Luigi Einaudi, che degli italiani non tanto si fidava, visto
che eravamo stati capaci di darci al fascismo, nel contribuire (poco, che,
probabilmente, se il suo peso fosse stato maggiore, la nostra suprema Carta
sarebbe stata assai migliore) alla scrittura della Costituzione cercò di legare
un po' le mani ai politici prevedendo all'art. 81 che le leggi che prevedessero
nuove e maggiori spese rispetto a quelle messe a bilancio, dovessero anche
indicare le loro fonti di finanziamento. In realtà il "nostro", da
buon liberale non amante di uno Stato impositore, avrebbe anche voluto
stabilire un tetto alla possibilità di spesa e di imposizione fiscale, ma figuriamoci
se con la DC e il PCI a farla da padroni una cosa del genere sarebbe mai potuta
essere fattibile.
Per molto tempo peraltro il vincolo delle nuove spese
costituì comunque un argine discreto alla lievitazione del debito e della spesa
pubblica, ma dopo gli anni 70, con l'affermazione del centro sinistra , del
consociativismo e del sindacalismo dissennato, non ci fu più nessuno a
difendere quel muro. TUTTI d'accordo ad aderire al nuovo credo : la crescita
favorita dalla spesa. Andava bene ai partiti e ai cittadini, compresi gli
evasori perché le tasse, che pure si alzavano, a loro poi non venivano di fatto
fatte pagare. Tanto, quello che mancava all'appello, ce lo si faceva PRESTARE.
Dove abbia portato questo sistema (assai antecedente al
1994, lo dico en passant) lo vediamo in questi anni. CI siamo abituati ad avere
una serie infinita di cose anche poco funzionanti ma pressoché gratuite, senza
parlare di tutte le altre cosucce che conosciamo: baby pensioni, indennità di
ogni tipo, posti di lavoro per regalare stipendi (in cambio di voti).
Ok, tutto questo ci dicono che non si può più fare per la
semplice ragione che i soldi per farlo NON ce li prestano più. Abbiamo adottato
come soluzione di farle pagare davvero le tasse, a tutti, oltre che aumentarle,
e ovviamente la cosa non è né facile né, soprattutto, SUFFICIENTE.
Lo vediamo no ? Siamo passati in testa nella ben triste
classifica dei paesi a più alta pressione fiscale, e ciononostante i soldi non
sono sufficienti . Anche recuperando la famosa evasione, comunque spendiamo
molto di più di quello che incassiamo.
Dobbiamo proprio cambiare TESTA. Non sarà impresa facile.
Intanto abbiamo approvato il Fiscal Compact. La maggior
parte dei nostri politici, che pure l'hanno votato, non sa cosa sia. Perfetto.
Comunque è il meccanismo per il quale non puoi spendere più
di quello che hai, e se hai un debito superiore al 60%, hai tempo 20 anni per
ricondurlo in quel confine.
Giustamente, un amico del TPI, Gabriele Manzo,
faceva notare che si può firmare ( e poi votare) quello che si
vuole, ma chi le applica le sanzioni? "anche il trattato di Maastricht
prevedeva addirittura che il debito fosse del 60% (o che si convergesse verso
questa quota) e che il deficit non superasse il 3%; le condizioni sono state rispettate?
no. è successo qualcosa? no ".
Ineccepibile.
Comunque il Fiscal Compact non piace solo alla sinistra
italiana, ma anche a tanti della destra e persino ai liberali. Del resto, in
Germania, che pure l'ha imposto con la Merkel, l'hanno impugnato davanti alla
Corte Costituzionale, denunciando il suo essere contrario alla sovranità
nazionale. La Corte deciderà il 12 settembre, con tutto comodo.
Che Sinistra e destra sociale nonché ex democristiani vedano
il Fiscal Compact come il fumo negli occhi, era facile da immaginare, mentre
più sorprendente appare la posizione dei pochi liberali in Parlamento che hanno
preso carta e penna e hanno scritto la loro motivazione al Corriere della Sera.
Eccola
Perché fare a meno
del fiscal compact
Caro direttore, ci
siamo astenuti sulla ratifica del fiscal compact e vorremmo spiegare le nostre
ragioni. Anzitutto, l'accordo intergovernativo si traduce in un obbligo
italiano per la riduzione del debito di circa cinquanta miliardi l'anno per
vent'anni: un'enormità. In secondo luogo, ci impegniamo a pareggiare in tempi
brevi il bilancio pubblico. Siamo convinti che il pareggio del bilancio sia un
principio primario di trasparenza nella gestione della cosa pubblica e che sia
anche un caposaldo del pensiero liberale.
Basti pensare a
Marco Minghetti che a esso, che considerava essenziale all'interesse dello
Stato, sacrificò la sua parte politica. Riuscì ad annunciare il raggiungimento
dell'agognato obiettivo il 16 marzo 1876, ma, due giorni dopo, la «rivoluzione
parlamentare» fece cadere il suo governo e alle successive elezioni la Destra
storica smise di esistere! Si può citare anche Luigi Einaudi che, in piena
sintonia con Ezio Vanoni, volle che, all'articolo 81, la nostra Costituzione
adottasse il principio. La sinistra non ha mai amato questo criterio di finanza
pubblica: soggiogata da Keynes, ha sempre preferito sostenere il deficit
spending per promuovere sviluppo e occupazione. Basti pensare al monumentale
volume Le leggi di spesa nella Costituzione con cui Valerio Onida ha costruito
la sua brillante carriera. Quel volume è dedicato a sostenere che le teorie
keynesiane sono più importanti dell'intenzione del legislatore costituente e
che il pareggio del bilancio è principio arcaico. Il pareggio del bilancio
secondo noi è desiderabile quando la spesa pubblica è inferiore al 10% del
reddito nazionale, come ai tempi di Minghetti, o si aggira intorno al 30%, come
ai tempi di Einaudi, ma non lo è per nulla quando, come adesso, supera il 50%.
Dal momento che la spesa è per lo più costituita da entitlements (spese che non
possono essere ridotte a legislazione invariata), pareggiare il bilancio nei
tempi previsti dal fiscal compact significa continuare a far inseguire
l'aumento delle spese dalla crescita dell'imposizione: una politica che
potrebbe solo scatenare una recessione.
Ratificando il
fiscal compact, l'Italia delega la sua sovranità in materia di bilancio, che è
l'essenza stessa dell'attività di governo, non agli Stati Uniti d'Europa, non a
un governo europeo democraticamente eletto ma a un insieme di regole dettate da
un accordo interstatale, il che a noi sembra inaccettabile.
E ancora: è davvero
necessario rinunziare alla autonomia nella gestione del bilancio da parte di
Paesi che usano un'unica moneta? A noi non sembra: i cinquanta Stati degli Usa
adoperano tutti il dollaro, ma ognuno di essi sceglie in piena autonomia come
gestire il suo bilancio, e ne sopporta le conseguenze. Né il governo federale
né la Fed hanno mai pensato fosse loro dovere intervenire «in aiuto» di Stati o
di contee che non riuscivano a onorare i propri impegni. Il fiscal compact,
quindi, non è per niente essenziale all'esistenza dell'euro. Il governatore
della Bce, Draghi, ha detto che l'euro è irrevocabile. Anche noi lo crediamo ma
non consideriamo questa una qualità della moneta europea. E' stato azzardato
costruire l'unione monetaria senza nemmeno prendere in considerazione la
possibilità che potesse non funzionare. I provvedimenti assunti con accordi
intergovernativi, come appunto il fiscal compact, sono dannosi tentativi di
porre rimedio alle lacune dell'intero sistema. Sarebbe molto meglio per
l'Europa e per gli Stati membri ripartire da Maastricht e rimediare alle
manchevolezze che si sono evidenziate negli ultimi anni.
A.Martino, D.Bergamini, E.La Loggia,
G.Malgieri, G.Moles
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