Il testo ha due pregi: l'assoluta chiarezza - alcuni l'hanno scambiata per superficialità..ma un articolo NON è un'inchiesta, e serve a stimolare semmai gli approfondimenti - e aver ricordato che l'inizio di questa tracimazione della Magistratura dal suo alveo istituzionale, essere la "parola della legge" , per diventare i promotori di uno Stato Etico (proprio loro che dovevano essere i sacerdoti di quello di diritto), risale alla metà degli anni 70, con la lotta al terrorismo, e non con Tangentopoli, che pure ne divenne la punta dell'Iceberg.
Qualcuno avrebbe corretto l'assunto, passando da IL PARTITO DEI GIUDICI a quello dei GIUSTIZIALISTI. Potrebbe avere ragione, ma è indubbio che i gruppi mediatici e di opinione (Giustizia e Libertà, Micromega, Popolo Viola...maronna do carmine!!! che elenco....) che fiancheggiano e pungolano i giudici, nulla potrebbero da soli. Il POTERE ce lo hanno i magistrati. E lo usano.
Buona Lettura
ESISTE IN ITALIA IL PARTITO DEI GIUDICI?
il partito dei
giudici è quel fronte trasversale che, con l’alibi di una emergenza che cambia
faccia a seconda delle stagioni (terrorismo, mafia, corruzione, malapolitica),
sostiene la necessità che la magistratura svolga un ruolo di supplenza, quando
non di vera e propria sostituzione, rispetto alla politica.
Chi fa parte del
partito dei giudici? Magistrati, ovviamente. Ma non solo: a loro si sono sempre
affiancati partiti e associazioni, giornali e riviste, più quella magmatica
forma di opinione pubblica che nella mitologia amica ha assunto di volta in
volta la definizione di popolo dei fax, popolo della Rete, popolo viola e altre
improbabili declinazioni di popolo. Il partito dei giudici non nasce con
Tangentopoli, a differenza di quanto pensano i più, bensì alla fine degli
Settanta, quando si sperimenta il primo laboratorio del giustizialismo e si
creano alcuni dei circoli viziosi che hanno portato alla situazione attuale.
E nasce a sinistra,
il che spiega in parte perché è diventato egemonico in un pezzo rilevante
dell’elettorato di quel versante, quando i vertici del Pci decidono che occorre
aprire un canale diretto con alcuni magistrati per orientare le indagini contro
il terrorismo e massimizzare i risultati della repressione giudiziaria. È in
questa fase che in nome dell’obiettivo di fondo - la difesa della democrazia e
dell’agibilità politica - si comincia a sorvolare sulla liceità degli strumenti
messi in campo: si forza il diritto (arresti preventivi di massa, cambio in
corsa dei capi di imputazione, sforamento dei tempi d'indagine e di fermo), si
perseguono i fenomeni anziché i singoli reati, si usano i mezzi di stampa amici
per enfatizzare le inchieste e mitizzare l’azione dei pm, si promulgano leggi
speciali e altre se ne invocano, in una rincorsa all’emergenzialità nella quale
la politica sceglie di farsi ancella delle richieste che arrivano dalle
Procure. D’altra parte, questo collateralismo finisce per orientare
politicamente molte inchieste.
Lo sconfinamento dei
poteri giudiziari prodotto negli anni della lotta al terrorismo viene quindi
trasferito in blocco negli anni Ottanta verso la nuova emergenza e per un’altra
causa in sé nobilissima: la lotta alla mafia. Sono gli anni in cui si
estremizza l’uso barbaro del pentitismo (non occorre citare il caso Tortora),
brandito come una clava e con la pretesa di utilizzare i collaboratori senza
alcuna garanzia in tutte le fasi dell’azione giudiziaria. I giudici cominciano
a diffidare pubblicamente la politica dal mettere mano a riforme che
ripristinino le condizioni dello Stato di diritto. La situazione esplode poi
con Tangentopoli, quando la molla della nuova emergenza, la sacrosanta lotta
alla corruzione, unita all’indebolimento del collante sociale dei partiti, proietta
i magistrati nella lotta politica senza più mediazioni e dissimulazioni. Si
ripropone il solito catalogo di svarioni giuridici ma ormai sdoganato, con la
teorizzazione esplicita della carcerazione preventiva come mezzo di pressione
per estorcere confessioni, della gogna per gli imputati, delle condanne
mediatiche come alternativa rapida alle condanne giudiziarie. Non è un
trattamento che colpisce solo potenti e famosi (come se poi, in una società
liberale, fosse lecito accanirsi su alcune categorie), e casomai il torto di
molti garantisti part time è di accorgersi di questo stato di cose solo quando
colpisce i più noti. E così, mentre i pm vanno in tv a chiedere di bloccare
questo o quel provvedimento governativo, si comincia a vaneggiare di governo dei
giudici (una proposta cui è dedicato un famigerato numero monografico di
Micromega). Quindi, con l’arrivo delle intercettazioni e della loro
allegrissima trascrizione in tempo reale sui quotidiani la magistratura diventa
soggetto politico a tutto tondo, anzi di più: capace di imporre l’agenda
politica, distruggere carriere, orientare scalate di Borsa.
Intendiamoci, questo
non è il ritratto della magistratura italiana. È il ritratto di un suo pezzo
che ha completamente smarrito il senso della propria missione, appoggiandosi a
sponde politiche e sociali sempre più aggressive nelle loro crociate di
presunta moralizzazione. In un’Italia segnata da scandali e malaffare, il
partito dei giudici ha potuto avanzare e rafforzarsi, ha miscelato umori
reazionari e insoddisfazione democratica, ha reso primitivo il dibattito
pubblico sulla giustizia. Argomentare contro il partito dei giudici non è
difficile. È inutile. Vuoi regolamentare l’uso dei pentiti? Sei colluso con la
mafia. Critichi Mani pulite? Vuoi difendere la politica corrotta. Sei a favore
di una legge che limiti la pubblicazione delle intercettazioni? Vuoi proteggere
Berlusconi e i criminali. Fino all’ultimo caso: se difendi Napolitano dai
vergognosi attacchi di cui è oggetto è perché non vuoi la verità sulla
trattativa Stato-mafia. Né vale ricordare agli ultras delle manette i molti
flop dei lori beniamini. Se un’inchiesta del partito dei giudici fa flop,
questo viene negato o comunque giustificato con lo scatenarsi di forze ostili.
Nessuna buona causa
può diventare una ragione per pretendere che uno dei poteri dello Stato invada
il campo degli altri o per giustificare comportamenti totalmente fuori dal
dettato costituzionale, oltre che dal codice di procedura penale. Purtroppo
l’idea che questo sconfinamento sia non solo necessario ma addirittura
auspicabile ha trovato invece terreno fertile, proliferando in una opinione
pubblica che si considera ultrademocratica nonostante sostenga tesi che
spingono in direzione esattamente opposta.
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