martedì 14 agosto 2012

20.000 MORTI E SI CONTINUA. BENVENUTI IN SIRIA



20.000 morti. di cui la maggior parte civili, moltissime le donne e i bambini. Le città ribelli "normalizzate" dal terrore. Quelle fedeli sotto il fuoco di elicotteri e carri armati.
Benvenuti in Siria.
In Libia, approfittando di una distrazione di Putin e dei suoi sodali cinesi, l'ONU diede via libera alla "protezione dei civili". In realtà la Nato, con Francia e Inghilterra in testa, in pochi mesi offrì una copertura di fuoco aerea che neutralizzò l'esercito di Gheddafi e diede modo agli oppositori della Cirenaica di sopraffare il Dittatore, leone ormai vecchio e piuttosto sdentato (leggi "isolato").
In Siria tutt'altra faccenda. Una situazione politica sempre più ingarbugliata dove nel conflitto si mischiano le più varie istanze :
1) la maggioranza sunnita che vuole l'abbattimento della minoranza alauita (cui appartengono notoriamente gli Assad) da decenni al potere.
2) Le altre minoranze, tra cui quella cristiana, che temono l'affermazione di un regime fondamentalista intollerante (come nelle altre dittature arabe, un certo laicismo era stata la regola), preferiscono che Assad , male minore, riesca a conservare il potere.
3) La strana coincidenza di interessi tra paesi ostili tra loro : l'Iran appoggia apertamente Assad, mentre Israele preferisce un nemico "fidato", con il quale negli anni ha costruito una tregua accettabile, che un regime  Jihadista
4) Gli USA hanno le stesse preoccupazioni di Israele, ma nel loro ruolo, ancorché appannato, di sceriffi della democrazia, hanno grosse difficoltà ad assistere al bollettino di omicidi che ogni giorno si consuma in Siria.
5) L'Europa come al solito condanna i massacri e auspica la pace. Come ciò possa avvenire, questo non viene detto. Sì a qualche sanzione economica, sì a qualche gesto simbolico, come il richiamo degli ambasciatori, e poi la solita sterile invocazione all'ONU. Se si fosse fatto così in Libia , Gheddafi moriva di vecchiaia nel suo letto.
6) Sul destino della Siria, un'attenzione inusitata viene dall'Arabia Saudita, fedele alleato americano, ma anche il regime più retrogrado della zona, dove le cellule Jiahdiste prosperano (Osama Bin Laden era saudita).
7) Anche la Turchia , nella sua condanna ai massacri di Assad, sembra mossa non solo da istanze umanitarie ma da un rinnovato attivismo nell'area che conobbe gli splendori dell'impero ottomano.
8) Al Qaeda spera di fare della Siria un nuovo Afghanistan.
9) La Russia ha una sua base navale in Siria e la vuole conservare , così come vuole mantenere nell'area mediorientale un regime che da sempre è stato amico degli ex sovietici.  I cinesi, non si sa quanto si alleino ai russi per antica consuetudine, perché Assad è un buon acquirente (di armi soprattutto) e per acquisire peso d'influenza nella regione.
Insomma un gran caos, che certo non aiuta i ribelli che sono gli UNICI veri rivoluzionari Arabi visti dalla cd. Primavera in poi. Nei paesi filoccidentali come Egitto, Tunisia, l'abbattimento dei regimi di Mubarak e Ben Alì fu cosa relativamente semplice, non potendo gli americani tollerare i massacri cui ricorre Assad per conservare il potere. In Libia, sappiamo come è andata. In Siria, i ribelli devono fare da soli, ricevendo solo armi dall'esterno e nemmeno molte, a giudicare dai reportage di Aleppo.
Eppure, sono ancora lì che combattono, e nonostante la soverchiante superiorità militare di Assad, in pochi scommettono che il regime alla fine riuscirà a sopravvivere.
Però si preferisce che l'agonia si allunghi, per guadagnare posizioni di vantaggio sul DOPO.
E pazienza se questa strategia temporeggiatrice costa ogni giorno 100 morti.
Bellissimo l'articolo di André Glucksmann sulla ben misera figura di Kofi Annan e dell'Organizzazione di cui da decenni è, a vario titolo, rappresentante : l'ONU.
Io ho dei dubbi che questa organizzazione abbia una qualche minima utilità. Provo a immaginare che avere un luogo dove comunque dei temi vengono trattati, posti in evidenza, crei quanto meno l'astratta possibilità di tessere colloqui e trattative per riuscire, in qualche caso, a delle soluzioni accettabili.
Ma certo, come rimarca il filosofo francese, i fallimenti eclatanti sono ormai numerosi, oltreché ignobilmente vergognosi.
Ecco il post ( dove l'autore osa anche dire la verità su Putin), comparso un paio di giorni fa sul Corsera.


Quando la coscienza del mondo non sa risparmiarci dal male
Mentre i carri armati e gli aerei da massacro di Assad rovinano tutt'al più il piacere alle anime sensibili, le dimissioni di Kofi Annan vengono accolte con un silenzio tipicamente estivo. Eppure, quando il mediatore dell'Onu in Siria getta la spugna, tutta un'epoca si conclude con un fiasco vergognoso. Questo affabile diplomatico ghanese, insignito del Premio Nobel, è stato numero uno e poi numero due dell'organizzazione internazionale, e ha ostinatamente manifestato sentimenti benevoli, umanitari e pacifici ricompensati da risultati catastrofici. In veste di responsabile delle operazioni di peacekeeping in Bosnia e in Ruanda, con la sua passività ha coperto il genocidio dei Tutsi da parte degli Hutu. Per chi se ne fosse dimenticato: 1994, 800 mila civili assassinati a colpi di machete in tre mesi. Kofi Annan si rifiutò di inviare al generale Dallaire cinquemila caschi blu per fermare il genocidio. Le pubbliche scuse sono arrivate troppo tardi. Anziché una sanzione, il Nostro ricevette una promozione e diventò Segretario generale dell'Onu (1997-2006). Non proferì parola quando Putin tentò di cancellare dalla faccia della terra un ceceno su cinque. Stesso silenzio davanti all'ultima carestia politica del Ventesimo secolo (1998-2000): nella Corea del Nord comunista, la fame organizzata fece tra uno e due milioni di vittime, con tanto di scene di antropofagia. Con o senza il sostegno della comunità delle nazioni democratiche, Kofi Annan si accontentava di rispettare fino all'ultimo le sovranità nazionali: ognuno è padrone a casa propria, quale che sia il crimine che commette contro i suoi. Un giorno anche quest'uomo benevolo ebbe un moto di disgusto: «Il Darfur è l'inferno», dichiarò condannando il governo di Khartum. Parole, parole parole: di fatto nulla è cambiato. Annan è tutto tronfio delle sue alte responsabilità: «Noi siamo la coscienza del mondo», proclamò nel 1995 in occasione del cinquantenario dell'Organizzazione delle Nazioni Unite. Le sue dimissioni del 2 agosto scorso sono una sorta di Te Deum a tutte le manovre di disimpegno della sua vita. Mentre Kofi Annan, animato dai migliori intenti, subisce uno scacco dopo l'altro, Vladimir Putin passa di successo in successo. Quest'ultimo dissimula sempre meno il suo micidiale cinismo, che sfugge solo a chi non vuol vedere. Ha persino confermato ufficialmente di non aver mai avuto l'intenzione di cedere il passo al nostro beniamino, il presunto «liberale» Medvedev, che era, è e rimane il suo eterno valletto. E ripete indefesso che ogni forma di opposizione democratica in Russia consiste in un'accozzaglia di cospiratori al soldo dei servizi segreti stranieri, preferibilmente americani. In questi ultimi giorni Putin si è vantato di aver armato e preparato sin dal 2006 le milizie dell'Ossezia del Sud per attaccare la Georgia, il che la dice lunga sulle responsabilità della guerra russo-georgiana del 2008 e sui crimini delle suddette «milizie», di cui il Cremlino aveva garantito l'assoluta indipendenza e irriducibilità. A Putin, campione assoluto di menzogne e calunnie, va paradossalmente riconosciuto il merito di non essere ipocrita: è un uomo che non nasconde le proprie intenzioni e dichiara chiaro e forte il suo potere deleterio. Poco importa se la Russia non brilla affatto per la sua modernità né per la crescita della sua economia; poco importa se raggiunge le vette più alte nel campo della corruzione (al livello dello Zimbabwe) e delle mafie politico-finanziarie; poco importa il suo nichilismo giudiziario e burocratico! Putin non pretende, come i marxisti-leninisti, di far sognare l'umanità, né promette un futuro migliore. Come in un sistema di vasi comunicanti, la caduta della «coscienza del mondo» evocata da Annan è correlata all'ascesa di Putin. 
Più l'Onu si rivela incapace di proteggere i civili (la risoluzione 1973 rimane un'eccezione e il salvataggio di Bengasi resta opera di Cameron e Sarkozy), più si allarga la zona grigia in cui i civili stessi sono abbandonati alla furia degli aerei e dei tank, più Putin si erge a difensore supremo dei despoti, minoritari ma armati fino ai denti: li protegge dagli interventi esterni con il suo veto al Consiglio di Sicurezza e si incorona padrino dei padrini. Ai rossi e ottenebrati condottieri di popoli succede un eterno kappagibista senza scrupoli e senza ritegno. Bisogna essere ingenui come un diplomatico del Quai d'Orsay o del Palazzo di Vetro di New York, o semplicemente ossessionati dagli appuntamenti elettorali locali, come Obama e i suoi omologhi europei, per immaginare, anche solo per un istante, che il boia del Caucaso possa inorridire davanti alla distruzione di Aleppo, Homs e Damasco. «Ventimila morti in un anno!», gridano indignate la stampa e le Ong democratiche. «Solo?!», risponde sorridendo Putin. Coraggio Assad, ancora uno sforzo! È bene non fare affidamento sui sentimenti caritatevoli dei leader russi. Se Putin protegge Assad, è solo perché una potenziale vittoria di Assad protegge Putin. Una rivolta soffocata nel sangue, in stile Cecenia, servirebbe da esempio e da avvertimento per il popolo russo e i «vicini più prossimi». Inutile ricalcare l'ingenuità finta o sincera di un Kofi Annan. Inutile accumulare conferenze su conferenze (preferibilmente dopo le vacanze). Inutile coinvolgere i mullah iraniani, o addirittura il Papa dei cristiani, nelle tavole rotonde sulla Siria. Fino a quando si preferirà immaginare che il capo del Cremlino non sia consapevole di fare il bene dei tiranni e il male delle popolazioni, l'inferno si estenderà. Da un anno i civili siriani resistono con tenacia e coraggio a un regime carnefice e criminale. Certo, i ribelli non sono angeli scesi dal cielo delle idee, estranei a qualsiasi sopruso; e se la comunità internazionale li abbandonerà inermi e lascerà accadere l'irreparabile, le violenze si moltiplicheranno. La commedia del ricorso al Consiglio di Sicurezza è durata abbastanza. Non si può attendere all'infinito che le palpebre di Putin (e quelle dei suoi compagni cinesi) si inumidiscano, o che nel petto del cekista palpiti un sentimento di umanità. Il fallimento di Kofi Annan riflette quello di una comunità internazionale abituata a sognare, e che da vent'anni abbandona il proprio destino alle unanimità fasulle di un Consiglio di Sicurezza sottomesso ai diktat di San Vladimir, patrono della Lubjanka.





Nessun commento:

Posta un commento