lunedì 27 agosto 2012

COSTO SOCIALE. PASSWORD PER UN MONDO A LIBERTÀ ZERO

Lo stato Etico, a differenza di quello di Diritto, ha molte frecce al suo arco nel giustificare la compressione della libertà di noi cittadini scellerati, ostinati ad essere come siamo e non come dovremmo essere.
Tra le parole magiche coniate per leggi liberticide, c'è COSTO SOCIALE. E sì, perché quando uno, nel difendere ormai come un giapponese l'ultima spiaggetta di libertà individuale che gli è rimasta in una società asfissiante, strangolante, dove non puoi fare NULLA senza incappare in qualche divieto o imposizione, prova ad obiettare che una certa condotta non nuoce a nessuno se non a te stesso e quindi sarai ben libero di fare come cazzo ti pare, si alza il ditino e ti viene detto..." lo dici tu, che non nuoci a nessuno...il "costo sociale dove lo metti?".
La risposta che personalmente avrei istintivamente a tale domanda è troppo volgare per riportarla.
Mi limito a dire che messa in questo modo, lo statalismo ha vinto contro il liberalismo.
Lo dobbiamo ammettere. Così come le leggi economiche hanno piegato, con la miseria, i regimi comunisti costringendoli ad aprire spazi alla libera iniziativa, al mercato, le istanze di un presunto bene collettivo, prevalente sempre su quello individuale, hanno fatto prevalere la statolatria. Lo Stato padre (padrone) che ci dice, dalla culla alla tomba, come ci dobbiamo comportare, mai veramente adulti e padroni della nostra vita.
Questa visione indubbiamente fosca mi viene in mente parlando delle norme che si susseguono nell'IMPORRE comportamenti individuali restrittivi per la  tutela di SE STESSI.
Esempi. Il casco obbligatorio per chi conduce le due ruote, introdotto nel 1986, e le cinture di sicurezza, nel 1988. Non vi è dubbio, nel primo caso, che possa salvare la vita (molto più discutibile nel secondo caso).
Però si tratta della MIA vita, che non appartiene alla STATO , né alla SOCIETA'.
Se posso votare, e col mio voto decidere della vita degli altri, magari contribuendo a rimandare al governo quel noto distruttore di nazioni di Berlusconi, oppure Vendola e Fassina, potrò cosa decidere di fare della MIA VITA?
La risposta è NO. Perché c'è il COSTO SOCIALE.
Allora perché solo il casco? Perché non stabilire una armatura? Mica esistono solo i traumi cranici! Anzi, se vogliamo, forse il casco i costi sociali li aumenta pure perché contribuisce a salvare la vita ma il corpo non lo difende. Per cui sopravvivi ma ROTTO, più o meno gravemente. Quali costi di cure mediche ha UN MORTO? O il problema sono le assicurazioni??
Le cinture di sicurezza, in molti ne contestano pure una serie di controindicazioni tecniche, quale per esempio l'impedimento che creano per allontanarsi con rapidità da un veicolo che magari ha preso o può prendere fuoco.
Ovviamente, entrambi i provvedimenti ebbero il parere contrario degli utenti, e quello favorevole dei non.
Tipico. E altrettanto ovviamente, i costi sociali della circolazione dei veicoli, a due e quattro ruote, restano molto elevati. Abolirli?
Ma a parte questo, NON ci può essere dubbio che le decisioni circa la propria personale sicurezza, e le modalità di garanzia della stessa, dovrebbero essere esclusiva competenza degli interessati, che di volta in volta, e caso per caso, dovrebbero poter decidere se volersi servire di un tale accorgimento o meno, senza che attraverso provvedimenti, per lo più economicamente vessatori, se ne imponga un obbligo normativo che irride alla dignità individuale nella parte in cui, aprioristicamente e con pregiudizio, considera il cittadino incapace di una scelta autonoma su temi di tanta gravità e delicatezza come la sua stessa salute.
Adesso , sempre scopiazzando dalla Francia, arrivano le TASSE sulle bibite dolcificate, per scoraggiarne l'uso, dicono. Sarebbe già meno peggio se fosse veramente quello l'intento, laddove, in realtà, mi sembra solo l'ennesimo modo di rastrellare quattrini in ogni dove per l'idrovora statale. Però io preferirei pagare un "contributo costo sociale" per poter non mettere il casco d'estate in città, a 40 gradi, o le cinture di sicurezza, certo aspettandomi poi che 1) veramente quella tassa finisca al ministero della Sanità e SOLO per gli infortuni da sinistro stradale 2) che lo stesso concetto si applichi a TUTTE le attività che comportino il cd. costo sociale. E quindi il Fumo, l'Alcol, e anche qui, le tasse, che ci sono, non vadano a rinsanguare il perennemente affamato vampiro statale ma abbiano una  destinazione mirata ai COSTI sociali dei "vizi" umani.
Poi naturalmente introdurremo l'obbligatorietà per  i check up mensili per la prevenzione delle malattie. Ovviamente a spese della persona, che se no altro che costi sociali!!
E così via.
Paradossi direte. Però il fatto resta. Se io voglio una vita a costo sociale  zero, devo ridurre la libertà a zero.
Sarà una commissione pseudo scientifica a dettare le norme di condotta universali e noi automi ad obbedire. In fondo, la libertà individuale è si un anelito eterno dell'uomo ma in poche epoche e in poche terre ha avuto una sufficiente realizzazione.
A eventuali commentatori pronti a propinare statistiche con i dati del calo della mortalità e della gravità degli infortuni tramite le misure coercitive dette, dico di risparmiare tempo. Li conosco. Però la gente muore e si fa male lo stesso. Solo con un po' di libertà in meno.
Prezioso il contributo di Ostellino che prende spunto proprio dall'annunciata tassazione sulle bibite dolcificate
Buona Lettura

PUBBLICO E PRIVATO
La tassa etica su cibi e bevande che serve solo per far cassa

Per spillare soldi al cittadino, lo Stato contemporaneo si è ridotto ad inventarsi spiegazioni (morali) di natura teleologica, cioè finalizzate al raggiungimento di un (supposto) risultato benefico. Spiega che tassa certi cibi e certe bevande per il nostro «bene»; perché, ingurgitandoli, ingrassiamo, produciamo colesterolo e tossine di ogni genere che ci accorciano la vita. La spiegazione si fonda sulla convinzione che condurre un'alimentazione sana abbia una sua autorevolezza naturale - che lo Stato ha il dovere di sostenere e persino imporre - indipendentemente dalle ragioni personali che inducono gli uomini a essere molto più attenti alla propria felicità che alla propria salute. Le spiegazioni teleologiche dello Stato hanno, perciò, un difetto: si scontrano con un'altra spiegazione teleologica, che chiamiamo egoismo: la convinzione di ciascuno che, per noi, il bene più grande è ciò che ci rende felici. Molti sanno che ciò che mangiano e bevono è spesso poco salubre, ma non ci rinunciano perché, farlo, procura loro felicità. Sbagliano, è evidente, ma non sono capaci di comportarsi diversamente perché, questa, è la loro natura umana. Una «comunità salubre» non nascerà mai spontaneamente - (forse) neppure attraverso un libero programma di educazione alimentare - ma solo coercitivamente, per volontà dello Stato. I totalitarismi nazista e fascista ritenevano che la salute individuale fosse un bene pubblico; che perseguivano coercitivamente, salvo, poi, mandare a morire in guerre da essi stessi fatte esplodere generazioni di loro sanissimi cittadini. L'idea di tassare le bevande dolcificate, per salvaguardare la salute dei cittadini, in particolare dei più giovani - che l'Italia si appresterebbe a adottare, copiandola da quella lanciata dalla vicina Francia per quelle gassate - appartiene, dunque, concettualmente, alla casistica delle giustificazioni teleologiche contraddittorie che rivelano il perenne conflitto fra interesse privato e interesse pubblico, malgrado la pretesa di quest'ultimo di conferire spesso un valore morale universale a se stesso. Sarebbe, perciò, una tassa, punto e basta, se non fosse accompagnata (anche) dalla predicazione (morale) sul dovere di salvaguardare, in tal modo, la nostra salute. Insomma: se l'Etica ha un fondamento nella Ragion pratica, qui il solo che vi ricorre è lo Stato per una ragione pratica ben più corposa della salute dei cittadini: la necessità di far cassa per far fronte alle proprie spese. Veniamo, così, al significato, diciamo così politico, della questione. La salute, che piaccia o no, è un fatto personale, che ciascuno gestisce in relazione diretta con la propria libertà di scelta. E' una sorta di libero arbitrio - qui sotto il profilo gastronomico - che ci allunga o ci accorcia la vita così come il libero arbitrio morale, per il credente, ci guadagna il Paradiso ovvero l'Inferno. A sua volta, lo Stato contemporaneo è spinto a invadere la sfera di autonomia e di libertà (qui, gastronomica) del cittadino, massacrandolo di tasse, perché si è troppo dilatato rispetto alle ragioni che ne avevano prodotto la nascita - la tutela della vita, della libertà e della proprietà degli uomini - e costa troppo. Costretti a vivere sotto un potere pubblico che confisca oltre il cinquanta per cento del loro reddito - con la presunzione di essere anche «etico» e, perciò, con la pretesa di pianificare le loro vite (salute e felicità) per ragioni indubitabilmente ambigue - i cittadini dello Stato contemporaneo sono, come si direbbe a Napoli, «cornuti e mazziati». Non è, francamente, troppo?.

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