domenica 26 agosto 2012

LA REPUBBLICA GIUDIZIARIA E' LA MORTE DEL DIRITTO

In questi giorni le polemiche sollevate da chi contesta l'eccesso di potere che la classe dei Magistrati ha accumulato in 30 anni, che prima sembrava una faccenda tra difensori di Berlusconi e difensori dell'autonomia sacra dei Giudici, sono deflagrate con virulenza.
Caduto il fattore B (in Italia c'è sempre un fattore che in qualche modo condiziona in modo drastico il normale funzionamento della democrazia, ai tempi c'era il fattore K) , i Magistrati si sono trovati senza più "copertura" e problemi come gli eccessi nelle intercettazioni (NESSUN PAESE OCCIDENTALE vi fa un ricorso a tappeto come il nostro, con costi sproporzionati), le violazioni della privacy, con gente NON indagata che si ritrova sui giornali, che prima valevano ZERO, adesso sono diventati importanti.
Ebbé un conto è prendersela con Berlusconi, un conto con Napolitano, che gode sia di protezione politica ma anche popolare.
IL RE E' NUDO quindi ora si può dire, e pare sia stato un grido assai represso se oggi sono in tanti a farlo sentire. No alla Repubblica giudiziaria.
Pensate che soddisfazione per quelli che questa cosa la dicevano anche Prima, e venivano tacitati perché "allora sei complice di quel farabutto di Berlusconi". Che c'entrava Berlusconi con la separazione delle carriere tra Giudici e PM, di cui si parla da decenni e decenni? Cosa nella riforma delle norme sulla custodia cautelare, degenerata in particolare con Tangentopoli, e il carcere come strumento estorsivo delle confessioni ? Cosa nella responsabilità civile dei giudici, sancita dall'ennesimo referendum disatteso?
Oggi Berlusconi non c'è più, ma queste cose ci sono ancora. Altro che "resistere, resistere, resistere "dottor Borrelli !! Sono le decine di migliaia di cittadine italiani che sono stanchi di "resistere" a questo non funzionamento della Giustizia a cui si aggiunge l'arroganza e la prepotenza di non pochi magistrati.
Si ricorda sempre che sono ancora tanti , la maggioranza, i giudici che lavorano in silenzio e lontani dalle esibizioni muscolari di altri  loro colleghi. Vero, ma perché poi la loro associazione è guidata dai secondi? Perché al CSM sono questi che contano?
In questi giorni ho riportato vari contributi e mi è parso degno di segnalazione questo di Davide Giacalone.
Buona Lettura

Torti e storti
La Repubblica giudiziaria dilaga, supponendo possibile trascinare nelle aule giudiziarie qualsiasi tipo di conflitto. Sociale, economico, culturale o religioso che sia. La risposta politica latita, perché ubriacata da decenni di giustizialismo vendicativo, contrapposto a innocentismo dissennato. Nel tramontare del diritto e delle idee, si assiste allo scontro fra due contrapposti “sostanzialismi”: quello che ritiene prevalente la sostanza della presunta verità, rispetto alla forma del procedimento giudiziario, e quello che immagina si possa fermare quella macchina infermale laddove i provvedimenti giudiziari provocano, nella sostanza, danni alla collettività. E’ uno scontro fra torti e storti, che impiomba l’Italia e la fa degradare.
Alla radice della deviazione vi è la viltà con cui la politica ha delegato alla giustizia scelte e indirizzi difficili. La patologia cominciò con la lotta al terrorismo e continuò con quella alla mafia. Ovviamente giuste, ma impostate in modo tale da far crescere enormemente l’indeterminatezza della norma e la discrezionalità del giudizio. Il tutto nelle mani di un potere, quello giudiziario, che la Costituzione voleva “ordine”, ma che si è trovato ad agire con le garanzie di chi aveva il solo compito di dar voce alla legge, salvo divenire legge a sua volta (sia con le interpretazioni che con il divorzio fra misure cautelari e giudizio).
Questi giorni ci consegnano due esempi. Quello della Fiat, ove il giudice segnala al mondo che aprire imprese in Italia significa non avere il controllo del fattore lavoro, quindi avverte che è meglio non venire, o scappare. Ha torto, il giudice? I torti e le ragioni dei giudizi si sanano e confermano in giudizio. Ogni altra strada svelle le regole esistenti. Il punto è che se si fanno leggi che puntano a tutelare non i lavoratori, e con essi il mercato, ma l’influenza dei sindacati poi non ci si deve stupire se l’equivocità di tale dettato si presta a operazioni come quella in corso. Il secondo esempio e quello dell’Ilva. Qui accadono cose singolari: 1. a fronte del primo sequestro un ministro chiese l’immediato riesame, come se la rivalutazione delle misure cautelari non sia sempre urgentissima; 2. dopo tale riesame il gip insiste nella sua tesi e punta alla chiusura dello stabilimento; 3. il ministro della giustizia chiede di “acquisire gli atti”, che in altri tempi sarebbe stato considerato un gesto insurrezionale; 4. il governo annuncia ricorso alla Corte costituzionale, sostenendo che la politica industriale è propria competenza (e ci mancherebbe!); 5. il ministro dell’ambiente sostiene che il giudice è in conflitto con le autorità competenti; 6. infine il presidente del Consiglio annuncia l’invio dei ministri in quel di Taranto, per rimediare all’azione giudiziaria. Il risultato è l’impazzimento totale, cui si aggiunge la voce eguale dei due grossi partiti, Pdl e Pd, che chiedono al governo di contrastare l’azione del giudice.
Domanda: perché per l’Ilva di Taranto si registra non solo tale convergenza, ma l’unanime voce dei più influenti giornali (segnalo che il Corriere della Sera ha titolato in prima dando del “rossa” alla signora giudice, precisando in cronaca che trattasi dei capelli), nel considerare esecrabili i provvedimenti adottati? Dipende dal fatto che è divenuto macroscopico il danno della Repubblica giudiziaria, capace solo, per definizione, di proibire, impedire e punire, ma mai di costruire. Ma, del resto: cosa può fare un giudice, nel caso in cui gli si sottoponga l’ipotesi che una determinata attività provochi il cancro alla gente che si trova lì attorno? Messa così è una questione senza vie d’uscita. Invece ci sono, e riguardano la gerarchia dei poteri e delle decisioni, nonché la chiarezza delle norme.
Fare impresa in Italia non deve essere più difficile che in altre parti non dico del mondo, ma dell’Unione europea. Le acciaierie, come altre produzioni, non creano delle riserve naturali, inquinano. Come tante altre attività umane, cui nessuna persona sensata rinuncerebbe. Eppure quelle attività contribuiscono a far crescere la ricchezza di una collettività, rendendole possibile accedere a un più diffuso benessere, una più evoluta assistenza sanitaria, a una maggiore istruzione collettiva. Queste cose non possono essere ricercate ad ogni costo, naturalmente, esiste un punto di equilibrio, ma da noi non può essere diverso da quello che c’è in Germania, in Polonia o in Francia. Vale per ogni cosa, perché in caso contrario succede quel che è successo e che ci porta alla rovina, ovvero che la nostra produttività cala, lo sviluppo frena e il bilancio pubblico salta, o punta ad un appello eccessivo e insopportabile al prelievo fiscale.
Detto questo, la colpa non è dei giudici, perché, lo ripeto, le loro decisioni sono sottoposte a un iter decisionale che conterrebbe in sé il sistema per correggersi. Salvo il fatto che non funziona più, da molto tempo. Non funzionava quando è divenuto clava per la battaglia politica. Non funziona oggi, che la clava demolisce il resto. Ma la colpa è del legislatore, che non ha avuto il coraggio e la forza di regolare diversamente le cose. Di dire che la Repubblica giudiziaria era ed è la morte del diritto.

1 commento:

  1. HO già detto in altri Blog.-

    La mancata Giustizia è perchè da una società : Quello che non è Concesso è Vietato -

    Ad altra società
    Quello che non è Vieteto è Concesso.

    Una grande prateria a gozzobigliare gli avvocati con argomentazioni varie .-
    Ha comprova - La mancata Giustizia in Italia .-

    E un fatto . !!!
    Il Pentolone "Mormora" ... e gli avvocati a settembre fanno sciopero.-???

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