Prima della riforma del 1989 la contiguità, l'inaccettabile colleganza tra Giudici e Pubblica accusa. era fisicamente percepibile in aula. Il Giudice, o la Corte, sullo sfondo, di fronte la scrivania della difesa, a LATO, quella del PM. Durante le pause delle udienze, Giudice e PM erano soliti ad andare a prendere il caffè insieme, si davano del TU, mentre il difensore si rivolgeva sempre con ossequio.
Con l'introduzione, mai del tutto sostanziale, del processo accusatorio, della parità tra accusa e difesa, la scrivania dei PM è stata spostata e anche l'atteggiamento con il Giudice è diventato apparentemente più attento alla forma. Piccole cose, rispetto all'obiettivo della pari dignità e posizione.
Sul sito zona di frontiera Marsilio scrive un bell'articolo ripercorrendo, con sintesi efficace, la storia dei rapporti tra ACCUSA e GIUDICE nel tempo e la situazione odierna. Come noto, solo in Italia l'incesto si è perpetuato, mentre in nessuna delle democrazie di riferimento - Francia Germania e GB per non parlare degli USA, dove sono sia i giudici che i procuratori sono ELETTI - questa cosa si realizza.
Non è una originalità di cui andare fieri.
Buona Lettura
Nel linguaggio
corrente, giornalistico, ma anche politico e perfino tra coloro che
invece dovrebbero tenere alla chiarezza dei concetti, si riscontra
confusione sulle figure di giudice e di pubblico ministero; tanto da
ingenerare disorientamento nell’opinione pubblica che non è
adeguatamente informata o, peggio, è disinformata. Soprattutto la
confusione deriva dalla mancata conoscenza della figura del pubblico
ministero nel suo aspetto ontologico e nel suo divenire nel corso della
storia, nonché nel suo netto differenziarsi, per funzioni, dalla figura
del giudice.
Quindi, è opportuno
ritornare indietro nel tempo e ricordare quando gli uomini lavavano col
sangue le offese che ricevevano, adottando il millenario, biblico
criterio “occhio per occhio, dente per dente”. Poi venne il tempo della
riflessione: continuare a quel modo avrebbe significato l’estinzione della
specie umana: siamo agli albori della civiltà; non alludo all’epoca
mitologica, alla nemesi nella quale la giustizia riparatrice e punitrice
era opera di una dea, figlia dell’Oceano e della Notte, divinità che
distribuiva a ciascun mortale la sua sorte secondo il merito e a ciascuno
la sua punizione, secondo la colpa. Siamo, invece, ad una epoca nella quale
gli uomini risolvevano i loro conflitti sottomettendosi ad un potere
superore e neutrale, dapprima alla tribù di appartenenza, che decideva
chi tra i litiganti avesse ragione e chi invece torto e, quindi, chi dovesse
essere punito e come. Il concetto di giudice, rappresentato dalla tribù,
cioè dalla intera elettività ha attraversato i millenni e lo ritroviamo,
ancorché ridimensionato, nell’attuale tribunale (tribunal nel
linguaggio inglese), quale soggetto/organo deputato a risolvere i
conflitti tra privati e tra privati e lo Stato, ovvero ad irrogare
sanzioni per i colpevoli di reato.
E’ intuibile come
nel trascorrere dei secoli i connotati del giudice abbiano subito diverse
metamorfosi, pur restando identica la sua funzione di soggetto deputato a
comporre conflitti sociali e ad irrogare pene. Già i Sumeri, alcuni
millenni prima di Cristo, si diedero dei giudici e dei codici, con la
funzione di amministrare giustizia: è noto il Codice di Hammurabi che,
però attinse al codice sumero di Urokagina, di molti secoli anteriore. I
giudici erano singoli o collegiali, a seconda dell’importanza della causa.
In prosieguo i giudici sono diversamente connotati, a seconda del tipo
di organizzazione politica della società o a seconda del tipo di processo
nel quale operavano. Abbiamo avuto figure di giudici professionali e di
giudici burocrati, figure di giudici inquisitori e di giudici al di sopra
delle parti, che ricevono da queste il materiale probatorio sul quale
sentenziavano; abbiamo giudici responsabili e giudici irresponsabili
(come nel caso italiano). Ma il connotato strutturale del giudice è
restato sempre quello di soggetto deputato ad applicare la legge (o della
norma consuetudinaria) nei casi di conflitti tra i cittadini, ovvero di
irrogare sanzioni ai colpevoli di violazioni definite reato. In
conclusione, giudice è colui che ha la potestà di applicare la legge nei
casi che vengono alla sua competenza (jurisdictio, giurisdizione),
compresa il potere di applicare sanzioni penali.
La figura del
pubblico ministero, che compare molti secoli dopo quella del giudice,
risponde, invece, all’esigenza che il giudice sia messo in moto da una
persona che rappresenti una delle parti del processo: dovendo essere il
giudice estraneo alla lite, deve essere messo in moto da un soggetto
(l’accusatore nelle cause penali, l’attore nei giudizi civili). I romani
esprimevano il concetto dicendo ne procedeat judex ex officio.
Dapprima a
provocare il processo era un soggetto (l’offeso dal reato o un suo
congiunto); ma esistevano anche accusatori professionali, come nella
Grecia precristiana i “sicofanti”, i quali, però, godevano di cattiva fama
perché, avendo diritto ad una parte del patrimonio dell’accusato
riconosciuto colpevole, spesso si abbandonavano ad accuse calunniose. Anche nell’antica Roma l’accusatore era guardato con sospetto, tanto che gli
s’imponeva il giuramento di non elevare l’accusa al solo fine di nuocere
all’accusato; e se l’accusato fosse risultato innocente l’accusatore veniva
punito con la stessa pena che sarebbe stata inflitta all’accusato colpevole
(la legge che ciò prevedeva era detta legge del taglione). A partire
dell’età imperiale a Roma l’accusa cessò di essere necessaria per l’apertura
del processo: un delegato dell’imperatore aveva la completa competenza
della causa, dalla promozione alla decisione. Il processo aveva perduto il
carattere accusatorio e si era trasformato in inquisitorio: i ruoli di
accusa e di giudice si confusero al cui posto subentrò la figura del
giudice “imperatore”.
Questa situazione
durò parecchi secoli finché, nel tardo medioevo, non venne ripristinata la
differenza tra giudice e accusatore. Avvenne che l’avvocato del Re (il
procuratore del Re) sollecitava il giudice ad iniziare le cause penali,
per modo che le multe inflitte ai colpevoli potessero essere incamerate dal
Re e rimpinguare le casse dell’erario, sempre deficitarie a causa delle
iperboliche spese dell’apparato governativo (proprio come oggi). Emerge
così l’istituto processuale chiamato “azione penale” che appartiene al Re
ed è esercitata dal suo procuratore. Ma siccome i procuratori erano
tanti quanto erano i giudici i procuratori costituirono un ufficio — il
pubblico ministero — (il parquet), gerarchicamente organizzato fino al
Ministro di giustizia. E alla funzione di promozione del processo penale
si aggiunse, poi, quella di sorvegliare che i sudditi rispettassero le
leggi, funzione di controllo che spettava al Re quale capo del potere
esecutivo, ma che non poteva essere esercitata dallo stesso stante l’enorme
estensione territoriale del Regno. Infine, a queste funzioni del
pubblico ministero si venne ad aggiungere una terza, importante funzione,
quella di sorvegliare i giudici indipendenti: si diceva che il pubblico
ministero era l’occhio del Governo sui giudici. Fu per questa terza
funzione che il pubblico ministero venne istituito “presso” i singoli
organi giurisdizionali (tribunali e Corti). Montesquieu diceva: “noi
oggi abbiamo una legge ammirevole, è quella che vuole che il principe,
creato per fare eseguire le leggi, proponga un funzionario in ogni
tribunale affinché indaghi a suo nome, tutti reati…”. Si tratta, appunto,
del procuratore del Re con le funzioni indicate nelle leggi di ordinamento
giudiziario, cioè: promuovere l’azione penale, vegliare alla osservanza
delle leggi, vegliare alla pronta e corretta amministrazione della
giustizia (oltre ad avere azione diretta per fare eseguire ed osservare le
leggi d’ordine pubblico e che interessano i diritti dello Stato).
Questo è l’assetto giudiziario che, sia pure con singole specificità, vige in tutti i Paesi progrediti dell’Occidente. Per il principio della equilibrata divisione
del potere, il pubblico ministero — che è, tradizionalmente, un ufficio
del potere esecutivo istituito presso i Tribunali e le Corti (di appello e
di cassazione) — è separato nettamente dal potere giudiziario, cioè,
dai giudici. Tuttavia, nel regime monarchico giudici e pubblici
ministeri formavano l’, che era una branca dell’apparato governativo,
dipendente dal Ministero di grazia e giustizia: Così è in Francia, ma là
all’interno dell’ordine giudiziario vige la separazione ontologica tra
giudici e pubblici ministeri, questi ultimi non sono indipendenti come i
giudici ma sono gerarchicamente ordinati e diretti dal Ministro di
giustizia; in Germania giudici e pubblici ministeri formano due corpi
separati.
Da noi, sebbene la
Costituzione abbia ripristinato la tradizionale separazione del potere
giudiziario da quello esecutivo e, quindi, l’organica separazione del
pubblico ministero dal giudice, ancorché abbia prescritto che il pubblico
ministero debba avere delle garanzie (che il futuro ordinamento
giudiziario deve determinare). Oltre a tutto, la Costituzione all’art.
111, come modificato dalla legge costituzionale n. 2 del novembre 1999, ha previsto che la
giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge.
Ogni processo si svolge nel contraddittorio delle parti, in condizioni
di parità, davanti a giudice terzo e imparziale.” Da parte sua, il codice di
procedura penale del 1988 aveva configurato il pubblico ministero nel
ruolo di “parte” del processo, senza confusione alcuna con il ruolo del
giudice e senza avere più alcun compito giurisdizionale, che aveva nel
codice monarchico (figura ibrida: accusatore ma in parte anche giudice). Per
questo nell’immaginario collettivo il pubblico ministero veniva appellato
giudice: il giudice Di Pietro, il giudice Caselli e così via.
Se sul piano
giuridico costituzionale non v’è commistione tra giudici e pubblici
ministeri, permane nell’ordinamento giudiziario (di matrice fascista)
l’unione organica di giudici e pubblici ministeri: il vero è che subiamo
l’imposizione comunista della “via italiana al pubblico ministero”
inaugurata da Togliatti nel 1946. Cioè del pubblico ministero, magistrato
unito al giudice: un ritorno al passato, onde siamo una democrazia di
facciata, avente al suo interno una super potente magistratura sebbene
anticostituzionale, esente da democratici controlli e rendiconti. I
riformatori riflettano se aspirano ad una Italia, al passo dei Paesi
progrediti.
Nessun commento:
Posta un commento