosamente prescritte. Prescrizioni a cui Travaglio non ha
mai rinunciato.
PS: Se Travaglio ha bisogno delle carte, faccia un fischio.
A meno che le accetti solo da magistrati. Ma è ghiaccio passato. Sono altre,
infatti, le domande che Marco-Elkann-Travaglio poteva fare. No, non quelle più
sceme sulla celebre tirchieria di Grillo, tipo il racconto di Antonio Ricci
secondo il quale «Io sparecchiavo e, se buttavo via le briciole, Beppe le
recuperava dalla spazzatura e ci impanava la milanese». Però poteva chiedergli
se sia vero – come confermato in parte dall’Unità del 21 settembre 2007 – che
partecipò alla Festa dell’Unità di Dicomano (nel fiorentino) per un cachet di
35 milioni; la sera dello spettacolo, però, poi diluviò e non venne quasi
nessuno, sicché di milioni ne incassarono solo 15; i compagni di provincia
cercarono di ricontrattare il compenso, ma niente da fare: neppure una lira di
sconto. E siccome della segreteria comunista – tutta giovanile – l’unico che
aveva una busta paga era tal Franco Innocenti, un 26enne, questi dovette
stipulare un mutuo ventennale nonostante avesse la madre invalida al cento per
cento. Ghiaccio passato, capito.
Scuserete se abbiamo parlato poco, qui, delle risposte
«politiche» che Grillo ha effettivamente dato: è che non dice niente. Niente di
nuovo. Se non avete letto le due intere pagine d’intervista (succede) ve le
riassumiamo qui, se vi fidate. «Non farò il premier». Bene. «I candidati non li
scelgo io». Infatti: li sceglie Casaleggio. «Pizzarotti se la deve cavare da
sé». E lo sta facendo, meglio: non lo sta facendo, ma da solo. Poi Grillo ha
detto che «Saviano, Passera e Montezemolo» gli fanno una pippa (non lo
fermeranno, cioè) e ha detto che in sostanza non ha un vero programma; poi ha
detto che non c’è democrazia interna, né che ci sarà (in pratica c’è la
diarchia Grillo-Casaleggio e il resto è anarchia: e probabilmente è la verità)
e ha detto che le alleanze se necessario le faranno, per forza, mentre per i
ministri «vedremo». Infine faranno referendum propositivi (ma dovranno cambiare
la Costituzione) e l’intento, impossibile, resta quello di uscire dall’euro ma
non dall’Europa. Ah, poi ha detto che le pensioni non supereranno i 3000 euro e
che le province verranno abolite e i cacciabombardieri tutti venduti. Fanno due
pagine. E ora, al minimo, non rilascerà interviste per altri cinque anni. Ma è
un problema che a noi giornalisti non riguarda più, perché noi siamo morti, la
stampa è morta, l’Europa è morta, la Tav è morta, i treni sono morti, i
giornali sono morti, i partiti sono morti, il Parlamento è morto, Michael
Jackson è morto, è tutto morto. Berlusconi scese in campo, Grillo in camposanto.
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