Quando si manovrano certi veleni, bisogna stare
particolarmente attenti. Dopo le dimissioni dalla Magistratura (evento
estremamente FAUSTO per l'Italia meneghina ma non solo) DI Pietro,
popolarissimo evidentemente nel vasto popolo forcaiolo che abita lo stivale, fu
conteso da entrambi gli schieramenti. Un tempo LAW and ORDER , con tanto di
pistola (nel suo caso manette) sul codice, era proclama della destra, e il
garantismo era tipica icona della sinistra. Adesso, incredibilmente, le parti
si sono pressoché invertite. I sostenitori di uno stato autoritario,
controllante, restrittivo delle libertà individuali a favore delle regole
finalizzate alla costruzione del cittadino finalmente ETICO, sono cresciuti in
certa sinistra moralista e moraleggiante. La sinistra tutrice delle libertà
civili ovviamente si discosta dalla degenerazione giustizialista , parlo non solo
dei radicali ma anche di quelli che leggono giornalisti come Sansonetti,
o il Manifesto. Sorgono invece testate e gruppi, come Micromega e
Giustizia e Libertà, che veramente fanno paura per la loro fanatica
intransigenza. Da buon contadino astuto, Di Pietro si accorge di questa
infatuazione dell'intellighenzia radical chic per il giustizialismo, viceversa
sempre piaciuto al popolino più forcaiolo, e ci si fionda costruendoci una
carriera politica. Lui , uomo assolutamente di destra, quella peggiore, socialfascista
direi, si allea con la sinistra che gli stende tappeti rossi, regalandogli il
seggio senatoriale del Mugello, blindatissimo. Una serpe in seno. Poi Veltroni
se lo carica e se lo porta in Parlamento nella sconfitta del 2008. Ancora si
morde le mani. Non contento delle giravolte molteplici di Di Pietro e del suo
evidente cannibalismo dell'elettorato PD più rozzo, ecco che anche Bersani a
Vasto ipotizza l'alleanza triplice, con Vendola e IDV.
L'anima democratica e centrista dei democratici si stomaca
ma questo sembra essere il futuro quando, con la caduta di Berlusconi, tutto
cambia. Di Pietro prova a mantenere la frequenza ferocemente oppositoria,
sostituendo Monti al Caimano. Ma NON è la stessa cosa, e il PD non può seguirlo
in questo. Poi inizia a prendersela anche con Napolitano e il divorzio è
sancito. Foto di Vasto via. Alleanza con SEL, con liste civiche, e prospettiva
di alleanza futura coi centristi di Casini. Ma DI Pietro NO.
Il quale ripaga con polemiche sempre più virulente. Alla
contesa partecipa anche Grillo, e i suoi fan, che nel web non sono esattamente
dei galantuomini. Tanto che alla fine Bersani si spazientisce, da loro dei
Fascisti, e li invita a uscire dal comodo anonimato della rete e a rivolgere i
loro insulti di persona.
Una sorta di sfida a duello.
Della zuffa in corso, parla col solito acume Antonio Polito,
che, come ho spesso sottolineato, da il meglio di sé proprio quando si occupa
di cose che conosce assai bene, venendo anche lui da quelle parti.
Tra le molte cose opportunamente evidenziate dal
"nostro", segnalo il ricordare, a gente come Bersani ma anche a MAuro
e Scalfari della Repubblica, di come lo sguaiato populismo forcogiustizialista
di Travaglio, Di Pietro e Grillo, sia stato accarezzato e lodato ai tempi della
lotta a Berlusconi.
Rifare entrare i demoni nel vaso, una volta aperto, non è
mai facile.
Buona Lettura
“C’ERAVAMO TANTO ALLEATI”
Con tutti i veri fascisti che hanno ripreso a
circolare in Europa, forse non è saggio inventarsi fascisti immaginari anche da
noi a puro fine di polemica; soprattutto se, come da noi, questi fascisti
immaginari non aggrediscono immigrati, non predicano il razzismo e si tengono
ben dentro l'alveo democratico. Eppure il segretario del Pd ha appena bollato
con l'epiteto infamante Grillo e Di Pietro e tutti quelli che gli danno dello
zombie. E il direttore di Repubblica ha appena qualificato come «nuova destra»
i «linguaggi, comportamenti e pulsioni» del Fatto, giornale avversario.
Entrambi hanno ricevuto risposte di analoga sprezzante durezza dai loro
competitori. È evidente che non si sta usando il termine «fascista» nella sua
accezione storica. Basti pensare che neanche vent'anni fa il governo del Belgio
boicottava quello italiano perché comprendeva il «fascista» Fini; mentre oggi
l'accusa non è rivolta a un La Russa o a un Gasparri, ma a personaggi che fino
a ieri militavano nello stesso campo, e che insieme si opponevano al «regime»
di Berlusconi proprio considerandolo come una nuova forma di fascismo. La prova
è nell'evocazione da parte di Bersani della celebre accusa di «diciannovismo»,
con la quale sia Gramsci sia poi Berlinguer si riferivano a quel massimalismo
di sinistra che sempre rischia di aprire la strada al fascismo. Mentre i
presunti «fascisti del web» di oggi non occupano né fabbriche come nel 1919 né
università come nel 1977. Bisogna dunque dedurne che stavolta l'aggettivo è
usato in un'accezione per così dire «antropologica», e cioè per definire
qualcuno la cui arroganza, il cui stile polemico violento, il cui disprezzo
irrisorio per l'avversario, il cui fastidio per il «culturame» e per i riti
della democrazia, ricordi l'affermarsi dello squadrismo. E in effetti bisogna
ammettere che i Grillo, i Di Pietro, i Travaglio, somministrano le loro
quotidiane purghe mediatiche come fossero olio di ricino, e idolatrano le
manette come igiene della storia. È molto discutibile però un improvviso
rigurgito «antifascista» se è utilizzato per nascondere o far dimenticare la
forte intimità, la complicità, l'affetto addirittura con cui questi cosiddetti
nuovi fascisti sono stati accolti per anni in quel «campo della sinistra» che
ora li scomunica. In fin dei conti Di Pietro cominciò la sua carriera politica
in un collegio del Pds di D'Alema, con i voti dei comunisti del Mugello; e
siede nel Parlamento attuale solo per la benevolenza di Veltroni, che cacciò
Bertinotti dall'alleanza ma volle a tutti i costi Di Pietro, col quale anzi
annunciò la nascita di un partito comune. E non è che non si capisse, appena
quattro anni fa, di che pasta fosse fatto l'ex pm. L'obiezione vale anche per
Travaglio il quale, nonostante mai celate origini di destra (ha votato anche
per la Lega) è stato per anni editorialista di punta dell'Unità e tuttora scrive
sull'Espresso. Nella comune lotta contro lo «psiconano», insomma, perfino
Grillo per un po' è andato bene. Dare oggi del «fascista» agli alleati di ieri
contro il «nuovo fascismo» non può dunque esorcizzare la vera e propria lotta
politica per l'egemonia che si è aperta all'interno della sinistra e nel campo
dell'antiberlusconismo. E senza una seria riflessione politica sugli errori
commessi è difficile che basti l'anatema. Per molte ragioni. La prima è che per
un pubblico di elettori ventenni, quelli sulla cui credulità si fondano le
varie epifanie del grillismo, la parola «fascista» non vuol dire niente, così
come la distinzione tra destra e sinistra. Il giudizio sulla classe politica
della Seconda Repubblica è tale da spazzare via queste distinzioni. Anzi,
bollare come «nuova destra» questi movimenti può perfino aiutarli nel bacino di
voti in libera uscita dal Pdl e dalla Lega. La seconda ragione è che l'anatema
può apparire come un tentativo di evitare la discussione nel merito, che invece
questi cercatori di «fatti» presentano come la novità del loro metodo. Ma
siccome nella propalazione della loro Verità omettono molte verità e dicono
molte bugie, forse sarebbe più utile contestare queste piuttosto che il tono in
cui le dicono: ricostruire cioè una narrazione «democratica» dell'Italia di
questi vent'anni che smonti la «concezione paranoica» della storia che si sta
affermando. Infine c'è un'ultima ragione che sconsiglia la riesumazione
dell'accusa di «fascista»; ed è che prima o poi qualcuno potrebbe essere
tentato di riesumare quella di «comunista». Ho già un sospetto su chi potrebbe
essere
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