ALBERTO BISIN |
Da tempo non leggo più Repubblica, colpita dall'ossessione
Berlusconiana e con un direttore che non stimo come Mauro. Mi è dispiaciuto
lasciare delle firme che stimo, come Ilvo Diamanti, Bernardo Valli, Mario
Pirani, Gianni Mura, Emanuela Audisio, ma l'aria nell'insieme non era più
respirabile. Di tanto in tanto, tramite la rete, bazzico ancora, magari grazie
alle segnalazioni di amici preziosi, come Nicola Scardi, radicale , liberale ma
soprattutto persona di raro acume (ancorché ultimamente un po' troppo
pessimista : non che non ce ne siano i presupposti, ma insomma qua e là si
leggono anche previsioni meno nefaste) , il sito di Repubblica è ho scoperto
che il mio antico quotidiano ospita gli articoli di Alberto Bisin, che scrive
di economia in ottica liberal liberista. La cosa mi ha stupito, e non solo a
me. Sia pure su un piano del tutto opposta, vale a dire aspramente critico,
questa "stranezza" veniva registrata anche dal concorrente (nel
litigarsi i lettori berluscafobici) Il Fatto Quotidiano, che stigmatizzava
"l'invasione dei liberisti sui giornali progressisti". I
"Barbari" erano appunto rappresentati dal citato Alberto Bisin e da
Alessandro de Nicola e nel chiudere l'articolo il giornalista del Fatto
chiosava: " dove pensa di andare una testata tradizionalmente
progressista come La Repubblica consegnandosi all’attivismo polemico di questi
fanatici banditori di un filone ideologico, organico alle manovre della
finanza ombra internazionale, smascherato nella sua pericolosità dai
ricorrenti disastri che ha promosso sulle due sponde dell’Atlantico?".
Dopo queste premesse, è ovvio che mi sono precipitato a
chiedere "l'Amicizia" al "fanatico banditore" !
Nell'articolo di oggi , che di seguito troverete in versione
integrale, il "nostro" ha perfettamente descritto, a mio avviso, i
mali italici endemici e il perché l'intervento di Monti non sia
considerato "attendibile" dai mercati.
Bellissima l'immagine a cui il giornalista ricorre: È
come se il governo avesse chiesto al Paese di trattenere il fiato per un po',
per fingere una pancia piatta: non può durare e non inganna nessuno.
Buona Lettura
MERCATI, ATTACCO
ALL' ITALIA
Ci sono giorni che
segnano un passo verso la fine del mondo, verso il giorno del giudizio
universale in cui i mercati ci chiederanno conto di tutti i nostri peccati.
Ieri è parso uno di questi giorni: i rendimenti sui titoli italiani e spagnoli
sono cresciuti a livelli di record e le borse sono crollate. In realtà, nel
mezzo di una crisi finanziaria, specie di una crisi severa come questa, la
volatilità dei prezzi delle attività finanziarie è sempre molto elevata.
Ed è bene evitare
interpretazioni su frequenze giornaliere: i cimiteri dei mercati sono pieni di
chi crede di saperlo fare. Osservando però l'andamento dei mercati nel corso
dei mesi passati, il rischio che l'Italia si stia pericolosamente avvitando
verso il giorno del giudizio mi pare stia crescendo. Se è ormai chiaro che la
politica di rigore di Monti (ma si potrebbe dire lo stesso della politica di
Rajoy in Spagna) non sta avendo il successo sperato, qual è la ragione
dell'insuccesso?
È che troppo rigore
sta uccidendo l'economia, affossando la domanda aggregata; oppure è che il
rigore imposto dal governo al Paese è ancora insufficiente?
La risposta, secondo
me, è che entrambe le affermazioni sono vere, perché c'è rigore e rigore. Prima
di tutto, il governo Monti ha agito soprattutto sulle entrate pubbliche,
aumentando in modo sostanziale il carico fiscale, che già era tra i più alti al
mondo. Questo non può che aver contribuito a soffocare un'economia che già da
anni boccheggiava.
Naturalmente, una
diminuzione della spesa pubblica dello stesso ammontare dell'incremento delle
entrate avrebbe avuto identici effetti sulla domanda aggregata. Ma questa è
proprio la ragione per cui l'analisi di domanda aggregata è limitata e
sostanzialmente errata: le tasse distorcono direttamente l'attività produttiva
mentre la spesa pubblica è in larga parte improduttiva (non è sempre così, ma
in Italia lo è). In altre parole, a limitare la spesa abbassando le tasse (o
non alzandole) si liberano risorse, perché la torta non è fissa.
Il rigore quindi sta
affossando la domanda aggregata; e il fatto che il rigore sia ottenuto
attraverso la tassazione sta impedendo alla torta (all'economia) di crescere.
Le imprese che delocalizzano (non solo la produzione), le multinazionali che
investono altrove, i cervelli che se ne vanno (e quelli che non vengono), i
giovani e le donne sotto-occupati, tutte queste sono manifestazioni della torta
che non cresce e anzi si restringe.
Ma purtroppo la
ragione più importante per cui la politica economica del governo Monti non sta
riportando il successo che speravamo ottenesse è ben più profonda e affonda le
radici nella strutturale debolezza delle istituzioni del nostro Paese. Sulla
carta, il Paese ha istituzioni solide: una democrazia parlamentare, una
giustizia autonoma, sanità e istruzione pubbliche, una struttura industriale
ben sviluppata, una informazione libera, un mercato del lavoro protetto...
A ben vedere, però,
in molti casi, queste istituzioni appaiono corrotte all'interno, dietro ad una
nobile corazza usata come scudo: la casta dietro alla democrazia parlamentare,
la partitocrazia correntizia dietro lo scudo dell'autonomia della magistratura,
il parcheggio di famigli e protetti dietro il servizio pubblico, sprechi e
ancora rendite e partitocrazia dietro alla sanità pubblica, clientelismo e
assistenzialismo dietro alla sussidiarietà verso un Sud meno ricco, un mercato
del lavoro duale senza reale protezione per giovani, e così via.
Il debito pubblico
italiano è il risultato quasi necessario, la manifestazione, di queste
istituzioni che hanno negli anni convogliato fondi alla casta della politica
(nazionale e locale), hanno garantito una spesa clientelare nel settore
pubblico (senza riscontri di produttività) e al Sud (creando un esercito di
persone che vive di assistenza pubblica), hanno ridotto le imprese pubbliche e,
molte di quelle private, attraverso sussidi e aiuti all'occupazione in imprese
decotte, a pozzi senza fondo.
La questione che i
nostri creditori naturalmente si pongono quindi è se siano cambiate queste
istituzioni. Possiamo garantire ai mercati, ai tedeschi e ai finlandesi, e a
noi stessi, che il futuro sarà diverso? Che dopo l'emergenza avremo una
struttura istituzionale in grado di controllare la spesa e il debito?
Purtroppo, è chiaro
a tutti che queste sono domande retoriche; nulla di sostanziale sta cambiando
nella struttura istituzionale del Paese. Allora è chiaro in che senso il rigore
imposto dal governo Monti al Paese non è sufficiente. È come se il governo
avesse chiesto al Paese di trattenere il fiato per un po', per fingere una
pancia piatta: non può durare e non inganna nessuno.
Incidere sulle
istituzioni fondamentali del Paese è ovviamente un compito arduo che richiede
tempo.
Monti è certamente
uno statista ma non è Superman. Il modo di uscire dall'impasse è quindi di
operare in tempi rapidi azioni che segnalino un cambiamento di direzione
irreversibile (o almeno difficilmente reversibile). Questo è un tema che
richiede più tempo e spazio, su cui sarà necessario tornare. Ma un esempio, per
quanto di poca rilevanza in sé, credo possa dare l'idea di cosa si intende per
cambiamento di direzione irreversibile: un nuovo presidente Rai, per quanto
valido, dura una breve stagione; una Rai privatizzata, invece, è per sempre.
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