Discorso discutibile, visto che la ribellione fiscale fa parte della storia dei popoli (gli Stati Uniti nascono così) e che un padre della patria repubblicana, Luigi Einaudi (oggi di gran moda anche in bocca agli ex comunisti del PD, che è tutto dire), scrisse in proposito: «La frode fiscale non potrà essere davvero considerata alla stregua degli altri reati finché le leggi tributarie rimarranno vessatorie e pesantissime e finché le sottili arti della frode rimarranno l’unica arma di difesa del contribuente contro le esorbitanze del fisco».
Però prendiamolo per buono, e accettiamo il principio di stretta legalità, considerando che queste persone sono abbienti.
Ma tutti quelli per i quali il sommerso fa la differenza tra lavorare, avere un reddito per vivere, e il contrario?
Ecco, di questi parla Davide Giacalone nel post che vi sottopongo e che nella parte finale è quasi commovente per la passione civile che esprime.
Buona Lettura
ORA ET LAVORA
A leggere le
statistiche delle ore lavorate, per settimana, in giro per l’Europa, si può
cadere in qualche tranello, come, ad esempio, stupirsi per il fatto che gli
italiani risultino i più operosi nella giornata di sabato. A La Stampa, ad
esempio, sono riusciti a considerare 48 le ore lavorate settimanalmente in
Germania, salvo scrivere, nella pagina successiva, che sono 35,5. La cosa
interessante, però, è altra, ovvero la visibile discrasia fra regole,
statistiche ed evidenza empirica.
La produttività
italiana è troppo bassa, ma le ore lavorate sembrano essere nella media
europea. Se si disaggregano le medie italiane si scopre che i più operosi, nel
senso, quanto meno, di presenti più ore al lavoro, sono gli italiani del
nord-ovest, mentre i meno si trovano nelle isole. Se andate in giro per la
Sicilia, però, trovate esercizi commerciali aperti a tarda notte, commerci di
strada quasi sempre attivi, mercati che si animano incuranti delle feste. E non
è un fenomeno solo siciliano. Questa realtà che posto occupa nelle statistiche
sul lavoro? Temo nessuno, o scarsamente rilevante, perché molte di quelle
attività appartengono a quel mercato che ipocritamente si definisce “sommerso”
e che, invece, è talmente emerso da essere accessibile a chiunque ne abbia
bisogno. L’irregolarità di quel mercato ne sancisce l’esclusione dai conti
ufficiali.
Posto che quel tipo
d’irregolarità spesso si accompagna a evasione fiscale, ciò significa che
andrebbe represso e sgominato? C’è da sperare in un intervento spettacolare e
notturno, o festivo, degli agenti del fisco? Non me lo auguro affatto, anche a
costo di espormi alle critiche moralistiche, di cui molti italiani sono
campioni. Credo, invece, che siano le regole a essere sbagliate.
Girate per quei
mercati e visitate quei commerci. Osservate la gente che ci lavora. Vi pare di
circolare fra squali profittatori che si arricchiscono alle spalle della
collettività, senza fare nulla? E’ spesso vero l’opposto: sono cittadini che
lavorano duramente, senza sosta, in condizioni non confortevoli. In quanto al
guadagno, escludo che ci si diventi ricchi. Eppure si espongono al rischio di
multe e contestazioni. Perché non ci sono alternative, perché quello è pur
sempre un lavoro. Oltre tutto socialmente utile (anche dal punto di vista della
sicurezza, perché piazze e vie animate sono più percorribili dei deserti
oscuri). Il fatto è che a questi italiani, per introdurli nel mondo della
regolarità, non solo chiediamo di pagare oneri e tasse con le quali uscirebbero
fuori mercato, ma chiediamo anche di rinunciare all’elasticità del lavoro e
degli orari. E’ un errore.
Nessun Paese può
prosperare se i suoi cittadini violano le leggi. Ma neanche può prosperare se
per campare i cittadini sono costretti a violarle. Una parte considerevole di
quel nero e di quell’evasione serve non ad accumulare profitti, ma a pagare la
vita. E confondere questo con l’evasione dei profittatori è cieco giustizialismo,
spesso celante, come il pudico moralismo incarnato da un Alberto Sordi censore
(“Il moralista”), vite dissolute e biografie imbarazzanti.
Se noi
incorporassimo nelle ore lavorate quelle che questi italiani passano a darsi da
fare i paragoni europei migliorerebbero, ma i conti dell’Inps non tornerebbero.
Che si fa? Si sceglie la regola recessiva o si preferisce l’elasticità del
mercato? Propendo per la seconda ipotesi e trovo inaccettabile che per
praticarla si debbano violare le norme. Quindi credo che si debba cambiarle.
Partendo dal principio che nulla è più prezioso della libertà, e nulla crea
tanta ricchezza quanto la libertà.
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